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Annalisa Zito: «Visibilizzare il corpo delle donne come spazio politico e di militanza»
A giugno, la nostra inchiesta esclusiva sulla donna artista si arricchisce di una nuova serie di interviste che approfondiscono e allargano ulteriormente la prospettiva sull’argomento. Il progetto, a cura di Giusy Capone e Afrodita Cionchin, andrà avanti nei prossimi numeri, continuando ad arricchire la nostra rete per il dialogo interculturale. Tutti i contributi sono riuniti nel nostro spazio appositamente dedicato a questo progetto, Inchiesta esclusiva donna artista.
Qui interviene Annalisa Zito, direttrice della Fondazione Pasquale Battista, ente intitolato all’omonimo storico ed esperto d’arte, che promuove, sviluppa e coordina iniziative e attività culturali e caritatevoli. Nel dialogo, in cui si toccano svariati temi di stringente attualità legati alla questione femminile, la direttrice si sofferma su un progetto artistico, la mostra itinerante, inaugurata nel 2018, Il sangue delle donne, ideato e curato da Manuela De Leonardis, che vede coinvolte 68 artiste internazionali attorno a un tema ancora oggi tabù, il sangue mestruale.
L’esistenza della donna-artista si inserisce in una più ampia riflessione inerente ruolo e condizione muliebri nella società contemporanea. Qual è il suo sguardo sulla marea femminile, sulla sua funzione socio-politico-economica oltre che squisitamente artistica? Ritiene che vi siano mutamenti in corso dovuti all’epidemia da Covid-19?
Sì, ritengo di sì e purtroppo in peggio. L’emergenza epidemiologica in corso ha contribuito a denudare, nei suoi aspetti più discriminatori e violenti, l’esclusione delle donne dai processi decisionali e di partecipazione alla vita creativa, sociale e politica dei territori. Dopo gli ultimi decenni in cui la riflessione femminista prima (e queer dopo) aveva tentato di ribaltare il paradigma di genere non in termini separatisti tra uomo e donna ma di potere tra dominanti e identità subalterne, le donne hanno dovuto subire nuovamente e in forma più feroce il confinamento domestico e l’estromissione dal mondo del lavoro. I dati parlano chiaro. Povertà, violenza, dipendenza economica, aggravio dei carichi di cura familiare rischiano di indebolire fortemente quella marea femminile che pure negli ultimi anni ha svolto una funzione di sensibilizzazione, rivendicazione ed emancipazione. Io credo che, a fronte di uno scenario in cui l’emergenza (ecologica, occupazionale, generazionale, virologica) è «emergenza sistemica», l’azione politica e artistica femminile debba cercare forme di alleanza potenti e innovative con tutte le identità non-conformi, vulnerabili e subalterne. L’autorevolezza del «messaggio femminile» si giocherà tutto sulla capacità delle donne e delle artiste di forzare i confini di un’appartenenza di genere biologica per estendere e includere all’interno delle proprie istanze di umanità, parità e giustizia sociale tutte le identità fragili e insorgenti estromesse dal dibattito pubblico, dai migranti alla comunità Lgbt+ ai minori, relegate (come sempre le donne lo sono state) nel ruolo rassicurante e paralizzante di «vittima».
Elisa Roggio, Il mio nome è Nessuno, parola di Polifemo, 2017
(pannolino, stampa grafica digitale, 63x61 cm)
Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?
Sì, il corpo delle donne slegato dalla sua funzione riproduttiva e di cura irrompe nel dibattito pubblico fin dagli anni ’60, muovendo dalle esperienze di auto-coscienza e separatismo di genere e approdando alle attuali teorie e pratiche gender-fluid. La mia biografia di donna, nata al Sud, in provincia, alla fine degli anni ’70, è una biografia che testimonia – al pari di moltissime altre – la fatica, il piacere e l’orgoglio di attraversare un tempo profondamente incompiuto, comunque vitale e fecondo nelle contraddizioni che lo hanno abitato. Il patriarcato è una forma di organizzazione socio-economica strutturale e stratificata a livello quasi geologico, sarebbe un’ingenuità pensare che basti un corpo, una esistenza, a scardinarne le logiche. Quindi, come tutte, ho certo subito discriminazioni e disparità.
Ciò che invece merita una riflessione accurata è l’involuzione sconcertante delle libertà individuali e dei diritti civili (aborto, transessualità, parità retributiva…) cui assistiamo a livello internazionale negli ultimi anni. Se per una donna della mia generazione diritti come aborto, divorzio e libera espressione della propria identità di genere e/o orientamento sessuale sembravano oramai assunti e inviolabili grazie alle lotte della generazione precedente, oggi bisogna stare ben attenti a trasmettere alle bambine e alle ragazze gli strumenti per decodificare la realtà e continuare a tutelare diritti di base.
Florencia Martinez, The red square, 2018
(pannolino, ricamo, filo grigio e filo rosso, 47x68 cm)
La Fondazione Pasquale Battista, da lei diretta, ha dimostrato profonda sensibilità verso la «questione femminile», sostenendo progetti di ampio respiro come quello ideato e curato da Manuela De Leonardis, in cui 68 artiste internazionali si sono espresse intorno ad un tema tabù quale Il sangue delle donne. Qual obiettivo si è prefissa la progettualità menzionata?
La Fondazione Pasquale Battista, sin dalla costituzione, ha assunto come priorità programmatica la promozione di iniziative culturali che coniugassero responsabilità civile e pratiche estetiche, impegno sociale e produzione creativa. Le mestruazioni sono un fenomeno biologico che ha assunto nella storia una potente valenza simbolico-culturale. Il sangue mestruale è sempre stato taciuto: rarissimi (ed esclusivamente metaforici) i riferimenti letterari; scarse e tutte molto recenti le rappresentazioni visive in ambito artistico; numerose, bizzarre e astratte le espressioni linguistiche adottate nel tempo e nei vari Paesi per citarle («il Marchese», «le mie cose», «sono arrivati i russi», «ha cantato il gallo», etc…). Quando, durante l’esercizio della mia Direzione, ho incrociato nel 2018 il progetto di Manuela de Leonardis grazie ai coordinatori Dino Lorusso e Ninni Castrovilli, mi è subito sembrato estremamente interessante proporre una riflessione artistica sul costrutto del corpo femminile attraverso uno dei più radicati tabù della storia. Come già espresso in altre interviste, visibilizzare le mestruazioni è un modo per visibilizzare il corpo delle donne come spazio politico e di militanza. Il Progetto Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco è un progetto complesso, multidisciplinare, corale, sia di natura espositiva sia di natura editoriale. Pur tuttavia, esso non si esaurisce in una Mostra né sarebbe stato sufficiente un Catalogo per restituirne la potenza delle voci, dei testi, delle immagini che si inseguono dal Pakistan all’Argentina, dall’India al Giappone, concitate, poetiche, disallineate, a raccontarci memorie famigliari, paure, ribellioni, gesti di gratitudine. Abbiamo ritenuto che un Libro, che si avvalesse anche di contributi di critici ed esperti di questioni «di genere», oltre che delle opere e dei testi delle 68 artiste, fosse lo strumento più adeguato e incisivo per veicolare un messaggio di inclusione e parità sociale.
Mostra integrale inaugurata a Bari, Auditorium La Vallisa,
il 5 settembre 2019
Qual è il bilancio, ad ora, di un percorso tanto ambizioso e quali sviluppi possibili ravvede?
Dal 2018 a oggi il Progetto è stato presentato nelle più prestigiose sedi della cultura contemporanea italiana, dalla Galleria d’arte moderna e contemporanea di Roma al Polo museale-Villa Pignatelli di Napoli, ma anche – e con grande orgoglio – in piccole librerie indipendenti, in luoghi di militanza femminile, in mediateche regionali. Nel mese di Settembre del 2019 è stata inaugurata, presso l’Auditorium Vallisa di Bari (ex chiesa romanica sconsacrata) la Mostra integrale con tutte le 68 opere, con un allestimento suggestivo, poetico ed evocativo, a cura di Manuela de Leornardis, Dino Lorusso e Ninni Castrovilli. Il progetto continua a essere, nelle nostre intenzioni, un progetto itinerante, a servizio delle comunità e delle organizzazioni che desiderino promuoverne con noi metodologie e finalità.
Lina Pallotta, Flash&Blood, 2018
(pannolino, stampa digitale, 51x45 cm)
Valutato il suo iter professionale, può aprirci a considerazioni relative ad un vigente o auspicabile network femminile in ambito lavorativo?
Purtroppo l’ambito lavorativo resta ancora uno dei più complessi nei quali promuovere una «rete professionale di sorellanza» efficace, stabile e trasformativa. Ciò è dovuto a multipli fattori: la predominanza maschile in ruoli apicali e decisionali, la difficoltà di conciliazione dei tempi di vita privati e dei tempi lavorativi, l’organizzazione della mobilità e dei tempi delle città ostili alle donne, il gender gap tra competenze tecnico-scientifiche e umanistiche, e molto altro. Inoltre, spesso le donne (per reazione e contro-reazione storica) tendono ancora ad assumere modelli gestionali di stampo «maschile» che, nei fatti, ostacolano una cultura del lavoro orientata alla cooperazione e al mutualismo. Le sfide che ci attendono, anche in questo ambito, e le strategie che saremo capaci di mettere in campo, marcheranno certamente la differenza tra un futuro ‘giusto’ e uno – nella migliore delle ipotesi, ma oggi voglio essere ottimista – semplicemente ‘sostenibile’.
Libro/Catalogo Il sangue delle donne (Postmedia Books, 2019)
Mostra integrale inaugurata a Bari, Auditorium La Vallisa, il 5 settembre 2019
A cura di Giusy Capone e Afrodita Cionchin
(n. 6, giugno 2021, anno XI)
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