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Festival Internazionale della Chitarra di Timişoara.
Invitato d’eccezione, Aniello Desiderio
Il Festival Internazionale della Chitarra di Timişoara, svoltosi dal 1° all’8 marzo 2019, è un avvenimento molto atteso dal pubblico di Timişoara, a cui gli organizzatori donano un ciondolo portafortuna, il mărţişor. La quarta edizione del festival ha ospitato corsi di strumento e conferenze nell’Aula Orpheum della Facoltà di Musica e Teatro dell’Università dell’Ovest di Timişoara, recital e concerti si sono tenuti nella Sala Capitol della Filarmonica Banatul e al Reflektor Venue. Il festival ha visto la partecipazione di artisti di fama internazionale della chitarra classica come Aniello Desiderio, Thomas Muller Pering, Amadeus Guitar Duo, Antal Pusztai, David Pavlovits, Bojan Ivanovski, Duo Kitharsis, che si sono esibiti in concerti solisti e da camera.
Un concerto straordinario è stato tenuto da uno dei più famosi chitarristi al mondo, un nome di risonanza mondiale per gli intenditori del genere, Aniello Desiderio. Nel 1992 si è diplomato cum laude al Conservatorio di Alessandria in Italia. Si è esibito per la prima volta in un concerto pubblico a soli otto anni, mostrando sin da subito notevoli capacità osservate dalla critica che iniziò a parlare di lui come di «un genio», «un chitarrista del secolo», «il Fenomeno».
Aniello Desiderio si è esibito con I Virtuosi di Mosca diretti da Vladimir Spivakov, l’Orchestra Sinfonica della Radio di Berlino (RSO Berlin), la Deutsche Kammerphilharmonie, l’Orchestra Alessandro Scarlatti, la Bach Collegium Japan, partecipando ad alcuni dei più prestigiosi festival internazionali di musica del mondo.
Nel 2010, Aniello Desiderio ha interpretato il Concerto Madrigal di Joaquín Rodrigo con la leggenda della chitarra classica, Ángel Romero. In estate tiene master class all’Accademia Internazionale Mozarteum di Salisburgo in Austria. È un maestro assai richiesto, insegna al Conservatorio di Musica di Potenza. Il suo più recente progetto intitolato «Dalla A alla Z» è un duo di chitarra accanto al suo più vecchio collaboratore, Zoran Dukić, un’altra leggenda della chitarra classica contemporanea.
Lei è a Timișoara per la prima volta. Quali sono le sue prime impressioni?
La città mi è piaciuta moltissimo, adesso ho avuto anche la possibilità di vedere Piața Unirii, dopo aver visto Piața Victoriei e Piața Libertătii. Molto bella, molto suggestiva. Per quanto riguarda l’atmosfera, l’ambiente, io sono italiano, quindi siamo molto simili. Mi sono sentito veramente a casa in questi giorni, e devo dire che il caffè è buonissimo. Io vengo da Napoli, il caffè è importante…
Nel 2010 è stato invitato a Iasi e dopo 9 anni la ritroviamo a Timișoara nell’ambito del Festival Internazionale della Chitarra, dove suonerà in anteprima una composizione di Leo Brouwer, Concierto de Lieja no. 2 per chitarra e orchestra. Cosa ci può dire su questo pezzo?
La scelta è caduta su questo brano perché quest’anno si stanno festeggiando in tutto il mondo gli 80 anni del maestro Leo Brouwer, che li ha compiuti qualche giorno fa, e quindi vari festival in tutto il mondo gli stanno dedicando composizioni e conferenze. Anche qui mi hanno chiesto un concerto scritto da Brouwer, e io questo concerto l’ho studiato proprio con lui, tanti anni fa. Quale occasione migliore per eseguirlo?
Infatti! Nella sua carriera, grazie alla tecnica perfetta e al virtuosismo con cui interpreta i pezzi musicali, è considerato un Paganini della chitarra. Che cosa può svelare ai giovani chitarristi riguardo ai segreti della sua tecnica interpretativa?
Io dico sempre anche ai miei allievi, oppure in giro quando faccio master class, che la tecnica non è nelle dita. Nelle dita c’è solo il talento, la natura, ma la tecnica è soprattutto nella testa. Invece, l’interpretazione di un brano, di un concerto oppure del nostro repertorio, quella sì che invece fa parte di tutti noi, l’importante è crederci. Io vedo che nelle nuove generazioni di chitarristi ci sono giovani che sono arrivati a un livello tecnico veramente altissimo, però vedo che c’è poca personalità. E penso di sapere anche il motivo: è la paura di cambiare qualche indicazione che c’è in partitura, ma io sono stato fortunatissimo ad avere i maestri giusti al momento giusto... Per esempio, Leo Brouwer oppure Bruno Battisti d’Amario sono state persone che hanno sempre insegnato a me e ai miei colleghi che, se in una partitura noi non cerchiamo di dare quello che abbiamo dentro, resterà sempre un semplice foglio di carta. C’è una bellissima frase di Gustav Mahler, grande compositore, che diceva che sulla partitura il compositore ha scritto tutto, nei minimi dettagli: la tonalità, l’agogica, il crescendo, il diminuendo, l’interpretazione, tranne l’essenziale. L’essenziale dobbiamo cercare di metterlo noi, altrimenti siamo solo degli esecutori. E, infatti, lo stesso Brouwer ha detto che il lavoro del compositore finisce quando ha scritto l’ultima nota. Poi inizia il nostro.
Si sa che è molto legato alla musica di Astor Piazzola e ha interpretato diversi lavori del grande compositore argentino. Che impatto ha avuto su di Lei?
Piazzola oppure Brouwer, cubano, sono grandissimi artisti che occupano una posizione nel mondo, che, se raffrontata con quella della mia città, Napoli, è molto simile, e quello che io cerco di fare – e non posso fare altrimenti – è mettere nella mia arte tutto quello che viene dalla mia cultura, e quindi Napoli, ma anche Cuba e il Sud America, una città e due Paesi dai contrasti fortissimi, ma anche con molta passione, molta vitalità, a volte anche troppa! Però non se ne può fare a meno, e quindi io penso che un artista non debba mai mentire, perché il pubblico non è sciocco, il pubblico si accorge se tu cerchi di stare con loro oppure metti un muro tra te e loro, io sono l’artista, adesso faccio il mio lavoro, prendo i soldi e vado via. Se questo dovesse mai diventare una cosa mia personale, io lascerei la musica.
Una delle parole-chiave per descrivere la sua carriera sembra essere «collaborazione». In che modo mantiene e sviluppa un buon rapporto con i Suoi colleghi musicisti, ma anche con altri artisti?
Innanzitutto cerco di collaborare quanto più è possibile, anche sul palco con altri colleghi, altri artisti. Ma ritorniamo a quello che abbiamo detto prima: l’importante è essere veri. Allora, se si è veri, e dall’altra parte incontri altre persone che vogliono esserlo, poi tutto fila liscio. Il problema è quando si vogliono creare delle situazioni che non sono tue, e quindi non c’è più dialogo, non c’è più discussione, e questa è una cosa che a me non piace, quindi io cerco di essere quello che sono sia nella vita, sia sul palco, e tutte le persone che mi accettano per questo sono i benvenuti.
Un’ultima domanda. Lei ha uno stile molto eclettico, spazia tantissimo su tanti registri, come mai? È una scelta programmatica?
No, capita a volte dopo alcuni concerti, soprattutto da solista, mentre quando suoni con l’orchestra sei più «disciplinato», devi rispettare più cose soprattutto il ritmo ecc., perché suoni con tante altre persone. Capita spesso, dopo concerti da solista, che le persone dicano: «Ah, io non pensavo che la chitarra potesse fare questo». Non è che tu prendi la chitarra e la lanci in aria e fai il giocolino, no. Quello che mi hanno insegnato è quello che cerco di fare: usare lo strumento a trecentosessanta gradi, e la chitarra è uno strumento che può dare moltissimo, anche nella dinamica. Ci sono naturalmente alcune – non segreti – ma alcune accortezze che cerco di usare; per esempio, quando si va in una discoteca – io non ci vado più da tanti anni, ci andavo quando ero giovane, quando mi capitava –, appena entri, per parlare con la tua amica o un compagno ecc., devi urlare. Dopo di che, dopo cinque minuti parli come parliamo noi adesso, perché l’orecchio si abitua a un determinato livello sonoro. Se tu fai abituare il pubblico al tuo forte o al tuo piano, non ci sarà più dinamica, e quindi il contrasto sembra sempre che tu andrai oltre il forte e oltre il piano, perché non permetti mai all’ascoltatore di abituarsi a quello che è il tuo suono, e quindi questa è un’altra cosa che cerco di fare, devi insegnarlo.
Intervista di Cristina Struta e Afrodita Cionchin
(n. 4, aprile 2019, anno IX)
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