«Moby Dick è anche un romanzo mistico». In dialogo con Andrea Comincini

«Oggi mi sembra che troppi registri siano anonimi, e il Mistero venga esplorato senza rispetto, senza alcun atteggiamento contemplativo. Moby Dick è anche un romanzo mistico».
Nel nostro spazio dedicato al romanzo d’avventura dialoghiamo con Andrea Comincini, traduttore dei Diari di viaggio di Herman Melville, il creatore di Moby Dick, l’enorme balena bianca, di leggendaria astuzia e ferocia.
Andrea Comincini è docente nelle scuole, giornalista pubblicista e ricercatore indipendente. Laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi Roma Tre, ha conseguito un Ph.D. in Italianistica presso la University College Dublin, dove ha lavorato in qualità di Senior Tutor. È stato Helm-Everett Fellow presso la Indiana University nel 2011. Tra le numerose pubblicazioni, ricordiamo: Altri dovrebbero aver paura (traduzione e curatela di lettere inedite di Sacco e Vanzetti, con prefazione di Valerio Evangelisti e con un contributo di Andrea Camilleri, 2012); La persuasione e la rettorica di Carlo Michelstaedter, edizione critica (2015); Nefes. Piccolo trattato sull’esistenza infranta (2018); La parola e il silenzio (2022). Il Bel Paese. Un tragicomico viaggio nell’Italia dei furbi, Cartacanta, 2023, è il suo primo romanzo.


Moby Dick
del 1851, da molti ritenuto il capolavoro di Melville, fu riscoperto nel 1921 grazie a una biografia di Raymond Melbourne Weaver. Oggi, l’opera è considerata una tra le fondamentali della letteratura mondiale. Quali sono le peculiarità che la rendono un unicum nel panorama letterario?

I motivi sono molteplici, e tanti critici ci hanno regalato commenti profondi e illuminanti. Penso per esempio a Lawrence: la sua disamina del libro lo porta a esplorare la realtà americana, il melting pot di culture, ma anche la crisi di una civiltà schiacciata da pesanti contraddizioni. Attualissimo. Personalmente credo che sia un unicum per quella rara qualità presente in pochissimi testi (penso all’Ulysses di Joyce, a Proust e alla Recherche, per esempio). Sono opere in cui la vera data di uscita è... domani. Parlano del futuro e non del passato. Raccontano l’uomo dagli albori a quando colonizzerà Marte. Certo, gli spruzzi delle onde e la grande balena bianca restano immagini irraggiungibili in tutta la letteratura «di mare». Sono immagini archetipe. A mio avviso è un unicum per quella incredibile capacità di mescolare «sale e sangue» con spirito e trascendenza.

Moby Dick è altresì un romanzo reputato afferente alla American Renaissance. Ebbene, quali sono i tratti di adesione a tale corrente culturale e stilistica?

Considerando, come accennato prima, che l’opera è anche una critica feroce alla società americana, mi sembra un autore in controtendenza, pur partecipando indubbiamente a quell’epoca. Moby Dick è del 1851: ricordiamoci fu un fallimento a livello di vendite, e solo dopo la morte dell’autore riprese vita. Parlò ai posteri, i suoi contemporanei erano troppo intenti a celebrarsi – forse anche a ragione, visti i prodotti artistici e culturali sbocciati. Ma Melville fu sempre poco sincronizzato con il mondo circostante, secondo me. L’American Reinassance resta indubbiamente un periodo incredibile, lo trovo affascinante, la filosofia del Trascendentalismo, per esempio, andrebbe approfondita con più attenzione e certamente è presente nell’opera maggiore dell’autore. È un discorso molto complesso, in definitiva, e richiederebbe una esplorazione approfondita.

Lei ha tradotto i racconti di viaggio di Melville. L’operazione di traduzione è indubbiamente oltremodo complessa. Pensando al rapporto tra testo da tradurre e figura traduttiva quali «confini» possono essere scorti?

Difficile da dire. Proprio come un’onda oceanica, il testo mi ha travolto, riportato indietro, abbandonato su spiagge deserte e riacciuffato. Tra le varie traduzioni portate a termine, questa è stata la prima che non ho considerato «conclusa»: pulsa talmente di vita da essere incontenibile, aperta. Non ho scorto confini, ma «portali» tra mondi.

I diari di viaggio di Herman Melville palesano al lettore ricordi, percezioni ed esperienze davvero avvincenti. Quali difficoltà comporta il tradurre il cosiddetto «romanzo d’avventura»?

Non saprei. Non credo vi siano difficoltà maggiori o minori rispetto ad altri generi. Certamente è fondamentale essere sintonizzati con l’opera, e ricordare sempre di rendere al meglio ogni termine. Per Melville ho dovuto esplorare tutto il mondo dei dizionari nautici, imparando vocaboli prima sconosciuti. A un certo punto sentivo l’odore del salmastro, distinguevo i tipi di vela, ero pratico di cordami e funi… L’unica difficoltà è stata quella di concludere la lettura, avrei voluto non finisse mai.

Nella produzione contemporanea cos’è rimasto della voglia di scoprire, interesse verso inesplorato, della cupidigia di dileguarsi, dell’ardimento, della scaltrezza e della brillantezza caratteristici del romanzo d’avventura?

Altra domanda difficile. Ci sono tanti grandi autori, spesso sconosciuti, e moltissimi nomi noti, di una mediocrità avvilente. Il mercato ha le sue regole, ma oggi mi sembra che troppi registri siano anonimi, e il Mistero venga esplorato senza rispetto, senza alcun atteggiamento contemplativo. Moby Dick è anche un romanzo mistico. Considerare ciò vuol dire incontrare un autore con uno sguardo leggermente differente da quello dei cacciatori di «Like». Per fortuna, dicevo, esiste ancora la letteratura, ma in questa notte scura serve una fiaccola più potente per scorgerla. Comunque l’interesse verso l’ignoto non potrà mai morire, perché vorrebbe significare la fine dell’investigazione della nostra natura, che dopo 5000 anni è ancora avvolta dalle nubi, e forse lo sarà per sempre.


Tra narrativa e poesia, la letteratura romena è costantemente tradotta in italiano, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2024. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?

Sono indietro con molte letture! Devo rimediare. Per ora mi ha colpito molto Cărtărescu. Fondamentali per i miei studi filosofici sono stati Eliade e Cioran, soprattutto da ragazzo. Credo che troppo spesso ci dimentichiamo del profondo legame storico e culturale esistente tra Italia e Romania. La vostra rivista spiega agli ossessionati delle identità quanta reciproca fratellanza vi sia tra i nostri popoli e come sia impossibile capire chi siamo dimenticandoci degli altri. Per questo vi ringrazio.


A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 5, maggio 2024, anno XIV)