Alina Monica Turlea: «Per me la lingua italiana è diventata come una casa» In questo numero pubblichiamo un’inchiesta esclusiva sulla scrittura migrante romena in Italia, alla quale la nostra rivista dedica una sezione speciale e un database in costante aggiornamento. Abbiamo intervistato nove fra gli autori più attivi del momento, che rappresentano una realtà complessa e variegata: c’è chi scrive solo in italiano e chi scrive e pubblica in entrambe le lingue, c'è anche chi traduce libri romeni in italiano, c’è chi vive in Italia da più di vent’anni e chi è tornato a vivere in Romania dopo vent’anni oppure vive tra i due paesi. C’è chi scrive soprattutto poesia e chi predilige la narrativa. Quanto alla distribuzione di genere, la maggior parte sono donne.
Mi definisco una scrittrice italofona. Scrivo in lingua italiana da diversi anni: poesie, racconti, articoli, ecc. Inizialmente, ho cominciato a scrivere in lingua italiana delle poesie. Comunque, l’italiano è la lingua della quotidianità, dei miei pensieri, sogni e, inevitabilmente, è anche la lingua della mia scrittura. Che cosa differenzia uno scrittore «migrante» da uno «stanziale»? Probabilmente la differenza sta nel percorso di vita di uno e dell’altro: lo scrittore migrante ha un percorso di vita che include lo spostamento in un determinato posto geografico. Con tale scelta o circostanza di vita arricchisce il suo bagaglio culturale, il vocabolario, le sue immagini, metafore, la propria vita. Lo scrittore stanziale, per scelta o diverse circostanze, rimane nel paese d’origine perché la vita non lo ha portato a emigrare o abitare in altri posti. Probabilmente la mia distinzione non vuole sottolineare soltanto una realtà linguistica, ma pone l’accento esattamente su un percorso di vita, su un mucchio di scelte. Quando hai cominciato a scrivere in italiano e perché? Ormai sono diversi anni, ma ho cominciato a scrivere con più costanza quando mi sono iscritta all’università più di dieci anni fa. Ho scelto questa lingua per i miei scritti perché, secondo me, è molto ricca, leggera e complessa allo stesso tempo, nobile e musicale. È la lingua che adoravano ed esaltavano Petrarca e Leopardi. Ma al di là della scrittura, la lingua del paese di adozione diventa uno strumento fondamentale per abbattere muri e barriere, far valere i propri diritti, per conoscere la cultura del posto e approfondirla. Grazie alla lingua italiana ho potuto aprire la porta di un altro mondo, di guardarlo, di capirlo e interpretarlo. Quanti e quali libri hai finora pubblicato? I primi scritti pubblicati sono stati degli articoli sulla cultura romena. In seguito, dietro l’invito di una casa editrice di Roma, Pagine Ed., ho pubblicato alcuni componimenti in un volume che ospitava quindici autori, di diverse nazionalità, dal titolo Le tue parole. Altri componimenti hanno trovato il loro posto in un mini-sito online gestito dalla stessa casa editrice. Quali sono i temi più ricorrenti nei tuoi scritti? Posso rispondere dando come esempio alcuni titoli: Speranza, Migranti, Attesa. Sicuramente sono temi quali dolore esistenziale, lo sradicamento, l’appartenenza o non-appartenenza, la nostalgia, l’amore, la vita. È stato difficile trovare un editore in Italia? No, non è stato difficile, poiché inizialmente ho partecipato ad alcuni concorsi. I miei versi avevano convinto qualche editore e il seguito è stato piuttosto facile e interessante. A quali concorsi e festival letterari hai partecipato? Come promuovi i tuoi libri? Come già detto, ho partecipato a concorsi non soltanto con diverse poesie, ma anche con dei racconti. Ho ottenuto alcune menzioni di merito da parte della giuria, ma una tra le più grandi soddisfazioni è stata quella di pubblicare il mio primo libro di poesie, La mia Quintessenza, grazie a un concorso organizzato da Aletti Editore. Tale volume rappresenta l’incoronazione di un sogno che tenevo ben celato in un cassetto. Poi sono seguite altre pubblicazioni: si tratta di un concorso chiamato Lingua Madre bandito dalla Regione Piemonte con il sostegno del Ministero della Cultura al quale ho partecipato per tre volte con alcuni racconti autobiografici. Come premio e dopo un’accurata selezione, tali racconti sono stati pubblicati in tre antologie presentate anche al Salone del Libro di Torino. Hai anche tradotto libri romeni in italiano? Se sì, quali? Sì, ho tradotto opere di autori romeni in lingua italiana. Ho dedicato il mio percorso di studi interamente allo studio delle lingue e alla traduzione. Ho conseguito la laurea in Lingue, Culture, Letterature e Traduzione e mi sono specializzata in Letteratura, Linguistica e Traduzione presso Università degli studi di Roma, La Sapienza, ottenendo anche una borsa di studio di un anno all’Università di Parigi, Sorbonne IV. Tutto ciò mi ha permesso di acquisire competenze tecniche, teoriche e pratiche, per intraprendere un percorso che desideravo fare da molto tempo. Ho iniziato durante la pandemia con Ciuleandra di Liviu Rebreanu, opera pubblicata presso Rediviva Edizioni 2020, una traduzione a quattro mani, insieme al traduttore nonché amico, Alessio Colarizi Graziani, con il quale ho continuato la proficua collaborazione e nel 2022, presso la medesima casa editrice, abbiamo pubblicato la versione italiana di Tutti e due (Amândoi) del grande autore romeno del Novecento, Liviu Rebreanu, libro che ho avuto l’immenso piacere di presentare al Salone del Libro di Torino nello stesso anno, nel programma Classici della letteratura romena. È stato il mio primo passo. Mi sono affacciata alla traduzione con coraggio e ciò non è stato altro che un atto di fiducia incondizionata verso me stessa. Cos’è più complesso, secondo te, scrivere o tradurre in italiano? La scrittura propria è espressione di sé stessi, di un mondo interiore. Scrivere in italiano, in questa dolce lingua, per me è come una forma di dialogo e per far conoscere il mio cammino. La scrittura significa esprimere il proprio stato d’animo, in una lingua, nel mio caso l’italiano, che nel frattempo è diventata come una casa. Scrivi anche in romeno e pubblichi anche in Romania? Durante la pandemia, quando mi sono trovata di fronte all’impossibilità di tornare nel paese d’origine, un fatto dovuto in parte alle dure restrizioni di quei mesi e alle condizioni imposte, ho deciso che in qualche modo sarei dovuta tornare nella terra natia. Come farlo? Ho scelto le parole. Ho cominciato a stendere poche righe nella mia lingua madre, il romeno, poi alcuni versi, che soltanto due anni dopo hanno trovato spazio fra le copertine di un libro dal titolo Academia însinguraților (Accademia dei solitari), pubblicato presso la casa editrice Eikon di Bucarest. Il titolo denota un isolamento dal mondo, rinchiusi nel proprio essere, nella propria abitazione, un ritiro sociale voluto o imposto? Credo di sì, e molto di più ancora. Cosa significa per te scrivere in italiano rispetto a scrivere in romeno? Collegherò tale domanda alla precedente dicendo che, sempre durante la lunga pandemia, ho continuato la mia attività di traduttrice. Così, ho dato voce ai personaggi di Sara di Furia traducendo dall’italiano al romeno L'apprendista di Goya, (Ucenicul lui Goya) per Lebăda Neagră. Più di trecento pagine mi hanno aiutato a ritrovare «la lingua perduta», ma che in verità era lì, ad aspettarmi, come una mamma paziente che perdona sempre, poiché, come scriveva Alexandre Dumas, «È venuta al mondo per questo». Quali sono i tratti peculiari del tuo linguaggio? Inserisci nei tuoi scritti anche parole romene o voci dialettali della regione italiana in cui vivi? Qui la risposta è molto semplice: provo, e credo di riuscire, a scrivere utilizzando la lingua italiana standard, a volte ricercata. Le cose sono un poco diverse nel parlare; ammetto che mi capita di fare uso di parole dialettali in alcune poche situazioni. Non mi dispiace, poiché è segno di integrazione completa. Nello scrivere, però, presto molta più attenzione. Pensi di tornare un giorno a vivere in Romania oppure lo hai già fatto? Sì, spero di sì. Non so però quando. Un ritorno significherebbe per me ricostruire. Cosa non facile. Ma ovunque lo si voglia fare, ci devi mettere pazienza, coraggio e tenacia. Quale potrebbe essere, secondo te, il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo? Una domanda molto impegnativa. La scrittura, come sappiamo, rappresenta una delle prime forme d’espressione sviluppate dall’uomo al fine di comunicare con i propri simili. Considero che la scrittura sia un’importante risorsa e, al contempo, fonte di ricchezza assoluta. La nostra è una «realtà virtuale», dipendiamo dalle nuove tecnologie, non scriviamo più su una tavoletta di argilla, ma con l’aiuto del computer, dello smartphone. Internet ha agevolato molto la scrittura, ha facilitato l’accesso a numerosi contenuti letterari e ha donato loro una maggiore visibilità. Chi di noi non abbia mai avuto il desiderio di scrivere, di far passare un determinato messaggio, un pensiero profondo o meno? Oggi, con l’avvento dei computer e di internet, è possibile farlo. Uno dei desideri che accomuna molti di noi è l’irresistibile sogno di scrivere. Ora, non molti sono alla ricerca della propria voce letteraria, quella più autentica e vera. E a tal proposito, credo che sarà il futuro a dirci se il nostro sogno, nel frattempo, si sia avverato oppure sia rimasto soltanto un sogno. Poesie inedite di Alina Monica Turlea Passaggio La morte si nutre con sangue vivo, Oh, tu, Morte, La neve copre con un feretro di canditi fiocchi Oggi, sono morta,
All'ultimo respiro è rimasta la stessa disperazione,
Trasparenza Un diluvio di noi dietro i filtri Mi dicevi che l’acqua è cristallina come una voce, Sono cenere di un tramonto invernale, Nello specchio il silenzio parla lo stesso diluvio di noi... A cura di Afrodita Carmen Cionchin |