«L’indifferenza uccide l’artista». In dialogo con Alexandru Darida, vincitore del premio «Botticelli» Proponiamo ai lettori l’incontro con l’artista Alexandru Darida. Nato nel 1955 a Satu Mare in una famiglia di origini italo-romene, il pittore ha frequentato l’Accademia d’Arti di Bucarest. Si è trasferito in Italia nel 1985 quando, dopo aver terminato una formazione specialistica in Romania, ha continuato ad approfondire il discorso artistico specializzandosi alla Benedetti Liberal Academy of Art a Roma, successivamente all’American Academy of Art a Chicago. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti e premi, tra i quali l’«Award of Excellence, City of Chicago, 2010» o il «President's Award American Electrology Association, 2012», fino al più recente Premio «Botticelli» ricevuto in Italia, a Firenze, il 9 febbraio 2019. Per questa occasione abbiamo realizzato un’intervista in esclusiva con l’artista Alexandru Darida. Il periodo iniziale della gioventù mi ha insegnato che non basta avere solo talento. Mio fratello, Ioan Darida, anch’egli artista, attualmente restauratore laureato in conservazione dei Beni artistici a Bucarest, mi ha aperto i primi orizzonti sul colore. È necessario seguire una disciplina di studio. Affinché si possa avere una chiara comprensione dell’arte, bisogna approfondire le proprie conoscenze di psicologia, letteratura e musica. Mi sono sempre preoccupato dell’interferenza dell’arte con la forza quantistica. Brâncuși è riuscito a racchiudere la scultura, la filosofia, in un pensiero complesso che poi ha filtrato in essenza pura. Sei emigrato dalla Romania durante il comunismo e ti sei stabilito in Italia per un breve periodo per poi trasferirti negli Stati Uniti d’America. Andando indietro con la memoria, puoi dirci quanto di nuovo e interessante ha portato ogni paese nella tua pittura? Essere in viaggio, essere alla ricerca, sono stati per te fonte di ispirazione? E qual è stato il contributo che ha portato la trasgressione di diversi spazi e culture? Dopo essere uscito dalle quinte della scena comunista di quell’epoca, mi sono dedicato ai musei di arte italiani con gioia incommensurabile. La ricerca e l’approfondimento delle conoscenze tecniche dei grandi maestri italiani del Rinascimento hanno avuto un ruolo decisivo nella dinamica dei miei dipinti successivi. Lo studio della tecnica degli affreschi e la cromaticità veneziana mi hanno influenzato nell’uso del pigmento e dell’impasto ai quali mi accosto in chiave moderna. Successivamente l’American Academy of Art di Chicago ha contribuito a riorganizzare il mio modo di vedere il mondo, l’arte e la vita. L’incontro con la scena artistica italiana e americana ha avuto, quindi, un forte impatto artistico. Il tuo stile formatosi in Romania ha conosciuto cambiamenti peculiari, modifiche essenziali o si è arricchito successivamente aggiungendo sempre nuove esperienze estetiche? Sempre a New York ho ricevuto di recente il Premio «Constantin Brancoveanu International», mentre il 9 febbraio, come dicevi, mi hanno conferito il premio «Botticelli» a Firenze. Sicuramente, quando mi avvicino al cavalletto, non penso ad alcun premio. Mi piace identificarmi con il pigmento, con la tela o con il materiale con cui lavoro, materializzare l’energia universale senza la quale l’arte non sarebbe eterna. L’artista deve avere una sorta di legame ombelicale con la forza cosmica al fine di creare l’indescrivibile, l’ineffabile. Quando sento di essere riuscito a immortalare anche una goccia di questa energia celeste, provo una gioia immensa per l’opera d’arte.
Intervista realizzata da Andreea Foanene Traduzione di Elena Di Lernia (marzo 2019, anno IX) |