Alexandra Firiţă: «Scrivere in italiano è una parte di me, è la mia identità ‘italiana’»

In questo numero pubblichiamo un’inchiesta esclusiva sulla scrittura migrante romena in Italia, alla quale la nostra rivista dedica una sezione speciale e un database in costante aggiornamento. Abbiamo intervistato nove fra gli autori più attivi del momento, che rappresentano una realtà complessa e variegata: c’è chi scrive solo in italiano e chi scrive e pubblica in entrambe le lingue, c'è anche chi traduce libri romeni in italiano, c’è chi vive in Italia da più di vent’anni e chi è tornato a vivere in Romania dopo vent’anni oppure vive tra i due paesi. C’è chi scrive soprattutto poesia e chi predilige la narrativa. Quanto alla distribuzione di genere, la maggior parte sono donne.
I nostri ospiti sono: Ingrid Beatrice Coman-Prodan, Alexandra Firiţă, Lăcrămioara Maricica Niță, Lucia Ileana Pop, Lidia Popa, Irina Ţurcanu, Alina Monica Ţurlea, Viorel Boldiş e Cristina Stănescu, scrittrice di origini romene. Insieme a loro ci interroghiamo sui significati più profondi della scrittura in una lingua diversa da quella di origine, la lingua del paese di adozione, sulle principali tematiche affrontate e sulle peculiarità della loro creazione letteraria.
Tutti i contributi sono riuniti nel nostro spazio appositamente dedicato, consultabile qui.

Alexandra Firiţă è nata nel 1956 in Romania, laureata in Scienze Infermieristiche e Psicologia a Bucarest. Dal 2009 vive e lavora in Italia, a Oltrepò Pavese, in Lombardia. È membro dell’Unione Mondiale degli Scrittori Medici (dal 2004), del Movimento Letterario Poetas del Mundo, Cile (dal 2018), della Federazione Unitaria Italiana Scrittori - FUIS (dal 2019).
Dal debutto letterario nel 1974 nell’antologia romena Lumini de august (Le luci di agosto), ha pubblicato sette raccolte poetiche in romeno e una in italiano. Ha collaborazioni a diverse riviste ed è presente in numerose antologie tra Italia e Romania.
Ha partecipato a vari concorsi letterari internazionali che le hanno portato premi e riconoscimenti.
Nel 2018 le viene conferito all’Università di Pavia il premio «Donne che ce l’hanno fatta».

Come ti definisci, scrittore/scrittrice «migrante», «italofono/a» o in un altro modo?

Direi che uno scrittore/un poeta è universale, esso appartiene al mondo, la sua patria è quella della parola con cui si descrive e descrive il mondo. L’identità dello scrittore/poeta che sceglie di scrivere nella lingua italiana, «italofono», è sospesa tra due culture, tra il desiderio di essere accettato e quello di non tradire la propria cultura di origine.
Per quello che mi riguarda, meditando sulla mia propria diversità, posso dire che mi identifico come scrittrice/poetassa con molteplici radici (partecipe a due culture), perché ognuna delle lingue che uso per scrivere fa parte di me.


Che cosa differenzia uno scrittore «migrante» da uno «stanziale»?

La differenza tra uno scrittore «migrante» e uno «stanziale» è il percorso di vita. Lo scrittore «migrante», che ha avuto un percorso di vita in altri spazi geografici, arricchendo il suo vocabolario, le sue immagini, cambiando la sua percezione della vita, si trova davanti a una scelta condizionata da una nuova realtà e ha un suo nuovo percorso nella scrittura.Lo scrittore «stanziale» è uno scrittore che per scelta o circostanze della vita non ha avuto percorsi che l’hanno portato a viaggiare, emigrare o abitare in altri posti del mondo e resta appartenente alla sua scrittura.


Quando hai cominciato a scrivere in italiano e perché?

Per me scrivere in un’altra lingua era un sogno non espresso. L’avevo in mente, era una curiosità di sentire come ‘cantano’ le mie parole scritte in romeno e tradotte in un’altra dimensione linguistica. La mia esperienza lavorativa mi ha portato in Italia e così, sin dall’inizio (2004) ho provato a scrivere i miei versi in italiano come esercizio di studio per la nuova lingua in cui dovevo comunicare. Più tardi ho capito che l’italiano, pensando che la nostra latinità ci accomuna, è la lingua in cui la mia creatività si sente ‘a casa’. Concluderei che è stata una sfida con me stessa, scrivere in tutte e due le lingue poesie con tematiche diverse e raramente ho fatto la conversione linguistica.


Quanti e quali libri hai finora pubblicato in italiano?

Ho pubblicato in italiano la raccolta La mia poesia viene da lontano (Libreria Editrice Urso, Avola 2017).


Quali sono i temi più ricorrenti nei tuoi scritti?

I temi sono universali: vita, morte, amore, nascita, il sociale, la condizione del poeta e il suo posto nel mondo, la condizione della donna, la lotta contro la guerra. Parlo delle mie esperienze, cari ricordi, dell’Universo e delle mie radici.


È stato difficile trovare un editore in Italia?

Sinceramente, no. Anche in Italia, come in Romania, ci sono tanti editori disposti a pubblicarti, direi che c’è l’imbarazzo della scelta. Grandi editori e piccole case editrici che ti pubblicano a pagamento come nel nostro paese. Le offerte li trovi sempre su internet, tramite le associazioni culturale o su suggerimento.


Hai partecipato a concorsi e festival letterari in Italia? Come promuovi i tuoi libri?

Ho iniziato a partecipare ai concorsi e festival organizzati da associazioni culturali per confrontarmi con quello che si scrive e quello che si legge di più, per uscire dall’anonimato e farmi presente con la mia scrittura. È stato un bel periodo in cui ho conosciuto tanta gente che scrive e che ama la scrittura, editori, giornalisti, critici letterari ecc. Così sono entrata in un altro mondo dove potevo anche pubblicizzare i miei libri. Anche la libreria editrice dove è apparso il mio libro l’ha pubblicizzato sui suoi canali social e su Amazon.


Hai anche tradotto libri romeni in italiano? Se sì, quali?

Sì, come in un gioco. Ho iniziato con le poesie dei miei amici poeti romeni: Da dove vieni e dove vai di Alexandru Cazacu, 2018, libro preparato per un concorso di poesia in Italia e stampato ad Avola; Poemi in un verso di Dan Florica, 2022, Ravex, Bucarest, Romania, raccolta di poemi in un verso, in romeno, francese (trad. di Paola Romanescu), inglese (trad. di Vasile Moldovan) e italiano (trad. di Alexandra Firita), con la prefazione di Florentin Popescu. C’è poi Era d’agosto di Lorenzo Spurio, 2021, raccolta bilingue italo-romena (Cronedit, Iasi, Romania), con traduzioni in romeno di Stefan Damian, Geo Vasile, Alexandra Firita.


Cos’è più complesso, secondo te, scrivere o tradurre in italiano?

Scrivere in un’altra lingua senza dubbio non è facile senza avere un bagaglio minimo di linguaggio ‘artistico’, di interpretare le parole nelle loro sfumature, di creare metafore o licenze poetiche. Non si scrive facilmente senza pensare nella lingua in cui scrivi. Solo quando hai questa ‘confidenza’ riesci a creare qualcosa di valido. Devi sentire bene il modo di esprimersi naturale in quella lingua, però s’impara col tempo.
Tradurre mi pare più complesso perché devi entrare nelle stesse coordinate emotive, caratteriali, nella personalità del creatore che vuoi tradurre, nell’ambito sociale in cui vive, nella sua testa e nella sua anima. In una parola ti serve empatia. Solo nel momento in cui sei riuscito a capire tutto questo puoi iniziare il lavoro. Praticamente, tradurre è un processo di ri-creazione e da te dipende come sarà percepito quell’autore dai suoi lettori stranieri. Abbiamo la responsabilità di ciò che facciamo delle parole, di come vengono trasmesse nel tempo. 


Scrivi anche in romeno e pubblichi anche in Romania? 

La scrittura nella lingua romena non l’ho mai abbandonata e la struttura della mia scrittura in italiano è praticamente creata su queste basi, direi conservando le mie impronte stilistiche personali in una nuova dimensione linguistica.
I libri pubblicati finora in romeno sono sette: Nostalgii(Nostalgie), 1998; Poeme crepusculare (Poemi crepuscolari), 1999; Descântând tăcerile (Incantando i silenzi), 2000; Netihna ceasului fără sfârșit (L’inquietudine dell’ora senza fine), 2002; La praguri de ape, 2003; Aparținând clipei (Appartenendo all’istante), 2014, tutti editi a Bucarest.
Da poco, dicembre 2022, è stato presentato un mio nuovo libro in lingua madre: Rochia de hârtie (L’abito di carta) e sto collaborando con la rivista romena «Sud», come redattrice.


Cosa significa per te scrivere in italiano rispetto a scrivere in romeno?

Scrivere in italiano è importante, è il mio modo di esprimere i miei punti di vista, le emozioni, di come percepisco il mondo in cui vivo. È una parte di me, è la mia identità ‘italiana’.
(Parto da una parola che mi disegna un pensiero su un certo argomento, e poi le parole si schierano quasi da sole sul mio foglio di carta o nel notes del mio telefonino, o a volte, quando scorrono troppo velocemente, le registro e dopo le metto sulla carta. Così mi succede anche in romeno. Tutto è quasi naturale, sentire i messaggi e trascrivere con fidelità).


Quali sono i tratti peculiari del tuo linguaggio? Inserisci nei tuoi scritti anche parole romene o voci dialettali della regione italiana in cui vivi?

Il mio linguaggio poetico è diretto, con parole semplici che trasmettono emozioni, che hanno una certa musicalità e creano uno ritmo interiore, come un fiume o un fruscio di vento. Mi piace usare arcaismi e forme verbali meno usate. A volte uso anche le parole romene.


Pensi di tornare un giorno a vivere in Romania oppure lo hai già fatto?

Sì. Tornare a vivere in Romania fa parte della mia esistenza. Non so quando sarà quel giorno, ma di sicuro ci sarà, le mie radici sono là, i miei antenati, la mia cultura. Tornerò con un orizzonte culturale arricchito e spiritualmente più libera.
(Però c’è una cosa molto strana. Quando sono ‘a casa’ in Romania mi manca la mia casa in Italia e quando arrivo qui mi manca la ‘a casa’ mia della Romania. Non so perché il mio cuore è diviso fra questi due paesi, perché li sento fare parte di me. Ho due patrie che vivo intensamente, sono cittadina di due paesi meravigliosi.)
 

Quale potrebbe essere, secondo te, il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Viviamo una realtà crudele in cui le guerre non finiscono, la Natura si ribella, le minacce atomiche ci soffocano giorno per giorno, i grandi del mondo non riescono a capire che la cosa più importante è la pace e la libertà, non riescono a capirsi. Cosa potrà fare la scrittura? In questa finestra di tempo in cui viviamo, quando la società evolve verso il tecnologizzare, computerizzare, quando siamo ogni giorno più soli e più ‘virtuali’, la scrittura ci apre nuove prospettive per rifare i ponti fra i mondi, condividere esperienze culturali positive, senza violenza e odio. La scrittura è quella che resta dietro a noi, è il nostro specchio nei tempi.



I poeti

I poeti sono spazzini della luce.
Al mattino con gli occhi bui di sogni
si mischiano fra i passanti
e fingono ad essere svegli
portano nel loro sorriso un pezzo
di via Lattea.
In un angolo del cuore, hanno
rannicchiata la malinconia pisolando,
che si sveglia di colpo
ad ogni fruscio di vento o sbocciare di fiore.
E passano come le ombre
dietro agli alberi spogli di fogli e passeri
guardano nella profondità del verde animo
cercando quel qualcosa intoccabile   con le mani,
solo lo sguardo sa dove trovarlo
scendono fin all'inizio del mondo
quando il diserto regnava
e il tramonto era solo un vago pensiero.
Solo germogli, solo scaglie di luce.
Con la voce scarsa incantati si raccontano
agli alberi come davanti a un antico perpetuo Dio.
Alle sinuose radici essi custodiscono
le parole, una ad una.
Chiuse nei tronchi sorgono con la linfa
sotto le cortecce noiose.
Solo semplici crepe,
solo legnosi insensibili volti,
incantati gli alberi sporgono nei quattro venti
sinfonie di suoni maturati nel ventre di madre gaia
e partorite lì, nell'infinito cielo.
I poeti sono poveri pazzi che sanno
come stregarsi delle loro parole,
sinfonie ancestrali di suoni.

 

 

L’arrivo della primavera

La colpa non è della primavera
che sta arrivando fra i giorni grigi
nemmeno del sole che brilla fra le macerie
né della luna che trema spaventata al fruscio
dei missili e ronzio di carri armati

la colpa è di nessuno dicono
sono partiti senza troppe valigie
senza un pezzo di pane e l’acqua
partiti non si sa dove e quando sarà il ritorno
bambini e mamme e nonni insieme
senza riparo e senza futuro, nemmeno passato
solo un presente straziato, incerto, lugubre
che li sta soffocando in un bunker

la colpa è dell’aria troppo avvelenata di odio
della cenere che giace dentro le nuvole
della pioggia che sputa sul mondo
lingue di fuoco radioattivo
la colpa è della sete di gloria, del potere, del niente
che serve al nulla

la colpa è di un mondo che aveva dimenticato
come fossero le guerre

capisco che la mia tristezza non fermerà
l’arrivo della primavera



A cura di Afrodita Carmen Cionchin
(n. 3, marzo 2023, anno XIII)