Con Alessandro Gerundino sulla scrittrice Paola Masino

Della personalità e la scrittura di Paola Masino parliamo con lo studioso Alessandro Gerundino. Ha conseguito la laurea in Filologia Moderna (LM-14) presso l’Università «Sapienza» di Roma il 22 gennaio 2019 e il Dottorato di ricerca in Studi Italianistici presso l’Università di Pisa il 20 giugno 2023, discutendo una tesi intitolata Le Antiquitates Urbis di Andrea Fulvio nel volgarizzamento di Paolo Del Rosso: cultura letteraria e antiquaria a Roma del primo Rinascimento. I suoi interessi scientifici riguardano la letteratura antiquaria, il rapporto arte-letteratura e parola-immagine. Si occupa anche di letteratura italiana del Novecento e ha pubblicato contributi su Paola Masino, Amelia Rosselli, Dacia Maraini, Giorgio Bassani ed Elio Vittorini. Attualmente è cultore della materia di Filologia della Letteratura italiana presso l’Università «Sapienza» di Roma e revisore per le riviste «Il Veltro» e «Testo e Senso», nonché membro dell’Osservatorio sul romanzo contemporaneo, coordinato dalla Prof.ssa Elisabetta Abignente e Francesco de Cristofaro.         


Anche se nelle opere principali di Paola Masino sono presenti atmosfere oniriche e surreali, l’autrice riesce a mantenere una connessione con la realtà storica e sociale del suo tempo?

Fin dagli esordi del 1931 Masino tenta di spiazzare il lettore, dando vita a un mondo narrativo surreale e distorto. Pur essendo la sua scrittura lontana dal realismo, in alcuni testi si può notare un’attenzione alla società e al costume. Ciò è evidente nel romanzo Nascita e morte della Massaia, pubblicato da Bompiani nel 1945, in cui il capitolo quinto rappresenta un esempio brillante di satira sociale. Durante una festa a casa della Massaia, personaggio principale dell’opera, gli invitati non vengono indicati con il nome proprio, ma con il ruolo che occupano nella società e in cui si trovano ingabbiati (maresciallo, cardinale, dama nazionale), comportandosi di fatto come delle marionette. L’autrice organizza tipograficamente la sua pagina come un copione teatrale, inserendo i nomi in maiuscoletto seguiti dalle battute, per sottolineare che i personaggi non agiscono spontaneamente, ma sono delle maschere e recitano una parte. Si nota facilmente che tale concetto rispecchia il pensiero di Pirandello, a cui Masino fu legata da un sincero rapporto di amicizia. L’autrice esprime in maniera chiara il proprio punto di vista sulla contemporaneità nella scrittura privata, affidata a dodici quaderni di appunti, e soprattutto nell’attività giornalistica. Particolarmente significativa è la sua partecipazione dal novembre del 1944 al gennaio del ’46 al comitato direttivo di «Città», rivista settimanale che aveva lo scopo di promuovere il rinnovamento e la ricostruzione culturale dell’Italia, segnata dai lunghi anni di guerra.


Quali aspetti della condizione femminile emergono con maggiore forza nelle sue opere, e in che modo questi si intrecciano con una visione universale dell’esistenza?

Nei suoi romanzi e racconti Paola Masino riflette molto sulla condizione della donna nella società e sul femminile in generale. Il personaggio più interessante è certamente la Massaia – a cui l’autrice non dà neppure un nome –, vincolata totalmente al suo ruolo di moglie e padrona di casa, a tal punto che anche dopo la morte la sua ombra pulisce e lucida la tomba di famiglia. Nelle Memorie seconde, uno stralcio di diario della protagonista inserito nel romanzo, lei fa una differenza tra la donna e l’uomo, dicendo che l’una è assorbita totalmente dalla gestione della casa, mentre l’altro, pur godendo di una libertà maggiore, si sente comunque intrappolato nella dimensione domestica e ciò lo spinge a cercare un’amante. La Massaia chiarisce questa affermazione raccontando un suo sogno in cui vi sono degli uomini che scendono dal cielo con il paracadute, ma rimangono impigliati nei fili della biancheria e inveiscono contro le mogli.
L’intreccio con la visione generale dell’esistenza è dato dalla riflessione di Masino sulla maternità, l’infanzia e il rapporto tra le generazioni, presente in tutte le opere.


In che misura l’opera di Paola Masino riflette un dialogo critico con il regime fascista, sia nelle sue posizioni implicite che in quelle esplicite?

Il rapporto tra l’autrice e il Fascismo più che dialogo lo definirei uno scontro. Il regime non era favorevole a una scrittura surreale che non mirava alla diffusione dell’ideologia del partito, inoltre, molti temi affrontati da Masino erano considerati tabù e provocarono l’intervento della censura. Rimanendo su Nascita e morte della Massaia, ricordiamo che l’autrice lo dovette stravolgere totalmente: le fu impedito di ambientare la vicenda in Italia, fu costretta a sostituire “lira” con “zecchino”, “Maresciallo” con “Commodoro”, non poté usare le parole “patria”, “Nazione”, dovette sopprimere le citazioni tratte dall’Antico Testamento e inserire tante altre varianti per ottenere l’autorizzazione a pubblicare. Lei stessa ha dichiarato che nella versione definitiva, stampata dopo la caduta del regime, alcune di quelle modifiche potrebbero essere rimaste a testo. Vorrei ricordare altri tre episodi. Nel 1933 Masino pubblicò Periferia, romanzo in cui si parla di un gruppo di bambini e dei loro giochi. Mussolini stesso inviò un telegramma al Ministero della Cultura Popolare, dicendo di «spazzare gli angoli morti della letteratura» e Farinacci criticò severamente il libro perché non faceva riferimento all’Opera Nazionale Balilla. In realtà, la scrittrice era nel mirino dalla censura dal settembre del 1938, quando la pubblicazione del suo racconto Fame provocò la chiusura immediata della rivista «Le Grandi firme» diretta da Cesare Zavattini. Il testo fu giudicato scabroso e offensivo per la morale perché il protagonista uccide i suoi figli. L’ultimo episodio è un ricordo che l’autrice scrive nei quaderni di appunti, all’interno di un testo rimasto inedito e pubblicato nel 2015 a cura di Marinella Mascia Galateria, intitolato Album di vestiti. Lei racconta di essere andata a una festa alla Sala Giovannelli, in via Gregoriana a Roma, con Massimo Bontempelli. Era il 1928, l’inizio della loro relazione. Invitata a ballare da Guido Cristini, presidente del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, rifiutò dicendo: «Io non ballo con gli assassini», perché pochi giorni prima il tribunale aveva fatto condannare a morte un bracciante comunista, Michele Della Maggiora. Si creò subito un grande scompiglio, ma alla fine Bontempelli riuscì a placare gli animi. A prescindere da tutto, la frase dimostra la forte personalità e il coraggio di Masino, all’epoca appena ventenne.      


La morte è un tema ricorrente nella produzione della Masino, sia a livello simbolico che narrativo. Come viene declinato nelle sue opere principali?


Questa domanda meriterebbe un’intervista a sé stante, ma cercherò di sintetizzare portando degli esempi. Da quel che ho potuto rilevare, l’autrice lega strettamente il termine della vita al suo inizio, come pure crea una particolare connessione tra vita e morte. Nella Massaia le parole nascita e morte vengono accostate e inserite nel titolo, perché il testo è costruito tutto intorno al rapporto dialettico tra questi due elementi. La protagonista, da bambina e fino alla maggiore età, vive in un baule e medita sempre pensieri di morte. Di fatto è un oggetto, un qualcosa di inanimato, che non ha vita, ma quella condizione è per lei naturale e rappresenta la sua essenza. Poiché la madre la minaccia dicendo che con il suo comportamento la farà morire di crepacuore, la bambina decide di sposarsi e diventare una padrona di casa. L’uscita dal baule dovrebbe essere una rinascita, segnata dall’ingresso in società e della frequentazione di altri individui, ma è vissuta dalla protagonista come una morte della sua vera identità, difatti rimpiangerà sempre la condizione infantile di oggetto. Quando alla fine del romanzo la Massaia muore, «sua madre […] urlava come quand’essa era nata». Tramite l’urlo, il momento della morte viene associato alla nascita, ma non è l’unico passo in cui è riscontrabile tale accostamento. Un altro esempio potrebbe essere il racconto Regni vaganti, facente parte di Decadenza della morte, raccolta pubblicata nel 1931. L’autrice scrive: «La MORTE nebulosamente si avvolge in un lavoro continuo di plasmazione. […] La sua eccessiva velocità la fa esistere in un punto immobile e fisso, nel quale l’uomo ha racchiuso il nulla (o il tutto), l’infinito, l’eterno. Legge del suo dominio è infatti il continuare perenne d’idee e di cose. Morte è creazione». Il passo citato mostra chiaramente una difficoltà interpretativa, ma penso che il termine “plasmazione” indichi il processo di decomposizione dei corpi privi di vita, che comporta comunque una trasformazione, un passaggio da uno stato ad un altro diverso da quello di partenza. Intesa in tal senso, la morte può essere assimilata alla “creazione”, parola che l’autrice utilizza in questo contesto, ma nel linguaggio comune e in quello biblico – a lei ben noto – è legato al dare la vita. Certamente il tema meriterebbe un’indagine più approfondita.


In che modo Paola Masino rappresenta l’infanzia come spazio di libertà immaginativa, ma anche di oppressione e iniziazione al mondo adulto?


L’infanzia è particolarmente presente nella narrativa masiniana, dal momento che i bambini sono spesso protagonisti dei suoi testi, anche se in modo del tutto particolare. L’opera più interessante sotto questo punto di vista è Periferia. La condizione infantile è certamente simbolo di creatività, in quanto legata alla capacità di immaginare e alla fantasia, infatti, i bambini inventano i loro giochi. È singolare come nel capitolo quarto, intitolato Novembre, Anna chieda di mettere in scena l’Amleto e nel testo venga inserito uno spaccato teatrale, vera e propria riscrittura del dramma shakespeariano. Tuttavia, non si riscontra mai un’idealizzazione del bambino, di cui sono descritte le pulsioni alla vendetta e alla prevaricazione sull’altro – particolarmente evidenti nel personaggio di Nena – come pure il dolore e la frustrazione, che lo portano a dover giocare per distrarsi e non pensare. Ad esempio, Giovanni subisce le angherie di un padre violento, mentre Fran partecipa alla sofferenza paterna causata dai tradimenti della madre. Tutto ciò aiuta a comprendere come l’oppressione del mondo adulto sia presente e venga sottolineata, in quanto l’universo infantile appare minacciato da ogni lato ed è destinato a perire. Significativa è la fine del romanzo, quando alcuni operai con i loro attrezzi arrivano al quartiere Pannosa per edificare nuove case, decretando la scomparsa definitiva del luogo che era stato teatro di giochi e avventure.    


La narrativa di Masino è spesso permeata da elementi surreali e onirici. Come questi contribuiscono a decostruire la linearità della narrazione tradizionale?


La narrazione tradizionale viene decostruita in vari modi. Parlando dell’unitarietà della trama, ad esempio, Periferia è certamente un caso interessante. I capitoli di cui si compone il libro sono quattordici e portano i nomi dei mesi (salvo il primo e il secondo – Quartiere Pannosa e Presentazioni – dove si parla dell’ambientazione e dei protagonisti) perché l’azione narrativa si svolge nell’arco di un anno. Facendo un’analisi attenta, si può notare che vi sono più narrazioni: i capitoli sono collegati solo dalla presenza degli stessi personaggi, ma di fatto sono dei racconti autonomi. Per questa ragione Monica Cristina Storini, in un interessante saggio sull’uso della forma breve in Masino, ha definito l’autrice «una romanziera insofferente». Tale struttura mi ha sempre fatto pensare a Marcovaldo di Italo Calvino, che fu pubblicato trenta anni dopo Periferia, nel 1963, e ha suscitato particolare interesse a livello narratologico.
L’elemento onirico, che pure si trova in tante opere della letteratura italiana – partendo dal sogno di don Rodrigo nel trentatreesimo capitolo de I promessi sposi fino ad arrivare a Sogni di sogni di Antonio Tabucchi (1992) o a Il libro dei sogni di Fabrizia Ramondino (2002) – è fondamentale nella narrativa masiniana. L’autrice lesse certamente Freud e mise per iscritto, su suggerimento di Bontempelli, alcuni dei suoi sogni per inviarli direttamente allo psicoanalista affinché li interpretasse; purtroppo, il progetto non andò in porto a causa della morte di Freud, avvenuta nel 1939. A ciò bisogna aggiungere che l’interesse per gli elementi onirici e surreali, pur essendo già presente nei testi di esordio del 1931, certamente si rafforzò durante il triennio parigino. Paola Masino fu mandata nella capitale francese dai genitori, dove rimase dal luglio del 1929 alla primavera del 1931, perché la sua relazione con Bontempelli, uomo sposato e di trent’anni più vecchio di lei, aveva destato scandalo. Lo scrittore era separato da tempo dalla moglie Amelia Della Pergola, ma è bene ricordare che il divorzio in Italia verrà istituito solo nel 1970. A Parigi l’autrice entrò in contatto con i più grandi artisti, scrittori e intellettuali del tempo, tra cui de Chirico e Savinio, esponenti della poetica metafisica e precursori del Surrealismo, avanguardia che non si diffuse in Italia a causa dell’avversione del regime fascista alla psicoanalisi. È importante sottolineare che Nascita e morte della Massaia fu pubblicato nel ’45 con una copertina disegnata da de Chirico, mentre nel 1970 – quando fu ripubblicato da Bompiani – il disegno fu eseguito da Savinio.


Qual è stato l’impatto della relazione con Massimo Bontempelli sulla produzione letteraria e sulla visione dell’arte di Paola Masino? Perché la sua opera, per essendo innovativa e densa di spunti, è stata per lungo tempo sottovalutata dalla critica letteraria, e come è cambiata la percezione della sua produzione negli ultimi decenni?


La domanda è particolarmente interessante. Naturalmente la poetica di Bontempelli influenzò Paola Masino perché, oltre ai sentimenti che la legarono a lui, lo apprezzò molto come intellettuale e scrittore. Tuttavia, come ho già detto, la tendenza al surreale, all’astrattismo e all’allegoria, è presente fin dagli esordi e dipende delle sue letture e dalla formazione culturale, acquisita in parte da autodidatta, in parte guidata dal padre Enrico Alfredo Masino. La conferma è data dallo stesso Bontempelli nella prefazione a Decadenza della morte. Cito dal testo: «Non riesco a fermare una qualsiasi attenzione di natura critica sopra i più singolari tra questi saggi. Non so precedenti a questa maniera di pensare e di scrivere. […] Mai il primo libro d’un poeta fu quanto questo, liberazione spregiudicata dai fermenti tortuosi della intelligenza adolescente, e capofitto nel pericolo». È importante notare come l’autore sottolinei l’assoluta originalità di questi racconti, che chiama saggi forse perché Masino indaga l’esistenza umana in generale, scegliendo come protagonisti le personificazioni di sentimenti e stati d’animo (Amore, Morte, Follia) e utilizzando una prosa filosofica di carattere argomentativo.
La stima di Bontempelli rimase intatta nel tempo e la collaborazione tra i due fu sempre molto proficua. Nei quaderni di appunti al margine di testi scritti da Paola alcune volte si legge «usato da Massimo», annotazione che rivela la profonda fiducia che l’autore nutriva nei confronti della sua compagna. L’Album di vestiti riporta un episodio che ho piacere di ricordare. Paola racconta che Bontempelli stava scrivendo Vita e morte di Adria e dei suoi figli e per il vestito della protagonista, indossato da Adria durante la sua ultima apparizione in pubblico, si ispirò alla descrizione fatta da Paola di un suo abito.
A mio modo di vedere, la sfortuna di Masino in origine fu legata alle stroncature che subirono i suoi testi, celebre quella di Gadda a Monte Ignoso, e naturalmente all’avversione del regime fascista, di cui si è già parlato. C’è da dire che dopo la morte di Bontempelli, avvenuta il 21 luglio 1960, l’autrice si dedicò quasi totalmente alla valorizzazione delle opere del compagno e al riordinamento del suo archivio. Altro aspetto da considerare è che la critica – forse anche a causa di un pregiudizio maschilista – ha spesso considerato la sua opera un’appendice di quella di Bontempelli e, di conseguenza, ad essa subordinata. Mi ha colpito il fatto che durante un’intervista della fine degli anni Settanta la giornalista, riflettendo con l’autrice sul concetto di mito nel realismo magico, invece di portare ad esempio personaggi bontempelliani come Minnie la candida, Nostra Dea o Eva ultima, cita la Massaia.
Un nuovo interesse verso l’opera di Masino si è sviluppato negli anni Ottanta, con la ripubblicazione di Nascita e morte della Massaia (1982) per i tipi della Tartaruga e la traduzione in tedesco. In seguito, nel 1997, il fondo archivistico dell’autrice è stato acquisito dall’Archivio del Novecento, che si trova presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università «Sapienza» di Roma. Quando il fondo è stato riordinato e il materiale è diventato consultabile, gli studi masiniani sono aumentati e hanno mirato ad un’analisi più oggettiva dell’opera. Tappe fondamentali sono state sicuramente la mostra allestita presso la Casa delle Letterature a Roma nel 2001 e il convegno ad essa collegato (28-30 maggio 2001), organizzato dal Dipartimenti di Studi linguistici e letterari della «Sapienza»; la giornata internazionale di studi Classici italiani nel mondo. Paola Masino, tenutasi alla «Sapienza» il 6 giugno 2013, e la pubblicazione di Album di vestiti nel 2015. Per aver valorizzato e fatto conoscere la scrittrice voglio ricordare in particolare – senza nulla togliere a nessuno, perché i nomi sarebbero tanti – Francesca Bernardini Napoletano, Marinella Mascia Galateria, Beatrice Manetti e Maria Vittoria Vittori, i cui contributi sono punti di partenza imprescindibili per chi decida di studiare l’opera masiniana.        


In che modo la scrittura di Paola Masino si rapporta con la tradizione letteraria italiana ed europea?


Come accennavo prima, la scrittura di Paola Masino è peculiare perché alla base ha numerosissime letture di autori italiani, ma soprattutto di autori stranieri, penso in particolare a Shakespeare, Cervantes, Stendhal e Dostoevskij. La sua biblioteca è ricostruibile sia dai quaderni di appunti, dove sono presenti pareri su vari scrittori e riflessioni su alcuni personaggi, ad esempio Don Chisciotte, gli shakespeariani Puck, Prospero e Calibano e il Cane Nero di Uomini e no di Elio Vittorini. Ma anche le opere creative testimoniano la cultura dell’autrice. Ad esempio, in Decadenza della morte un racconto si intitola Morte di Ariele, personaggio de La Tempesta; in Nascita e morte della Massaia si parla dei libri letti dalla protagonista, viene citata la Bibbia, e vi sono citazioni più o meno scoperte di classici italiani. Penso a quando l’autrice dice che le ragazze non piangono più sulle piante di basilico o scrive «la sventurata non rispose», chiari riferimenti a Lisabetta da Messina (Decameron, iv, 2) e alla Monaca di Monza. Tutto questo bagaglio di letture è fondamentale per comprendere la narrativa masiniana, che si distingue per originalità proprio perché frutto della rielaborazione e riscrittura di tante fonti. Ricordo anche che negli anni Settanta Paola si dedicò a lavori di traduzione di Stendhal, Proust, Madame de La Fayette e altri autori, e scrisse libretti d’opera, di cui uno intitolato Il ritratto di Dorian Gray – ovviamente ispirato al romanzo di Oscar Wildecomposto in collaborazione con Beppe de Tommasi, per musica di Franco Mannino, pubblicato da Curcio a Milano nel 1974 e andato in scena per la prima volta il 12 gennaio 1982 al Teatro Bellini di Catania.  


Qual è il pensiero di Paola Masino sulla scrittura femminile?


Faccio rispondere direttamente Paola, citando uno stralcio dal quaderno 8 degli appunti: «Guardarsi dal monologo. Spessissimo la letteratura femminile non è che un lungo monologo, un riraccontarsi continuo. Forse ne è causa la secolare schiavitù casalinga della donna. […] la donna non conosceva altri, oltre sé stessa; e dunque, anche quando vuole emanciparsi dalla propria misera storia e creare nuove avventure, il personaggio non può essere che lei. Si torna sempre all’autobiografia, che scappa fuori nei modi più imprevedibili: dall’incapacità, nella vita, alle idee generali, in quella stessa vita, al più duro facchinaggio e alla più squallida mancanza di partecipazione. La solitudine femminile è un baratro ove qualsiasi piccola risorsa tu scagli precipita all’infinito. Un uomo solo si dispera, si rassegna, si adatta, si estranea, lega amicizia con il ragno o con le nuvole, fa combutta con i propri piedi, sfrutta le cimici. La donna chiama a raccolta le molteplici immagini di sé stessa (quelle del ricordo e quelle del sogno) e in quelle, a volta a volta, monologando, s’incarna». In questa acuta riflessione, che mi ricorda un passo di Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, è interessante notare come l’isolamento fisico nell’ambiente domestico, imposto dalla società patriarcale alla donna dei secoli passati, sia stato sostituito dalla solitudine psicologica. Dopo la morte di Bontempelli, l’autrice – che aveva pubblicato il suo ultimo testo creativo, Poesie, nel 1947 – tra il 1958 e il ’63 fa un ultimo tentativo scrivendo Album di vestiti, ma, trattandosi di una rievocazione autobiografica – seppure sui generis – sceglie di non pubblicarlo perché sente di non avere più nulla da dire. Proprio in questo scritto dirà una frase che sintetizza efficacemente la sua poetica: «Il piacere dello scrivere sta tutto nell’inventare». Se si pensa a quanta importanza abbia avuto il diario nella vita di molte autrici, ad esempio Virginia Woolf, Gianna Manzini o Alba de Céspedes, colpisce l’avversione di Masino per questo tipo di scrittura. Bisogna segnalare, tuttavia, che tra il 29 agosto 1971 e il 30 giugno dell’anno dopo lei cerca di ritrovare stimoli alla propria creatività dedicandosi per la prima volta alla stesura di un diario, ma già dall’incipit si comprende che il tentativo sarà fallimentare: «Cominciamo un diario, pur di scrivere. L’aborrito diario, piedistallo dell’io (pronome insito perfino nel vocabolo stesso). […] No, scriverò un diario solo – devo avere la forza di confessarmelo – per trovare un filo minimo di “cosa da dire”». Per quanto negli anni Settanta e Ottanta abbia composto libretti d’opera, testi per giornali e riviste e per la Rai, Masino non considerò mai questi lavori alla stregua delle opere pubblicate fra il ’31 e il ’47. Nella sua concezione dell’arte, scrivere su richiesta di altri per dover guadagnare del denaro non era paragonabile al libero sfogo della creatività, con cui manifesta il tratto più nobile della sua individualità: la vocazione alla scrittura.


A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 2, febbraio 2025, anno XV)