Alessandro Bertante: «La scrittura deve dare risposte complesse a delle tematiche complesse» Nella sezione Scrittori per lo Strega della nostra rivista, a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone, vi proponiamo una nuova serie di 10 interviste con gli scrittori candidati al Premio e quelli segnalati all’edizione n. 76, e con i loro libri, allargando ovviamente lo sguardo ad altri argomenti di attualità.
Mordi e fuggi è una frase di Mao Tse-Tung, che ha fatto per lungo tempo la guerra di guerriglia contro l’esercito del Kuomintang. Mordi e fuggi, invece, per i brigatisti significava colpire e rimanere nell’ombra, però nell’ombra fino a un certo punto, perché i brigatisti rossi che descrivo io, cioè quelli dei primi tre anni, sono una realtà assolutamente milanese, molto radicata nelle fabbriche, che però aveva scelto il gesto esemplare, gesto di propaganda, loro la chiamavano la propaganda del fatto, come prassi di lotta politica. Compivano gesti che avevano come pubblico gli operai della fabbrica di Milano ed erano per certi versi dei personaggi mitici, famigerati, molto diversi dalle Brigate Rosse successive, cioè quelle che sparavano, cioè dal ’73 in poi.
I conti in quella stagione non sono mai stati chiusi e non si chiuderanno mai, la strage in Piazza Fontana non ha ancora adesso nessun colpevole dal punto di vista giudiziario, anche se dal punto di vista storico è chiaro, è stata una strage di Stato voluta dai gruppi neofascisti, con la collaborazione dei servizi segreti italiani e di parte delle forze armate. Per quanto riguarda invece il libro, i flashback narrativi, in realtà ha una forma piuttosto lineare, sono tre anni che avanzano in senso lineare, dal 1969 al 1972. La forma della retrospezione, del flashback, è un unico lungo flashback che fa il protagonista sul finale mentre è sul treno per raggiungere un luogo di colline isolato. Io non sono uno scrittore rassicurante, sono uno scrittore che crea domande, quesiti e ogni tanto, magari, riesce a dare qualche risposta. Non era quello il mio intento, il mio intento era cercare le motivazioni per le quali un ventenne potesse aderire alla lotta armata rinunciando praticamente a tutta la sua vita mettendosi in clandestinità, facendo crimini. Le motivazioni mi sembravano molto importanti perché sono scelte radicali e dalle quali non si torna indietro. No, assolutamente no. La letteratura ormai è un mezzo marginale di promozione di istanze ideali e diventerà, come mi disse Saramago quando lo intervistai, la letteratura diventerà quello che è sempre stato, ovvero un meraviglioso passatempo per una élite di persone culturalmente elevate. Questa è la verità dei fatti secondo me e lo so perché da professore universitario ho a che fare con migliaia di studenti che vedono il libro in quanto tale, oggetto ostile a loro non vicino, sono troppo distratti dai dispositivi elettronici e dà comunque una forma di comunicazione più veloce. Il genere mimetico per eccellenza ed è giustamente espressione della borghesia, dalla sua fondazione nel ’500 ai nostri tempi. Poi con l’arrivo della fotografia, del cinema, della televisione, si è contaminato, ha cambiato forma, è più veloce, più ritmato, meno descrittivo da un punto di vista anche del topos della visione. Certo è che è un mezzo molto agile, il migliore che abbiamo per raccontare storie. Il problema vero riguarda quanto gli altri mezzi di comunicazione, ovvero le serie, riusciranno ancora a usare come fonte la forma romanzo o quanto la forma romanzo si adatterà a queste nuove forme di comunicazione, in pratica perdendo la propria identità. Questa è la domanda del futuro. Ci sono molte più scrittrici, ci sono molte più lettrici, non credo ci sia un genere di letteratura femminile, perlomeno forse esiste a livello commerciale. In Italia conosco scrittrici di talento e anche però una vasta area di scrittrici mediocri che hanno anche un seguito. Io però non farei mai una questione di genere in letteratura, credo che le grandi scrittrici e i grandi scrittori facciano parte della stessa categoria, ovvero, i narratori di razza.
Quelli che ha citato innanzitutto. Gli scrittori romeni sono abbastanza tradotti in Italia, nell’ambito dell’Est Europa sono probabilmente i più rappresentati in Italia, insieme ai russi senz’altro. La letteratura romena vive di una fervida attività in Italia, questo credo perché esistano antichi legami culturali fra i due paesi e anche un certo tipo di memoria linguistica simile. Sarebbe da approfondire questo argomento perché è interessante.
A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone |