Carlo Goldoni alle Serate Italiane di Bucarest. Con un'intervista a Maia Morgenstern

Lo scorso 21 dicembre 2016, alla libreria Humanitas Cişmigiu, con l’approssimarsi delle festività natalizie, la LVII Serata Italiana ha voluto fare un omaggio a tutti gli appassionati dell’opera teatrale goldoniana e non solo, mediante il lancio delle Memorie italiane di Carlo Goldoni, pubblicato dalla Humanitas, nella traduzione di Miruna Bulumete, docente di letteratura italiana alla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bucarest. L’evento ha visto la partecipazione di un folto pubblico desideroso di scoprire nuovi elementi sulla vita di Goldoni e sul suo innovativo teatro. Vari gli interventi che si sono succeduti e numerose le domande rivolte dagli studenti italianisti e dal pubblico agli illustri ospiti invitati: la celebre attrice nonché direttrice del Teatro Ebreo di Stato di Bucarest, Maia Morgenstern; la nota critica teatrale, giornalista e realizzatrice televisiva Marina Constantinescu; l’italianista Miruna Bulumete, traduttrice del testo goldoniano.

Il dibattito è stato aperto da Miruna Bulumete che ha presentato la vita del commediografo veneziano e la sua importante riforma teatrale, illustrando anche l’atmosfera culturale e teatrale della Venezia del Settecento. Successivamente Marina Constantinescu ha parlato del ruolo del teatro nella società e del suo sviluppo, venendo incontro così all’interesse del pubblico. L’attrice Maia Morgenstern ha infine incantato il pubblico, interpretando vari brani estratti dal libro.

A conclusione della serata, Maia Morgenstern ha concesso a Serena Ţenea, studentessa della sezione di filologia italiana presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bucarest, una breve intervista che presentiamo di seguito (disponibile anche sulla pagina facebook delle Serate Italiane), con la collaborazione tecnica di Matei Stoenescu.

Nell’ambito del teatro di Goldoni, nel 2013 lei ha messo in scena con i suoi studenti della Facoltà di Arte e Spettacolo dell’Università Hyperion la commedia Il Campiello. Come è stato accolto e affrontato il teatro goldoniano da parte degli studenti e come si è svolta la messa in scena di questo testo teatrale?

Non nascondo che mi sento una privilegiata nell’aver realizzato decine di anni fa questo spettacolo al Teatro dei Giovani di Piatra Neamţ, con il regista Silviu Purcărete. Per me è stata una scuola dove ho imparato molte cose: il rigore, cosa significa lavorare con il corpo e con la mente, cosa significa saper dire una battuta riuscita, il significato dei personaggi, e delle maschere, come possono stare insieme la commedia, la poesia, la nostalgia, il dolore; e tutto ciò l’ho considerato estremamente importante, per gli studenti, perché ha destato in loro interesse, curiosità per la commedia dell’arte e per i suoi personaggi. Ho cercato di trasmettere queste sensazioni, che ritengo preziose, ai miei studenti sotto forma di gioco – così come ci ha insegnato Silviu Purcărete – anche se si trattava di una forma di studio.

Ritiene che esista una chiave o un certo tipo di approccio ai testi goldoniani, dei quali un attore debba assolutamente tenere conto? Se sì, quale?


Goldoni vuol dire la riforma della commedia. Lui coglie la vita come un «fotografo» – e ce la trasmette in tal modo che essa si mantiene viva da secoli; e insieme all’autenticità della vita, ci trasmette quanto di più florido, di immortale ci sia nella commedia dell’arte. Attraverso la riforma della commedia Goldoni, cambiando una regola non scritta già esistente, non fa altro, a mio modo di vedere, che conferire eternità a tutto ciò che di più brillante c’era nella commedia dell’arte, epoca d’oro della commedia, che affida quasi interamente lo spettacolo teatrale all’attore. Non credo che esista «performance» migliore della commedia dell’arte: ciò grazie alla tecnica, alla scienza della recitazione, al ritmo, alla capacità di adattarsi al pubblico, di condurre l’intreccio, di memorizzare testo e situazione allo stesso tempo, rimanendo però fedeli al personaggio, all’autore e perfino al pubblico.

Restando ai suoi contatti con il teatro italiano, so che ha recitato nella pièce Una donna sola di Dario Fo e Franca Rame, messa in scena anche all’Istituto Italiano di Cultura nell’aprile del 2014. Il teatro di Dario Fo è non convenzionale e provocatorio. Com’è stato l’incontro o la sua relazione con questo genere di teatro?


Dipende da cosa intendiamo per non convenzionale. Io mi sono innamorata di questo testo e, nonostante mi sia stato proposto come una commedia leggera, sono stata travolta dalla dimensione tragica della protagonista: la solitudine, l’evasione in una sorta di pazzia in cui lei si immagina storie d’amore, di comprensione, di comunicazione. La relazione con il marito è terrificante; lei è come ricoverata in questo ospedale che è il matrimonio e le uniche vie di scampo restano le storie d’amore o la morte.

Questa è la sua seconda partecipazione alle Serate Italiane. Come Le sembra questo progetto nel quale gli studenti hanno un ruolo così importante?


Sono indotta ora a riflettere che si tratta di una cosa seria! Sarei contenta se il progetto, positivo di per sé, venisse presentato anche sotto un’altra forma: cioè che fossimo noi, «gli invitati», a domandare a voi studenti qual è il vostro punto di vista riguardo ai temi dibattuti in queste Serate; cioè, che fossimo noi, gli invitati, a leggere e a raccontare, per poi fare noi a voi delle domande, cioè coinvolgervi in un dialogo aperto. A me sarebbe piaciuto domandare a voi come vedevate i temi dibattuti in questa Serata.

Interessante proposta, ci penseremo! E intanto mille grazie.



A cura di Serena Țenea e Flavia Vendetti
(gennaio 2017, anno VII)