Vincitori Premio di Poesia Edita «Dieter Schlesak e Vivetta Valacca» 2022

È con vivo piacere che Orizzonti culturali italo-romeni, partner del Premio di poesia edita «Dieter Schlesak e Vivetta Valacca» 2022, organizzato dall’Associazione «La Fonte delle Muse» di Afragola (NA), in collaborazione con il Museo CAM, rende noti i risultati della prima edizione di questa competizione letteraria

A. Libro di Poesia in lingua italiana (Sezione generale)

  • 1° classificato: Toraldo di Francia Ladolfo, Tutte le poesie, Fondazione Mario Luzi Editore
  • Menzione speciale: Gaita Monia, Non ho mai finto, La Vita felice
  • Menzione speciale: Giovannetti Sonia, Pharmakon, Genesi Editrice
  • Menzione speciale: Procino Grazia, Di albe e di occasi, Macabor

B. Libro di Poesia in lingua italiana (Opera prima)

  • 1° classificato: Peduzzi-Narcy Anna Chiara, Figure semplici, Anterem Edizioni

C. Libro di Poesia tradotta in lingua italiana

  • 1° classificato (ex aequo):
  • Manzi Eleonora, Vento blu, di Yun Dong Ju, Ensemble
  • Ogno Lia, Zero, di Pedro Salinas, Interno Poesia

La cerimonia di premiazione avrà luogo sabato 24 settembre 2022 presso il Museo di Arte contemporanea CAM di Casoria (NA), con inizio alle ore 18.30.

In occasione della serata, saranno consegnati inoltre i seguenti premi:

  • Premio speciale «I luoghi dell’anima» assegnato a Galloni Gabriele per l’opera La luna sulle case popolari (ChiPiùNeArt Edizioni). Ritira Irma Bacci.
  • Premio «Alla carriera – Diffusione della Poesia in Italia» assegnato a: Pozzani Claudio.
  • Premio «Alla carriera – Traduzione» assegnato a: Marchetti Adriano.

I premi dovranno essere ritirati personalmente dai vincitori e dai menzionati durante la serata di premiazione, pena la perdita degli stessi. Non sono ammesse deleghe.

 

Landolfo Toraldo di Francia

Mi finirà…

Mi finirà
come ogni altro
questo giorno di maggio.
Vedrò
la luce estrema
del tramonto
disegnare
gli alti tetti delle case.
L’allegria del giorno
esiterà
ancora un istante
nelle piazze
che già accolgono l’ombra
ed il silenzio,
e sarà volo di rondini.
Come ogni altro
questo giorno
offuscherà
con una pena
o un turbamento nuovo
l’anima
che già conobbe
la purità del mattino,
e attenderò
assetato
la brina notturna
come l’erba
che ai margini delle strade
la polvere imbianca
e intristisce.
Mi porterà la sera
un sentore di campi
e la stanchezza
sarà la mia pace.



Monia Gaita

Quella me di prima

Stasera il vento mi sbarra gli occhi in faccia.
Vuol mettermi paura
e io rimango attonita e incerta
alla finestra.

Il vuoto è troppo largo
perché si possa scavalcarlo con un salto;
estrae col becco dai cunicoli del cielo
quattro lampi.

Avrei bisogno di qualche puntaspilli
e un paio di grosse forbici taglienti
per gli sbagli.

E rovistare tra le carte del pensiero
dà uno spasmodico singhiozzo
sopra al cuore,
è traslocare nella vecchia casa
del perduto,

guardare quella me di prima
che sibila, indelebile, tra i rami

e scruta da uno sbuffo della porta
quel che sono.

 

Giovannetti Sonia

Ciò che rimane

È altro il vivere
da questo mio assillante delirio.
Dove sosta la mia vita
e dove ho perso il passo?

Il sole che intravedo
fa compagnia alla mia ombra.
Vado e sempre a te ritorno
come chi ha fame e sete.
E tu taci.

Fu l’isola a sostenere il sogno.
Ricordi il giorno in cui viaggiammo
oltre lo scoglio?
Le vele si offrirono all’acqua
e la barca al tremito di luna.

Non rimane che il tuo volto
a scorrere nelle vene
a sospendere la curva dell’onda
che s’approssima al collasso.

 

Procino Grazia

Dall’alba al tramonto

Nel vocabolario
dei miei antenati contadini
esisteva solo la parola sacrificio.
Nessuna rima con amore
nascosto sotto il materasso
buono solo per procreare
attenti al primo sangue delle fanciulle da maritare.
Dall’alba al tramonto chini sui campi
a strappare la sopravvivenza
i tumulti delle piazze lontani.
Nell’oscurità delle case senza elettricità
il braciere riscaldava mani e cuori
in movimento precario
minestre di legumi e pane duro.
Alla sera per ricordarsi di
essere uomini devoti alla Provvidenza
i rosari chiedevano di rivedere all’indomani
il sole e la zappa.
L’amore in fondo in fondo
al cuore.

 

Gabriele Galloni

Idillio arcadico

Suonano le campane della sera,
insieme, in una sola, bianca voce.
Gorgheggia il fiume, lì, nell’ombra nera,
verso la foce.

Silenzio. I fauni danzano sul colle,
al lume delle torce e delle stelle;
danzano insieme con cadenza molle
madri e sorelle.

Giunge dal mare il suono dei giuncheti,
dei marittimi boschi, degli amanti
nascosti, il suono dolce dei segreti
sospiri affranti.

Amore non è che una brezza lieve
sui corpi dei ragazzi, questa notte;
Amore eterno, bianco, Amore breve,
a voci rotte.

Amore che ritorna e fugge via,
ornato di violette e di asfodeli.
Amore, bacio della nostalgia
senza più veli.

Suonano le campane della sera...

  

Peduzzi-Narcy Anna Chiara

Non un filare né fustaia alpina
non la densa boscaglia serra l’occhio
sulla linea del crinale
a cielo aperto
si avanza a passo fermo
tra due valli
massa d’ombra lambita dal dirupo
segreta subsidenza
dei fondali
dove il viottolo declina
e si inabissa
così il presente duro non piega l’evidenza
l’atto tramuta volontà in sapienza
- saggia la forza e la sua resistenza -
condanna a prese rapide dal vivo
coscienza intermittente e abbarbicata
ad attimi di pia chiaroveggenza

 

Manzi Eleonora, da Vento blu, di Yun Dong Ju

Cari ricordi

Una mattina di primavera, in una stazioncina di Seoul
aspetto il treno come fossi in attesa di speranza e amore,

Sulla banchina lascio cadere l’ombra stanca
e accendo una sigaretta.

La mia ombra evapora l’ombra del fumo,
uno stormo di colombe senza incertezze
volano, una dopo l’altra, illuminate dal sole.

Il treno giunto senza notizie
mi porta lontano.

Finita la primavera – in una silenziosa stanza nella periferia di Tokyo
– provo nostalgia per me stesso rimasto a vagare nelle vecchie strade,
come ne provo per speranza e amore.

Anche oggi il treno è passato senza motivo più volte,
anche oggi ho aspettato qualcuno
vagando sulle colline accanto alla stazione.

Ah, mia giovinezza, resta lì a lungo.

 

Ogno Lia, da Zero, di Pedro Salinas

Il primo morto, vittima iniziale:
quel che verrà ma spira sulla soglia
dell’essere: soffocate imminenze.
Araldiche parole volatrici
– «ora!» «subito!», «già» –, nunzi di gioia
colmano l’aria, che si fa promessa.
Ma quell’annunciazione non si compie:
colei che attende l’estasi, fanciulla,
su quella riva resterà per sempre,
tra Dio e il suo corpo, anima sospesa.
Quante rovine di futuro sparse
vi è tutt’intorno, senza che si veda!
Il primo bacio di futuri amanti.
È cosa umana così tanta gioia?
Riusciranno le labbra a replicarla?
Già volano al secondo; più che un bacio
ricercano chiarezza, la certezza
della capacità di far miracoli
dove le bocche fervide s’incontrano.
Perché se sono gli aliti già uniti
le labbra più non riescono a toccarsi?
Così vicine al bacio non si baciano?
Obbediente all’ardore di quel giorno
la ragazza già addenta il frutto nuovo.
La bocca anela il più segreto succo;
ma resta desiderio: le si nega,
quando già ne avvertiva la dolcezza,
la condensata, dentro, primavera,
polpa di maggio, zuccheri di giugno
sommati in tanti giorni attorno al seme.
[...]



(n. 9, settembre 2022, anno XII)