TIZIANO 1508. Agli esordi di una luminosa carriera

Presso le Gallerie dell’Accademia a Venezia è aperta dal 9 settembre al 3 dicembre 2023 la mostra Tiziano 1508. Agli esordi di una luminosa carriera, a cura di Roberta Battaglia, Sarah Ferrari e Antonio Mazzotta. L’artista è analizzato attraverso 17 opere autografe e viene messo a confronto con altri dieci dipinti, incisioni e disegni di autori del suo tempo come Giorgione, Sebastiano del Piombo e Albrecht Dürer. Tiziano Vecellio era nel 1508 agli inizi della sua carriera, quando Bellini e Giorgione erano ancora gli astri brillanti dell’arte veneziana. Tiziano veniva dal Cadore, una località di montagna delle Dolomiti vicino a Belluno, figlio di quella terra aspra e crudele, che non lasciava scampo all’ozio, terra di duro lavoro del legno, così indispensabile alla flotta veneziana, terra che segnò il carattere del grande pittore, la determinazione, ma anche la longevità non comune a quel tempo.
Tiziano nasce a Pieve di Cadore nel 1488/1490 e si spegne a Venezia durante la peste il 27 agosto del 1576, lasciato morire nella propria casa per rispetto dei suoi concittadini. La mostra si focalizza sul 1508, l’anno di svolta nel debutto dell’artista, anche perché la sua attività è lunga più di cinque decenni e di opere Tiziano ne ha dipinte moltissime per Venezia ma, seguendo la sua biografia, capiremmo anche come cambia il centro di gravità politica nel mondo, lavorerà anche per la corte spagnola, per Filippo II e per Carlo V, quando non era ancora imperatore, per ricchissimi commercianti fiamminghi, sempre in cerca di una ricca committenza, sempre a caccia di onori e fama. Nel 1508 Tiziano era un ventenne già famoso grazie all’opera Giuditta con la testa di Oloferne, un affresco realizzato sulla facciata laterale del Fondaco dei Tedeschi. Nella mostra allestita nelle sale dell’Accademia di Venezia sono esposti importanti capolavori che vengono dall’estero, come la grande stampa Trionfo di Cristo della Bibliothèque Nationale de France, la Madonna con il Bambino tra sant’Antonio da Padova e san Rocco dal Museo del Prado, ma anche dai musei italiani come il Cristo risorto degli Uffizi e Il Battesimo di Cristo dei Musei Capitolini.
La mostra è concepita come una ricerca illustrata sull’arte di Tiziano da giovane, sulle sue «radici intellettuali», sul confronto con i maestri veneziani di prima, dove fu garzone di bottega come dai Bellini o giovane amico di Giorgione, ma anche sul confronto e l’assimilazione della grande lezione toscana e di Michelangelo in primis, il lascito che rappresentò per Dürer fino ai Raimondini di un mondo pieno di dettagli di paesaggi veneti e cagnolini veneziani di piccola taglia, duraturi come il padrone, di sandali infradito romani con nodi barocchi, quando il barocco non c’era ancora, in anticipo sui tempi, un modo di dipingere disegnando con il colore, con le mani addirittura nella sua vecchiaia, cospargendo la pasta materica con le ditta con gesti fermi da cui nascevano le immagini delle mani, degli orli delle vesti o del fuoco ardente di un rogo mistico in movimento in secondo piano. Nessuno ha osato come Tiziano e nessuno ha influito così tanto come lui, maestro di stile ma anche d’impresa artistica, uomo della montagna e pittore del mondo, maestro per il mondo fiammingo e tedesco, venesian cadorin e barone dell’Impero con tanto di collane dorate da ritrarre nelle sue immagini. In breve, Tiziano è il prototipo del self-made man, un artista che ha guadagnato tutto con le sue mani, mani tozze, dalle dita aperte per prendere, per «rubare» l’arte, per fare strada. 
Tiziano Vecellio si può conoscere solo se stiamo attenti ai dettagli. Personalmente, prediligo guardare un quadro di Tiziano partendo dal secondo piano, dal paesaggio nello sfondo, dal cielo sanguineo dell’inverno nel Veneto, dai sandali dell’amorino di Villa Pamphilj, sandalo che ricorda quello dell’angelo Raffaele che conduce per mano  un putin veneto, il piccolo Tobiolo ancora alle prese con il mestiere di guaritore, portato come un scolaretto dall’arcangelo Raffaele che gli insegna l’arte della guarigione del padre ormai cieco, brav’uomo deportato in terra straniera ma coraggioso, che sfida gli assiri nel divieto di seppellire i morti secondo l’usanza ebraica. Il sandalo romano è calzato solo dagli iniziati, l’arcangelo, l’angioletto, il modo classico. Gli altri portano le scarpe del Cinquecento, piccoli polacchini avvolgenti e che tenevano caldi i piedi nei lunghi inverni. A volte l’uguale protagonista del personaggio ritratto, il padrone, è il cagnolino, non solo un animale da compagnia, ma anche un simbolo di fedeltà, come nella tela raffigurante per l’appunto l’arcangelo che accompagna il bambino Tobiolo, figlio del fedelissimo Tobia, portato a conoscere Sara e a imparare l’arte del miracolo. Il cagnolino è quasi sempre lo stesso nelle opere di Tiziano, il che ci fa pensare che dovesse essere proprio il suo animale da compagnia e di casa, bianco dalle macchioline rossicce, con due occhioni teneri e una coda arricciata all’insù, segno di piacere e godimento alla vista del padrone, di taglia minuta come si addice a Venezia, indispensabile compagno fedele dell’artista, alter ego della sua estrosa personalità. Quando si dice che i cani assomigliano ai loro padroni…
Riprendendo il filo possiamo dire che è «una mostra di ricerca che si pone l’importante obiettivo di portare nuova luce e nuovi argomenti al dibattito critico sull’attività aurorale del Vecellio» come sottolinea il direttore delle Gallerie dell’Accademia, Giulio Manieri Elia, «un’esposizione che possiamo definire dossier dedicata a una fase, forse meno nota, della sua produzione, ma che è già ricca di premesse, raggiungimenti e capolavori, propri di una personalità artistica senza pari». Come abbiamo già detto la mostra rimette al centro dell’attenzione opere cosiddette minori di Tiziano, spesso perché si trovavano in uno stato di cattiva conservazione prima del restauro, oppure perché ritenute meno importanti perché realizzate dall’artista in gioventù. Ma proprio questa caratteristica di appartenere a quell’epoca le dà il ruolo di far da Cicerone nel «mondo» di Tiziano, della sua formazione, dei suoi maestri e dei suoi futuri discepoli, della testimonianza della padronanza del talento ma anche della maestria che aveva imparato nella bottega veneziana dei Bellini, come risulta dall’opera realizzata per il convento della Scoletta del Santo (Antonio di Padova) dove Maria nel trono col bambino è una bellissima giovane donna che ricorda la Madonna della Palla di Castelfranco di Giorgione, dove i colori diventano i suoi colori, il «rosso Tiziano» o il «biondo Tiziano»; li fa suoi perché riesce a possederli alla perfezione, dà un significato e una simbologia nuova, così amata più avanti dalla Riforma Cattolica o Controriforma come è chiamata dai manuali scolastici.
Che Tiziano fosse grande già da giovane lo dice lo storico degli artisti, Giorgio Vasari, che nella seconda edizione del 1568 delle sue Vite scriveva a proposito del quadro Tobia e l’arcangelo Raffaele, quadro importantissimo, scelto per illustrare la locandina della mostra, custodito prima nella sagrestia della chiesa di San Marziale: «fece Tiziano, secondo che egli stesso racconta, un angelo Raffaello, Tobia et un cane nella chiesa di San Marziliano, con un paese lontano, dove in un boschetto San Giovanni Batista ginocchioni sta orando verso il cielo, donde viene uno splendore che lo illumina». Vasari dice che fu dipinto nel 1507, confondendolo probabilmente con il dipinto di soggetto analogo che era nella chiesa di Santa Caterina a Venezia e ora si trova alle Gallerie dell'Accademia. Francesco Sansovino nel 1581 conferma quanto scritto prima da Vasari, ma il dipinto fu escluso dal catalogo delle opere di Tiziano a lungo, forse a causa della non felice condizione conservativa nella quale l'opera ha versato per molto tempo. Le  caratteristiche e lo stile tuttavia sono caratteristici dell’opera di Tiziano intorno ai primi anni quaranta quando l'artista comincia a risentire dell'influsso della cultura figurativa manierista tosco-romana dal modo nel quale l'arcangelo posa in modo artificioso per dare importanza al soggetto, ma il paesaggio rimane quello veneto naturalistico, delle foreste di casa sua nel bellunese e dintorni, natura che simboleggia la purezza, la grandiosità di Dio in quanto Creatore, la bellezza e la verità come le intendevano i classici. Un’altra opera poco considerata finora è L’Angelo con il tamburello proveniente dalla Galleria Doria Pamphilj, che faceva parte di una pala che in origine era collocata nella Chiesa dei Servi a Ferrara, ma che poi è stata smembrata. La mostra dimostra che gli altri possibili frammenti sono una Madonna con Bambino in trono, attualmente in Russia, e in un San Francesco, oggi in un museo francese. Gli angeli musicisti sono una lezione patavina insegnata ai veneziani da Mantegna, anche lui di bottega ai Bellini di cui sposò la figlia ed ereditò l’attività, come era consueto a quel tempo. Tiziano riprende il tema in modo magistrale e quel sandalo infradito romano con il laccio aggrovigliato alla caviglia e «sigillato» dal fiocco a farfalla dal sapore barocco è forte quanto una firma alla sua maniera, Titianvs. Particolari che non lasciano dubbi, marchio della maestria pittorica di un artista giovane solo anagraficamente, ma così maturo nella sua arte della quale fecce il suo trampolino di lancio nella rigidissima gerarchia del Cinquecento. L’anno 1508 rappresenta per Tiziano Vecellio l’inizio a tutti gli effetti di una carriera pubblica che lo avrebbe portato a essere il pittore ufficiale della Repubblica Serenissima e modello per i pittori che l’hanno seguito da Velásquez a Rembrandt a Ingres e Delacroix fino agli impressionisti e ai macchiaioli, se dobbiamo pensare alla materia pittorica cosparsa a volte con le mani invece del pennello, segno della forza dell’uomo di montagna che conosce la fatica e le dà la massima espressività attraverso la sua opera.
Come al solito una mostra alle Gallerie dell’Accademia è per me un pretesto in più per una colazione deliziosa nei presi della stazione di Santa Lucia  prima, per seguire il dopo mostra con un giro in Campo San Margherita per i bacari veneziani (piccoli bar d’oggi) così poco conosciuti dai turisti, rimembranza della cultura popolare dove in compagnia di un’«ombretta»  (un bicchiere di vino, chiamato così perché si vendeva inizialmente all’ombra del Campanile di San Marco) e dei «cicchetti», antipasti a base di pesce serviti su una fetta di pane) si può assaporare a pieno Venezia con la sua cultura anche gastronomica e la sua arte. E sono sicura che Tiziano Vecellio, il cadorino diventato barone, avrebbe apprezzato. Termino qui come vi ho già abituato con un dolce e remoto ricordo legato a Tiziano, alla sua arte e alla mia gioventù romena. Era un’estate caldissima a Bucarest e nel giardino di Casa Monteoru, nella terrazza del ristorante degli scrittori conobbi Mirel Zamfirescu e sua moglie presentatimi dal poeta Eugen Suciu. Mi chiese cosa volessi fare «da grande». Risposi che volevo studiare arte e che stavo per andare a Venezia per un soggiorno di alcune settimane all’Arsenale con una mostra sui musei delle capitali europee. Mirel Zamfirescu era l’allievo di Corneliu Baba, grandissimo pittore quanto il maestro, innamorato del rosso di Tiziano. Mi raccomandò di non dimenticare di salutare Tiziano anche da parte sua. Oggi dire a qualche giovane studioso: «quando arrivi a Venezia, saluta Tiziano anche da parte mia» sembra così strano, lontano, inconsueto. A me risuonano ancora nelle orecchie le parole del pittore Mirel Zamfirescu, un signore vestito da gran gentiluomo, con il bastone con pomo d’argento, la barba curatissima e immacolata e il suo sorriso dolce d’amore per il grande Maestro di noi tutti, Tiziano Vecellio.





Tiziano Vecellio, La nascita di Adone, Musei Eremitani, Padova



Tiziano Vecellio, Madonna con il bambino tra Sant'Antonio e San Rocco, c. 1511, olio su tela, 92 x 133, Museo del Prado, Madrid


Tiziano Vecellio, Gesù risorto, 1511-1512, olio su tavola, 133,2 x 83,2 cm, Gallerie degli Uffizi, Firenze


Tiziano Vecellio, Tobiolo e l’Angelo, c.1512-1514, olio su tavola, 170 x 149, Gallerie dell’Accademia, Venezia


Tiziano Vecellio, Tobia e l’arcangelo Raffaele, olio su tela, 190x127 cm, Chiesa della Madonna dell'Orto, Venezia


Tiziano Vecellio, Angelo con tamburello, Villa Doria Pamphilj, Roma


Tiziano Vecellio, Madonna col bambino, olio su tavola, Accademia Carrara, Bergamo


Tiziano Vecellio, San Giovanni Battista, olio su tela, 201x134, 1540, Gallerie dell’Accademia, Venezia




Liana Corina Tucu
(n. 10, ottobre 2023, anno XIII)