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La vivacità del bronzo e della terracotta: il mago Szakáts Béla
Il Museo di Arte di Timișoara ospita, fino al 30 giugno c.a., una mostra indimenticabile: una retrospettiva dedicata a Szakáts Béla. È un avvenimento importante per l’arte visiva di Timișoara, poiché trattasi di creazioni artistiche di alta qualità, che portano la firma di uno dei più raffinati scultori della Romania. Spetta a noi mettere in risalto un mondo in cui il confine tra valore e non-valore è spesso violato, in cui grazie al tam-tam vengono promosse mediocrità che riescono a catturare l’attenzione di coloro che non sanno guardare e, soprattutto, cosa guardare. Viviamo in un’epoca in cui, come osserva il critico Cătălin Davidescu, «il concetto ha assunto maggiore importanza dell’oggetto artistico», un’epoca in cui il gallerista sta in vedetta, non é colui che espone. In cui qualsiasi cosa è arte se è mostrato a dito. Da questo immenso mélange tra kitsch & vecchiume reimpacchettato e presentato come novità, possiamo venirne fuori, possiamo trovare isolotti singolari, perché possiamo ancora scegliere, e ancor di più cosa scegliere. E adesso è il caso di lasciar spazio ad un artista che merita il primo piano: Szakáts Béla. Come lo è, sicuramente, in molte gerarchie personali, ma penso anche a ciò che viene definito canone e alla mancanza imperdonabile, molto spesso, delle sue norme rigorose. Quello di Szakáts si deve ai motivi citati precedentemente, ma anche al suo temperamento, ha preferito fare qualche passo indietro, stare a distanza dai riflettori, rifugiarsi nel suo atelier, non ha avuto pubbliche relazioni né un temperamento ostinato. Le battaglie più dure le ha portate avanti solo con se stesso. Con la creta, la terracotta, il legno, il bronzo e il gesso.
Ricordo i miei primi incontri con alcune opere del signor Szakáts. Erano gli inizi degli anni ’90, le ho viste nella vetrina della Galleria Helios e, sporadicamente, in alcune mostre collettive di altre – assai poche – gallerie di Timișoara. Quei lavori mi sono rimasti impressi nella mente. Erano come impronte le cui strie non sono scomparse con il passar del tempo. Perché? La spiegazione me la sono data più tardi, quando ho avuto l’occasione di rincontrarle o vedere altre opere della stessa famiglia: perché in esse c’è qualcosa di metaumano, che genera non solo uno spazio narrativo, ma anche il tempo. Quello del ricordo, quello che si vivrà e quello presente. Un tempo che non è «imprigionato» nelle ore, nei giorni e nei mesi. È il tempo della libertà dell’immaginazione, del potere dei racconti.
Il soggetto principale della creazione artistica di Szakáts Béla è l’uomo – archetipo che accompagna e anima interamente la sua carriera da circa 60 anni. Una carriera iniziata in un’epoca in cui l’accesso alla vera informazione culturale, non quella proletaria, era pressoché nulla: alla fine degli anni ’50 – inizi anni ’60, quando era studente. Dalle sue testimonianze, non poteva – come quasi tutta la sua generazione – scegliere e faceva ciò che gli era permesso: studiare arte figurativa. Riprovava a reinventare la figura umana. Anzi, la natura umana.
Dal 1962, quando ha terminato la facoltà a Cluj, e fino al 1994, ha insegnato al liceo artistico di Timișoara, mentre la sua vocazione pedagogica – poiché, nel suo caso, si tratta di vocazione, serietà ed intransigenza – l’ha portato alla Facoltà di Arte, dove ha insegnato dal 1994 al 2003, rivestendo anche il ruolo di Responsabile del Dipartimento di Scultura. L’appello degli alunni e studenti del signor Szakáts é difficile da fare, si tratta di una lunga lista, con nomi che si sono affermati e che sono oggi artisti con un denso catalogo. Ci ho tenuto a ricordare la sua grazia pedagogica, che é sempre un’arte. L’arte di trasferire, agli allievi, il proprio mestiere e la tanta maestria. Questo è un lavoro splendido, di profonda umanità, poiché così si è evoluto ed è andato avanti il nostro mondo, grazie ai rapporti genitori-figli e insegnanti-allievi.
Il secondo periodo artistico di Szakáts Béla comprende gli anni che vanno dalla fine degli anni ’60, agli anni ’70, per arrivare agli inizi degli anni ’80, quando le sue opere sembravano rientrare nella normalità, quando l’arte romena cercava di collegarsi all’arte mondiale, quando l’esperimento si praticava anche da noi, quando il liceo di Timișoara era all’avanguardia, quando l’arte di Timișoara e i suoi artisti alzavano l’asticella. E’ il periodo in cui l’arte figurativa evade nell’astratto, quando la figura umana é dinamitata e dinamizzata da fratture, da rotture, quando il postmodernismo, con il suo fragmentarismo, esercita la sua influenza. Sono anni in cui l’artista lavora anche il bronzo, alcuni di questi bronzi sono esposti in questa retrospettiva.
Non poche delle opere esposte al M.A.T. mettono in evidenza la reattività di Szakáts Béla e il suo modo di protestare. Una parte della sua produzione artistica – soprattutto le opere degli anni ’80 e inizi anni ’90 – é una forma di resistenza e di opposizione contro i poteri, gli abusi e le mancanze. Contro i potenti della vita. E’ facile rinvenire queste sculture, poiché hanno immortalato i gesti di rivolta e fronda, ma anche quei gesti di salvezza come, per esempio, l’affacciarsi alla porta o alla finestra.
Szakáts Béla ha lavorato molto, poiché, come lui stesso afferma, l’ha sempre fatto con tanta facilità e piacere. L’arte non è la sua seconda natura, ma é il suo modo di essere. Le sue mani si sono sempre distinte per una continua irrequietezza, sia nel modellare che nel disegnare. Lavora anche oggi alla venerabile età di 81 anni, con la stessa raffinatezza ed elasticità che hanno sempre caratterizzato i suoi lavori. Ma quali elementi completano lo stile Szakáts? La lucidità e la sottile ironia dei suoi personaggi, visibili di primo acchito. Poi, però, ad un esame più attento e profondo delle opere, si osserva come queste sono attenuate o potenziate – dipende dal soggetto, dall’opera – da una loro ipostasi drammatica. Una drammaticità intrinseca, del tutto ostentata, fa sì che le opere siano collegate, siano comunicative e cariche di umano. In questo contesto, vanno osservate, in tante opere, somiglianze tra il volto dell’artista e quello dei suoi personaggi. Non c’é da meravigliarsi: l’arte é anche confessione e ritratto.
In questa retrospettiva di piccola scultura si avverte che il poco serve in misura maggiore rispetto all’abbondanza, al molto, ai grandi, poiché dispone “della tensione metafisica dell’incompiutezza” – come ben osserva, con un aforisma, il poeta Gheorghe Grigurcu. Le opere d’arte possono essere immaginate su una scala monumentale e c’é un esercizio che merita di essere fatto da ciascun spettatore.
Il terzo periodo artistico del signor Szakats, dopo gli anni ’90, in cui lavora principalmente con la terracotta, é caratterizzato da personaggi soprannaturali (non che gli arcangeli o gli angeli non possano essere ritrovati anche nel «periodo del bronzo», ma lì il loro umano potrebbe essere bemolizzato). Il pesce é uno di loro. L’artista lo rappresenta con occhi sporgenti, con una certa aria di bonarietà, scherzoso e un po’ sbalordito. Attenzione, però! Il pesce del signor Szakats é un rapitore. Ed è chiaramente Zeus, trasformato non in un toro, come nella leggenda, ma in un essere acquatico. È Zeus, il rapitore di Europa. Poiché la donna, le donne sul dorso dell’Europa stanno! E attraversando le acque il pesce-Zeus porta via Europa, non volando o correndo. In questo modo, l’artista reinterpreta la leggenda o la reimpersona. I personaggi che danno vita a questa esposizione hanno la propria mitologia, a volte difficile da leggere di primo acchito, poiché i personaggi vestono i panni di re, poeti, preti, signori pieni di sé, di donne opulenti, erotiche e ammaliatrici, di uomini-fiamma, di eremiti strani, di flautisti emaciati e così via. Piuttosto tutti i personaggi del periodo del bronzo hanno corpi emaciati, rimpiccioliti – questo tipo di visione anatomica é propria dell’artista. Il suo mondo é un mondo in cui il tellurico é potenziato dal fantastico e da una grazia che viene da un altro universo, con il suo imponderabile e le sue estraneità, con la sua naturalezza e il suo abulico. Per me, questo popolo szakátsiano é una fonte di energia e di esaltazione interiore, di entusiasmo estetico e di potenziamento del proprio universo immaginario. Mi piace credere che sia la stessa cosa per coloro che hanno avuto modo di visitare l’esposizione del M.A.T. e per coloro che non vorranno lasciarsi sfuggire l’occasione.
Robert Şerban
Traduzione di Elena Di Lernia
(n. 6, giugno 2019, anno IX) |
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