Rubens, «I Palazzi di Genova» e il viaggio di formazione

Il mondo barocco era un tempo nel quale i pittori avevano una formazione poliedrica, dove la pittura era solo una delle arti che conoscevano, spesso non unica nella quale eccellevano, grazie a una formazione completa, dove il viaggio all’estero che comportava spesso la conoscenza delle lingue straniere oltre al latino, contribuiva a creare rapporti di lavoro, ma soprattutto a formare un gusto e a far incontrare le culture. Tra questi artisti completi si distingue Pieter Paul Rubens (Siegen, 28 giugno 1577 – Anversa, 30 maggio 1640), italianizzato Pier Paolo, uno dei primi promotori della cultura fiamminga in Italia, ma anche dello stile italiano nei Paesi Bassi. Il punto d’incontro fu prima a Mantova, dove il pittore si trovava presso la corte del duca Vincenzo Gonzaga, e poi a Genova, dove il Gonzaga amava andare per affari, per piacere di giocare d’azzardo e per ammirare le belle donne, per curare il suo malandato ginocchio con bagni di mare, così avant la lettre a quell’epoca.
Rubens ha visitato spesso Genova ed è rimasto colpito dai suoi palazzi al punto che, tornato nei Paesi Bassi fece uscire nel 1622 un libro: I Palazzi di Genova [1]. Per festeggiare i quattrocento anni della prima edizione del libro, la Regione Liguria e il Comune di Genova hanno realizzato una mostra dedicata a Pier Paolo Rubens, mostra accompagnata da un bellissimo catalogo edito da Electa [2], un bel ‘mattone’ di quattrocento e passa pagine, come gli anni che sono passati e con un bordo d’orato che ricorda il secolo che rispecchia il «siglo de oro» del barocco. La mostra si iscrive in un vasto programma dedicato al barocco e continua un’altra iniziativa sul tema: Superbarocco: la forma della meraviglia della quale abbiamo avuto modo di parlare in un numero precedente [3]. Per capire la particolarità dell’Italia, il suo immenso patrimonio culturale e artistico disseminato ovunque, basta osservare che la mostra Rubens a Genova non si trova soltanto al Palazzo Ducale, ma è accompagnata da altre micro-mostre, come quella dedicata ai giardini delle ville genovesi e ambientata dentro il Palazzo Grimaldi detto “della Meridiana” oppure quella del palazzo Imperiale in Piazza del Campetto, dedicata alla vita, ai costumi e ai profumi delle donne genovesi dell’epoca. Come esempio si distingue l’ex padrona di casa che ha posato per Rubens in un famoso quadro:  Ritratto di Brigida Spinola Doria (figura 1), un dipinto a olio su tela (152,5x98,7 cm) realizzato nel 1606, conservato nella National Gallery di Washington. Il quadro fu commissionato dal marchese  Giacomo Massimiliano Doria e raffigura la moglie. Si capisce che il dipinto è stato più volte tagliato, perché manca la parte inferiore della figura della marchesa, che doveva essere intera in originale, come era consueto essere raffigurata l’aristocrazia dell’epoca; in questo modo si sono perse la raffigurazione del giardino sullo sfondo e la parte inferiore della gonna della donna. Appena usciti dal palazzo Ducale entriamo nella chiesa dei Gesuiti dove la pala d’altare raffigura la Circoncisione di Gesù (figura 2), opera di Rubens rimasta miracolosamente in loco, come tante altre opere legate al maestro fiammingo che si trovano nelle chiese o nei musei genovesi. Non si può non visitare la Galleria Spinola, dove Rubens e Van Dyck, il suo alunno più meritevole, la fanno da padroni negli spazi che ne raccolgono le opere.



Fig. 1 Brigida Spinola Doria, ritratto di Pier Paolo Rubens




Fig. 2 La Circoncisione di Pier Paolo Rubens, Chiesa del Gesù, Genova


Tornando alla mostra del Palazzo Ducale spicca fra i ritratti quello valorizzato anche dalla copertina del catalogo e della locandina, ritratto che arriva dall’Inghilterra e che rappresenta la bellissima Violante Maria Spinola Serra (figura 3), che Rubens dipinse nel 1607, oggi a Buscot Park (Oxfordshire). L’abito rispecchia la moda spagnola ed è formato da un corpetto dal damasco luccicante che assomiglia a una vera armatura, una gonna ampia bianchissima in raso di seta, un colletto in merletto rigido che funge da torta di panna montata e sopra, come una ciliegina, si posa la splendida testa della marchesa con una acconciatura a riccioli abbellita da piume e fiori per mettere in risaldo i preziosi orecchini e la collana di perle annodata sul petto. A destra un pappagallo coloratissimo fa da «status symbol» per ostentare ricchezza e rassicurare i sudditi del benessere di cui disponeva l’aristocrazia genovese.


Fig. 3 Violante Maria Spinola Serra, Rubens, Buscot Park (Oxfordshire), Faringdon Trust

Gli Spinola, i Pallavicini, i Grimaldi o gli Imperiali erano non solo ricchi, ma anche colti e moderni, vivevano in palazzi con i confort dell’acqua corrente, circondati dai giardini con grotte meravigliose, con giochi idraulici a dare spettacolo. In città è rimasto il bel ninfeo scenografico che si trova nell’atrio del palazzo Nicolosio Lomellino (figura 4) sulla Strada Nuova (odierna via Giuseppe Garibaldi), dove possiamo ammirare la metamorfosi del figlio del Dio Sole, il povero Fetonte, figlio del Sole, descritto da Ovidio, che perse le redini del carro del padre, immagine dell’impreparato giovane che fallisce nell’impresa iniziatica della vita, opera commissionata dai Pallavicini dopo il 1711 quando acquistarono il palazzo. La paideia, la formazione globale come la chiamavano i greci, è un viaggio iniziatico, come il viaggio della formazione di Rubens in Italia e in speciale modo a Genova, come il viaggio del Grand Tour del XVIII secolo e come le borse di studio Erasmus della nostra gioventù, che si sposta per studiare in Europa e nel mondo. Rubens non trascura nulla dei meravigliosi palazzi genovesi e ancor di più della quotidianità di chi li abita. Splendori e fasto che facevano parte dell’enorme macchina dell’immagine genovese che era rappresentata dai palazzi dei Rolli.


Fig. 4 Palazzo Nicolosio Lomellino


Che a Genova tirasse il vento della modernità Rubens lo capì subito, aveva 23 anni e conosceva sei lingue e rimase affascinato, al punto di fare della Superba il modello della città moderna. Ma quando scelse di creare la sua di casa e bottega ad Anversa (figura 5) ormai maturo, preferì il modello michelangiolesco della romana Porta Pia per realizzarla.
Guardando le opere di Rubens e dei genovesi che si ispirarono a lui, pensavo: tante volte prima di conoscere Genova mi ero domandata come mai in Italia non c’era l’incontro con l’arte del Nord e i fiamminghi nelle collezioni e nei musei? Avevo visto dei piccoli assaggi della maestranza di questi grandi pittori a olio nelle collezioni sabaude di Torino, ma rappresentavano ben poco prima di vedere i tesori di Genova. Una volta scoperto questo particolarissimo barocco genovese, ho capito, ancora una volta, come la Storia e l’Arte camminano a braccetto sulla via della nostra formazione culturale. Basta pensare un po’ di più su questo tema e l’arte del Seicento diventa tutto molto più chiaro da capire: i fiamminghi arrivano a Genova quando la Repubblica fungeva da banca del monarca spagnolo e i suoi principi marchesi da condottieri come Andrea Doria o Ambrogio Spinola. Dopo il declino della Spagna, anche Genova è trascinata nella decadenza, ma arrivano i Savoia che, a malincuore per i genovesi, conquistano la città e fanno del Palazzo Reale una loro reggia, portando da Genova a Torino anche alcune opere dell’ambiente fiammingo che oggi troviamo nella Galleria sabauda. Rubens si ispira alla vita opulenta ma così moderna dei ricchi genovesi e li ritrae, però porta ad Anversa quello che era “classico” nel gusto europeo d’allora, l’arco di Michelangelo e la sua imponenza romana per dimostrare ai suoi concittadini che era “uomo di mondo” e aveva visto l’Italia. Per Rubens questa formazione era il suo biglietto da visita, ed è per questo pragmatico motivo che si fa costruire la casa secondo i canoni romani, per meravigliare e farsi una buona reputazione, il suo curriculum vitae o cursus honorum che dir si voglia. I palazzi dei Rolli genovesi erano persino fin troppo moderni all’epoca, degni di essere raffigurati da architetti, con sezioni e ricchissimi dettagli in una edizione a stampa di lusso, libro pubblicato in prima edizione nel 1622. Il libro era un oggetto degno di stare sulle biblioteche e nelle sale dei principi, come modello da seguire. In Italia Aldo Manuzio e Pietro Bembo, all’incirca un secolo prima, avevano pubblicato l’opera di Petrarca, il Canzoniere, sempre in una edizione di lusso a Venezia. La città lagunare era l’unica città italiana che rivaleggiava con le tipografie del nord, creava il libro oggetto, un massimo dell’eleganza cortigiana, quel Cortigiano di Baldassarre Castiglione che visse a Mantova, luogo d’incontro tra Rubens e i Gonzaga e poi la raccomandazione di quest’ultimo di Rubens ai nuovi modelli di ricchezza e di lusso, gli aristocratici genovesi. La maglia della storia s’intreccia e va avanti per il secolo e io rimango meravigliata dalla scoperta delle connessioni, dell’incontro delle culture e della magnificenza di questi personaggi dell’epoca: Vincenzo I Gonzaga e la sua Gloria della famiglia che ammirano la Trinità (figura 6), l’aristocrazia genovese e in mezzo Rubens, un giovane che ha saputo con studio e talento sfruttare un momento storico e lasciarci nei suoi ritratti la testimonianza di un mondo del secolo d’oro quando Genova brillava di splendore e di tanta bellezza. Un modello che non sfuggì a Napoleone, che lo trafugò a brandelli pur di prendere la gloria dagli studioli italiani, dai duchi Gonzaga grandi militari per conto del Re di Spagna.


Fig. 5 Museo Casa Rubens, Anversa




Fig. 6 Trinità adorata dalla famiglia Gonzaga, Pier Paolo Rubens


Mi diverto spesso, nel mio lavoro di docente, a insegnare ai giovani questo metodo di studio delle scienze umanistiche attraverso l’arte. In modo non dichiarato, ma sapientemente costruito, porto le scolaresche a vedere le mostre d’arte e grazie al cielo, a Padova non mancano mai. Basta fare solo una camminata nel centro della città e già ci si trova dentro una mostra a cielo aperto. Ho notato che i giovani sono stupiti di scoprire certi intrecci, alcune connessioni tra la storia, l’arte e soprattutto l’architettura. Il pensiero strutturalista, la matrice delle categorie linguistiche di Ferdinand de Saussure applicata alle scienze umanistiche si accontenta di incanalare le conoscenze e le nozioni, la vita stessa in appositi cassetti che hanno impresso la mente ai giovani d’oggi. Rimangono scombussolati quando scoprono per esempio sopra le loro teste la mappa dell’Impero sulla facciata di Palazzo Moroni (figura 7), simbolo della dittatura del ventennio, che appende li, quasi inosservata e che ci ricorda il triste passato recente, oppure le lapidi del decumanum nella cantina di un bar di piazza del Duomo e la fanciulla ballerina di Tiberio che ci dice dall’iscrizione sulla sua urna funeraria che la sua morte prematura ha pure un pregio, di non averla fatto incontrare la vecchiaia, una testimonianza che si trova dentro il reparto della necropoli romana dei Musei Eremitani, simbolo di un altro passato, questa volta remoto, della Padova romana di duemila anni fa. Se riusciamo a leggere la storia dei palazzi possiamo apprezzarla meglio e forse, quando si tratta degli errori dell’autoritarismo recente, di non ripetere gli stessi sbagli. I giovani d’oggi rimangono stupiti perché incapaci di vedere il mondo nelle sue giuste connessioni. Per incuriosire i ragazzi parlo la loro lingua, quella delle macchine e dei motori, faccio vedere loro il simbolo dei Visconti sull’Alfa Romeo, con la croce rossa sullo scudo bianco avvolta dal serpente, il cavallino rampante della Ferrari sull’aereo di Francesco Baracca l’asso dell’aria della Prima guerra mondiale, la vittoria alata, la niké che funge da simbolo della Rolls Roys. Le immagini e i simboli della storia ci parlano ovunque. Dico spesso agli studenti che intendersi d’arte è come indossare un paio d’occhiali speciali che ci fa vedere il mondo in 3D. La funzione dell’arte è di dare conforto all’anima, come la musica, come la poesia, come il viaggio di formazione che allora Rubens fece per conoscere l’Italia e che noi oggi facciamo all’incontrario, per capire l’arte fiamminga del barocco, Rubens e il suo meravigliarsi davanti ai palazzi di Genova quattrocento anni fa al punto di commissionare un libro con i disegni e le sezioni architettoniche di queste meravigliose dimore genovesi.
Sempre a Genova nei giorni nostri un altro grande architetto, Renzo Piano, ha rimodernato il porto con microbolle tropicali galleggianti dove sta un pezzo reale dei secondi piani verdeggianti dei quadri barocchi, una natura incontaminata a disposizione dei pappagallini coloratissimi e gli uccelli acquatici che una volta popolavano le gabbie e le grotte dei palazzi del Seicento.
L’arte è un buon metodo didattico, un modo per ritornare in qualche maniera all’etimologia antica, il kalos dei greci, che vuol dire sia bello che il vero. Proviamolo e saremmo tutti più ricchi di cultura, di bellezza e di verità. In questa bellezza e verità Pier Paolo Rubens si trova in sintonia con Genova e gli restituisce il debito con un volume dei disegni dei più bei palazzi e con una galleria di ritratti dell’aristocrazia che tutt’oggi sono di grande modernità negli atteggiamenti e nella tecnica. Rubens e Genova sono entrati in una simbiosi che possiamo ammirare nella mostra prolungata dal 22 gennaio, proprio per il grande successo di pubblico, fino al 5 febbraio 2023.


Fig. 7 Mappa dell’Impero, Palazzo Moroni, Padova



Liana Corina Tucu
(n. 2, febbraio 2023, anno XIII)


NOTE

1. Mario Labò, I Palazzi di Genova di P.P.Rubens e altri scritti d’architettura, “Il Libro” Nuova Editrice Genovese (seconda edizione, Genova, 2003.
2. Rubens a Genova, a cura di Nils Büttner e Anna Orlando, Electa spa, Milano, 2022, catalogo della mostra con l’omonimo titolo a Palazzo Ducale (6.10.2022 - 22.01.2023).
3. Liana Corina Tucu, «Orizzonti culturali italo-romeni» (n. 9, settembre 2022, anno XII).