Renoir. L’alba di un nuovo classicismo

La mostra di Rovigo di Pierre-Auguste Renoir (Limoges, 1841 – Cagnes-sur-Mer, 1919) a Palazzo Roverella – Renoir. L’alba di un nuovo classicismo - è stata appena inaugurata e resterà aperta dal 25 febbraio al 25 giugno e si propone di rifare in maniera immaginaria il viaggio di Renoir in Italia e mettere la sua opera al confronto con gli artisti del periodo del «realismo magico» o del modernismo come Carlo Carrà, Filippo de Pisis, Armando Spadini, Giorgio de Chirico, Arturo Tosi, Luigi Bartolini, Enrico Paulucci, o le sculture di Marino Marini, Arturo Martini, Eros Pellini e Antonietta Raphaël. Lo stesso Renoir fu anche uno scultore e l’autore di Venus Victrix del 1916). Nello stesso tempo, la mostra è un tentativo che vuole mettere in luce il ritorno alla classica bellezza del grande maestro francese, dopo il viaggio fondamentale e formativo del 1881-1882 in Italia come in un Grand Tour, après la lettre.
I fiori, les fleurs, sembra che sia stata l’ultima parola di Pierre-Auguste Renoir disse prima di morire. Ci ritornano nella mente i fiori tutt’altro che simbolo di bellezza, Les fleures du mal di Charles Baudelaire, il libro di poesie che più di ogni altro ha rivoluzionato la letteratura francese e mondiale dello stesso periodo. I fiori come prima e ultima delizia, quei fiori che Renoir diceva di dipingere con facilità, molto meno impegnativi d’un ritratto. Partendo dai fiori proseguiamo intorno al mondo del grande pittore della seconda parte della sua vita. Un mondo pieno di affetti famigliari, del sole della Costa Azzurra, dei ricordi del viaggio in Italia, della ricerca di una pittura che si trova sulla traccia del Rinascimento e della classicità, molto lontana dagli inizi dalle Moulin de la Galette e la joie du vivre della borghesia parigina dipinta nella maniera impressionista e giovanile.
La mostra ha il pregio di esporre non soltanto quarantasette quadri del grande pittore, ma anche la sua ricerca e i suoi sperimenti nella grafica, nella litografia, addirittura nella scultura.
I pregiudizi critici, come evidenzia Paolo Bolpagni, il curatore della mostra, sono due sulla seconda parte dell’opera di Renoir. Il primo sta nel considerare che, dopo la cosiddetta fase brillante degli inizi sotto il segno dell’impressionismo, Renoir è «decaduto» in una sorte di ripensamento ed è regredito alla vecchia maniera accademica. In realtà, Renoir anticipa in modo visionario un ritorno alla maniera classica dell’arte tra le due guerre. Il secondo sta nel pensare che Renoir sia soltanto un pittore, per lo più soltanto un impressionista, quando, in realtà, lui era una specie di alchimista uscito dalle pagine del libro che amava, il trecentesco Libro dell’Arte di Cennino Cennini, letto nel 1883 in traduzione francese di Victor Mottez, allievo di Ingres. Il passaggio tra i due secoli è per Renoir un’ulteriore tappa di allontanamento dalla maniera impressionista. Sperimentava nuovi colori, tecniche, ma anche materiali, come il gesso patinato della sua Venere vincitrice, che anticipa le sembianze della Pomona di Marino Marino nell’arte italiana del ventesimo secolo. Una via segreta lega il ritorno alla classicità di Renoir al realismo magico italico del secolo successivo e a Pablo Picasso.
Picasso possedeva una tela di Renoir del 1895, che entrò poi a far parte della sua collezione, Mythologie, personnages de tragédie antique, dove i personaggi della tragedia antica ricordano la pittura murale pompeiana. L’amore per le storie antiche greche, per i simboli che rappresentavano i corpi disegnati come appena scesi dall’Olimpo è evidente in ogni opera della mostra.
Il viaggio in Italia è completo, che parte dalla Venezia e da Carpaccio, Tiziano e Tiepolo, a Firenze e da lì a Roma, dove incontra soprattutto le opere di Raffaello e anche i capolavori di Rubens, così tanto presente nel barocco romano. Da Roma e da Villa Farnesina il viaggio prosegue per Napoli, al museo delle antichità e scende fino a Palermo, dove incontra Wagner che ritrae in una posa enfatizzata che provocò un’affermazione dello stesso Wagner a dir poco molto strana: «Sembra un embrione d’angelo ingoiato da un epicureo che lo ha scambiato per un’ostrica».  Il sole del Sud, la scuola dei classici era la via che altri suoi maestri prima di lui, come Ingres, aveva intrapreso.
Il corpo femminile riprende le linee e i colori dei pittori rinascimentali o si assomiglia all’opera La Fortuna di Guido Reni, fortuna che deve essere presa per i capelli quando la si ritrova per la strada della vita come diceva uno che di fortuna labile se ne intendeva assai, Niccolò Machiavelli. Le assomiglianze seguono la linea del tempo passando per la Grande odalisca del maestro francese di Renoir, un altro grande amante dell’Italia, Jean-Auguste-Dominique Ingres. Nella mostra un ruolo centrale ha l’opera del 1882, La baigneuse blonde, dove la modella Aline Charigot, sua futura moglie, è ritratta come una Venere bagnata dal mare. Il corpo della donna occupa con preponderanza il primo piano, il retroscena è solo uno sfondo e la bella bagnante sembra d’essere dipinta da un maestro del passato se non avesse al dito una sottile e timida fede, impegno d’amore con Renoir.
Quest’ultima fase di Renoir mi è rimasta impresa non tanto dai grandi quadri quanto dalle piccole opere, dove il dettaglio della lucentezza di una boule di porcellana di Limoges, con il suo bianco immacolato e il lineare disegno a fiori, racchiude in sé un mondo della gioie, dei momenti famigliari, un Piccolo mondo antico, come avrebbe detto Antonio Fogazzaro.
Personalmente, apprezzo molto le opere con nature morte e i paesaggi, un possibile retaggio nostalgico della mia infanzia. Mi ritengo tra quelle poche fortunate che hanno avuto come insegnanti delle mitiche zie, grandi amanti dell’antiquariato. Un Dio nascosto e generoso mi ha salvato dall’ignoranza grazie alle sorelle colte ed emancipate del nonno materno. E così mi sono data alla pazza gioia dell’antiquariato. Da quella passione è rimasto il gusto per le ceramiche e ogni volta che gli vedo nelle nature morte dei dipinti, mi ritorna in mente la tiepida dolcezza del nido famigliare.
Questa calda atmosfera borghese, con oggetti e profumi di una vita lenta e felice, dovrebbe aver avvolto anche Renoir. La sua seconda parte della vita l’ha trascorso tra le donne della sua famiglia che hanno fatto da modelle, dalla moglie Aline Charigot a Gabrielle Renard, la cugina della moglie che si era trasferita nella casa dell’artista dal 1894 per fare la bambinaia.
Il secondo tema che mi ha colpito fortemente nel «secondo» Renoir è quella dei paesaggi. Dopo il 1908 Renoir, che soffriva di una terribile malattia reumatica, si trasferisce in Collettes, una tenuta vicino a Cap d’Antibes. A Cagnes-sur-Mer il grande pittore si avvicina alla scultura, ma non ha più la forza delle mani e allora si fa aiutare da un allievo di Maillol, Richard Guino. Nella casa con giardino Renoir dipinge fino alla fine della sua vita e sempre lì si trova una copia della splendida statua della Venere vincitrice realizzata con l’aiuto di Guino, una specie di divinità protettrice del luogo. I paesaggi hanno ancora la pennellata lunga a macchia, ma ricordano nei colori del sottofondo, la lezione del Rinascimento italiano. La luce del Midi è tutta nella pasta del colore, nel paesello arroccato sulla cima della collina, nel boschetto rigoglioso in primo piano, nella cattedrale vegetale della natura che s’interpone tra l’artista e i paeselli dipinti in lontananza. La casa museo Renoir si trova vicino a Nizza in un posto che guarda dall’alto il golfo e sta al riparo dall’entroterra, simile al paesaggio ligure di cui è solo una fascia contigua. Una pace edenica emana dai quadri che raffigurano questo posto, un mondo altro che del tramonto, ma tutt’al contrario, della gioia di vivere al contatto con la natura ancestrale, protetti dalla Dea della bellezza come da un totem, un simbolo degli ultimi anni di Renoir.
Sembra che Auguste Renoir fosse così ostinato a dipingere da continuare anche dopo aver perso l’uso di un braccio. Un destino comune, simile al suo omologo impressionista romeno Ștefan Luchian, che legò il pennello alla mano irrigidita dalla sclerosi multipla pur di continuare a dipingere tanti fiori, tra i quali anche gli anemoni. I fiori sono le ultime parole di Renoir, ma anche una specie di lascito testamentario dei due pittori dell’Impressionismo. I fiori del bello e del bene, da contrapporsi ai fiori del male, titolo di Baudelaire che echeggia nel tempo.
La mostra Renoir. L’alba di un nuovo classicismo del palazzo Roverella di Rovigo è una iniziativa e frutto di un lungo lavoro di diversi enti locali che contribuiscono a far crescere il tenore di vita dei rodigini, tanto che la città si piazza al primo posto tra le località venete su questo aspetto. Ancora una volta il connubio tra l’arte e il territorio porta a risultati non solo in termini turistici e di crescita economica, ma anche per quanto riguarda l’offerta educativa dei giovani e meno giovani e fa sì che la pinacoteca dell’Accademia dei Concordi e del Seminario Vescovile di Rovigo non rimanga soltanto un museo, ma diventa un punto d’incontro con grandi mostre come questa, che si propone di darci una chiave di lettura diversa non solo di Renoir, ma anche del suo anticipare con genialità le tendenze interbelliche e soprattutto le opere di tanti artisti italiani che si sono distinti in quegli anni.
Uscendo malinconica e sognante dal palazzo, come in una fiaba, arrivo in piazza Giacomo Matteotti con al centro il monumento dedicato al grande martire della libertà che ha pagato con la vita il suo opporsi al fascismo, originario di Fratta Polesine, un comune nelle vicinanze di Rovigo. Sotto le torri pendenti e medievali mi avvio verso il parcheggio in una domenica italiana piena di sole, d’arte e di cultura con una gioia nel cuore e un desiderio nell’anima di visitare in futuro la casa museo di Cagnes-sur-Mer per vedere quei paesaggi che Auguste Renoir aveva così tanto amato. Sarà un altro luogo nella geografia dell’anima.




Pierre-Auguste Renoir, Moulin de la Galette, 1876, Museo d’Orsay, Parigi




Pierre-Auguste Renoir, Roses dans un vase, 1900, Zurigo, Kunsthaus, Collezione Johanna e Walter L. Wolf



Ștefan Luchian, Gli anemoni, 1908, Museo nazionale d’Arte, Bucarest

 


Pierre-Auguste Renoir, Portrait de Richard Wagner, 1900,
Mamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani-Rocca

 


Pierre-Auguste Renoir, La baigneuse blonde, 1882 Torino, Pinacoteca Agnelli

 


Guido Reni, La Fortuna trattenuta da Amore (olio su tela, cm 77,5x59)
realizzato nel 1623, Pinacoteca Vaticana, Roma

 


Jean-Auguste-Dominique Ingres, La grande odalisca, olio su tela realizzato nel 1814, Louvre, Parigi

 


Pierre-Auguste Renoir, Mythologie, personnages de tragédie antique,
1885, Musée National Picasso, Parigi

 


Pierre-Auguste Renoir, Vases boules, 1905, Milano, Galleria d’Arte Moderna

 


Pierre-Auguste Renoir, Gabrielle, 1910,
Ginevra, Association des Amis du Petit Palais

 


Pierre-Auguste Renoir, Paysage de Cagnes, 1905-1908, Mamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani-Rocca

 


Casa Museo di Pierre-Auguste Renoir a Cagnes-sur-Mer, foto d’epoca



Pierre-Auguste Renoir e Richard Guino, Venere vincitrice, 1914-1916, Museo d’Orsay, Parigi

 


Marino Marini, Pomona, 1949, National Gallerie of Scotland



Liana Corina Tucu
(n. 4, aprile 2023, anno XIII)