«Preraffaelliti. Un nuovo Rinascimento» a Forlì

Dal 24 febbraio al 30 giugno 2024, il Museo Civico San Domenico Forlì ha proposto un appuntamento espositivo dedicato ai Preraffaelliti. La mostra e stata realizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì a cura di Liz Prettejohn, Peter Trippi, Cristina Acidini e Francesco Parisi. La direzione generale è stata affidata a Gianfranco Brunelli. Il progetto espositivo, a cura dello Studio Lucchi & Biserni, ha portato in Italia capolavori provenienti dalle più importanti istituzioni nazionali e internazionali. Il catalogo che accompagna la mostra è edito da Dario Cimorelli Editore.
Ma chi erano i Preraffaelliti?
Intanto i Preraffaelliti sognarono di ripercorrere le strade dei grandi maestri italiani del Trecento e Quattrocento, naturalmente della Toscana, ben conosciuta alla comunità inglese che lì soggiornava da un bel po’. Gli Old Masters che i Preraffaelliti riscoprono all’Inghilterra e all’Europa sono Cimabue, Giotto e la sua scuola, Beato Angelico e Benozzo Gozzoli, il monumentale ciclo di affreschi nel Camposanto di Pisa che fu distrutto dai bombardamenti nella Seconda guerra e salvati alla memoria collettiva dalle incisioni di Lasinio all’inizio dell’Ottocento, Cosimo Rosselli, Verrocchio e i Lippi, il Ghirlandaio, Piero della Francesca, Signorelli e soprattutto Botticelli.
La mostra di Forlì è il più grande evento mai dedicato in Italia ai Preraffaelliti. Sono 320 opere arrivate con prestiti da tutti i musei del mondo per illustrare le tre generazioni, dalle radici ottocentesche dei Nazareni e di John Ruskin, fino alla loro eredità novecentesca. Il confronto col Rinascimento storico determinò questo nuovo Rinascimento, esattamente come lo stile neogotico di Londra prese spunto dall’architettura gotica medievale e dallo stile cistercense. Del Cinquecento si affascinarono gli artisti della seconda generazione: Rossetti, Morris, Burne-Jones, Leighton, Watts, pittori e scultori che fecero una sintesi dell’arte italiana: da Michelangelo alla scuola di Leonardo, da Giorgione, a Veronese e a Tiziano. Il mito dell’Italia e il primato di Firenze vissero a lungo, fino a coinvolgere una terza generazione di artisti, dalla fine dell’Ottocento fino ai primi anni del Novecento. Alcuni protagonisti di quella fase si trasferirono a Firenze, dando vita ai «Circoli fiorentini». Anche grazie a questo incontro culturale all’inizio del Novecento Firenze è la vera capitale letteraria e artistica dell’Italia. Lì andò D’Annunzio e poi Montale, lì si vedevano i Macchiaioli al caffè Michelangelo, lì andrà più avanti Bernard Berenson e Federico Zeri.
Tornando ai Preraffaelliti, il movimento artistico inglese è una vera e propria confraternita in dialogo ininterrotto tra Preraffaelliti e Old Master. Nei progetti del Museo Civico San Domenico di Forlì è sempre forte l’attenzione al possibile dialogo tra i linguaggi artistici delle varie epoche e quelli dell’Ottocento. I Preraffaelliti sono quel gruppo di artisti che, a metà del XIX secolo, ha saputo compiere un’autentica rivoluzione nell’Inghilterra vittoriana. E non solo lì, come emerge dalle 320 opere che sono divise in 16 sezioni, che a loro volta comprendono anche sculture e oggetti d’arte decorativa: dai disegni per vetrate a preziosissimi cofanetti, e poi maioliche, carte da parati, arazzi, oggetti d’arredo. Ma la peculiarità dell’esposizione è che per la prima volta i dipinti ottocenteschi vengono accostati a quelli degli Old Master italiani che ispirarono così profondamente i giovani inglesi alla metà dell’Ottocento. La curatrice Cristina Acidini dichiara di aver esposto una quarantina di capolavori da Cimabue a Giotto, da Beato Angelico a Giorgione e Veronese, da Tiziano a Palma il Vecchio e le loro donne dalle folte chiome, come Virgilio nell’Eneide descriveva la dea della bellezza, una bella donna dai lunghi capelli che si diramavano al soffio del vento.
I Preraffaelliti cercavano la natura, la visione pura della realtà delle cose; i loro colori erano come il carbone delle ciminiere della rivoluzione industriale in corso. Cercavano nelle fonti letterarie gli argomenti idonei come la passione e l’amore, mentre fuori il Dio denaro faceva nascere una modernità piena di miseria e disuguaglianza. Non possiamo dire però che sono dei meri epigoni, ma al contrario, hanno aperto le porte al Simbolismo e all’Art Nouveau. Furono la prima avanguardia, il primo movimento che avrebbe aperto la strada a esperienze poi così diverse e persino contrapposte del Novecento europeo. La varietà delle forme d’arte era legata ad un altro fenomeno artistico tutto all’inglese, il famoso Arts and Craft.

La mostra del centro San Domenico di Forlì si dà come traguardo non solo una semplice presentazione degli autori più importanti del movimento, ma di fare un’analisi dell’evoluzione del fenomeno partendo da John Ruskin ma anche dai Pre-Raffaeliti Brotherhood. E di nuovo Dante Alighieri è il vero protagonista dell’incontro tra le due culture. Se noi oggi immaginiamo Beatrice è anche grazie al quadro che la ritrae incontrando Dante per le strade di Firenze, accompagnata da altre fanciulle, bella, sorridente e dalla chioma folta, come la immaginò Henry Holiday e con lui noi tutti che leggiamo i manuali di letteratura della terza superiore. Sempre legato alla letteratura italiana, ma questa volta a Boccaccio, è l’opera di William Holman Hunt che rappresenta «Isabella (o Elisabetta che dir si voglia) e il vaso di basilico», famoso quadro letterario boccaccesco che parla di un amore negato e finito in tragedia con la decapitazione dell’amato e con l’ossessione della donna di preservare quella dolce testa in un vaso di basilico sempre più rigoglioso da far insospettire i fratelli assassini di Elisabetta da Messina. John Keats nella sua «Bella Donna senza pietà» affonda le radici nella letteratura italiana, ma l’intero movimento dei Preraffaelliti a mio avviso è impregnato non solo dall’arte, ma anche della letteratura prerinascimentale italiana, dall’amore platonico del Dolce Stilnovo, dai tre Maestri Dante, Petrarca e Boccaccio.

La letteratura, oltre all’arte, era la grande fonte del mondo preraffaellita, da Wordsworth, a Keats, a Shelley, a Tennyson ad Allan Poe, dai modelli di Dante e a Boccaccio, al conterraneo Shakespeare, anche lui imbevuto nelle locations venete da Romeo e Giulietta, alla padovanissima Bisbetica domata o all’Ebreo veneziano. Era la Zeitgeist dell’Inghilterra della regina Vittoria, un Medioevo fantastico e leggendario che si rivede tutt’oggi nello «skyline» londinese, con edifici neogotici come fossero usciti dal pennello di Walt Disney, le opere preraffaellite echeggiano di un gotico mitico e flamboyant; un mondo dell’imperialismo britannico che si rifugia nel tempo di Edward II, nel profondo medioevo da dove emergono le radici nostalgiche e le paure di sempre. Quel che Henry James ha detto di Burne-Jones, in fondo si può dire per tutti: la loro fu «un’arte della cultura, del piacere intellettuale, della raffinatezza estetica, tipica di chi guarda al mondo e alla vita non direttamente, ma nel riflesso o nel ritratto adorno che nasce da letteratura, poesia, storia, erudizione». Basta leggere la famosa poesia di Keats e la mostra la si guarda con altri occhi. 

John Keats, La Belle Dame Sans Merci

Perché soffri, o cavaliere in armi,
E pallido indugi e solo?
Sono avvizziti, qui i giunchi in riva al lago,
E nessun uccello cantando prende il volo.

Perché soffri, o cavaliere in armi,
E disfatto sembri e desolato?
Colmo è il granaio dello scoiattolo,
E il raccolto è già ammucchiato.

Scorgo un giglio sulla tua fronte,
Imperlata d'angoscia e dalla febbre inumidita;
E sulla tua guancia c'è come una rosa morente,
Anch'essa troppo in fretta sfiorita.

Per i prati vagando una donna
Ho incontrato, bella oltre ogni linguaggio,
Figlia d'una fata: i capelli aveva lunghi,
Il passo leggero, l'occhio selvaggio.

Una ghirlanda le preparai per la fronte,
Poi dei braccialetti, e profumato un cinto:
Lei mi guardò come se mi amasse,
E dolce emise un gemito indistinto.

Sul mio destriero al passo la posi,
E altro non vidi per quella giornata,
Ché lei dondolandosi cantava
Una dolce canzone incantata.

Mi trovò radici di dolce piacere,
E miele selvatico, e stille di manna;
Sicuramente nella sua lingua strana
Mi diceva, "Sii certo, il mio amore non t'inganna".

E mi portò alla sua grotta fatata,
Ove pianse tristemente sospirando;
Poi i selvaggi suoi occhi selvaggi le chiusi,
Entrambi doppiamente baciando.

Poi fu lei che cullandomi
M'addormentò - e, me sciagurato,
Sognai l'ultimo sogno
Sul fianco del colle ghiacciato.

Cerei re vidi, e principi e guerrieri,
Tutti eran pallidi di morte:
"La belle dame sans merci", mi dicevano,
"Ha ormai in pugno la tua sorte".
Vidi le loro labbra consunte nella sera
Aprirsi orribili in un grido disperato,
E freddo mi svegliai, ritrovandomi lì,
Sul fianco del colle ghiacciato.

Ed ecco dunque perché qui dimoro,
E pallido indugio e solo,
Anche se sono avvizziti i giunchi in riva al lago,
E nessun uccello canta, prendendo il volo.

Gli echi di un Medioevo strabiliante, del cavaliere che difende la Dama, della grotta mistica dove finiscono tutti i pretendenti, la Morte, il thanatos, il rovescio della medaglia dell’eros, dell’amore, è tutto pane della poesia trecentesca italiana che sta alla base della lirica europea. William Morris sarà il designer dell’Arts and Craft che fece del suo stile una moda in Inghilterra fino alla fine del secolo. Non tutti si rivendicano ai maestri prima di Raffaello. Frederic Leighton, per esempio, si lascia conquistare da Michelangelo Buonarroti e dalle sue donne possenti, vigorose o dalla dolcezza delle donne di Guido Reni, bionde, emiliane, dalla carnagione chiara e dai biondi e lunghi capelli. George Frederic Watts è invece conquistato dalla pittura veneta che spicca per il gusto dei colori forti e vivaci, per la mancanza dell’importanza del disegno come partenza e la predilezione del colore. Un ruolo importante ha la colonia degli inglesi che abitavano a Firenze in pianta stabile. Dichiara Acidini: «Non soltanto mandavano in Inghilterra fotografie o copie fatte da loro stessi, ma pure opere d’arte, perché erano anche mediatori e mercanti. Per loro tramite arrivavano in Inghilterra materiali straordinari».
Dante Gabriel Rossetti e il mito delle sue donne è una tematica centrale del movimento. Di origini italiane ma mai tornato nel Bel Paese, Rossetti è lui stesso un personaggio romantico. La moglie Elisabeth Eleonor Siddall è poetessa e pittrice, unica donna a esporre in una mostra dei Preraffaelliti nel 1857. Le altre sono Fanny Cornforth e Jane Morris, moglie dell’omonimo pittore, quest’ultima è raffigurata in Donna alla finestra, sono l’immagine dell’Inghilterra vittoriana che si dileguava tra moralismo e un vero e proprio spirito femminista dell’indipendenza della donna e contro la morale borghese. Christina Rossetti, sorella del pittore, fu poetessa e promotrice della vita culturale riscoperta dopo un secolo dalla morte. Oggi si parla non solo della Brotherhood, ma anche di una Sisterhood, dove Evelyn De Morgan è una bellissima Flora che ricorda l’opera di Botticelli o le altre testimoni come May Louise Greville Cooksey e Maria Eufrosyne Spartali Stillman. Nomi che di per sé sono destinati alla fama e alla gloria, come in passato i nomi degli stilnovisti dalle sonorità medievali.
Di Botticelli, Adolfo Venturi nel 1921, affermava che era: «una febbre di godimento e di vita, che cela un pensiero amaro, si riflette nelle forme agili, nervose, nei subiti languori del più sottile creatore d’immagini che la pittura fiorentina e italiana abbia avuto, del più raffinato poeta del Quattrocento toscano. Il mondo incantato dell’arte di Sandro, con lo splendore dei suoi apparati di velluto, d’oro e di fiori, col singolare nostalgico fascino dei suoi tipi umani e dei suoi ritmi di linee, chiude in sé i sogni di Firenze sul tramonto del Quattrocento, nella vigilia splendida di giorni di passione, del secolo di Michelangelo».
Il cerchio si chiude con degli artisti italiani: anche nel Bel Paese, infatti, si sviluppò una sensibilità per il Medievale e il Rinascimento, ad esempio da parte di Giuseppe Cellini, Guido Aristide Sartorio, Adolfo De Carolis: tutti artisti che negli anni seguenti sfociarono nel Simbolismo e nell’Art Nouveau che racchiudono la fine del Preraffaellismo.
Era lo spirito del tempo, lo Zeitgeist come direbbero i filosofi tedeschi. Quello spirito che rimane impresso nei quadri, come nella letteratura, nei gesti che tradiscono un’epoca o, come ci ha insegnato il grande critico d’arte Federico Zeri, tradiscono anche un falso a volte, perché risultano subito atipici. Nel gotico la postura dei ritratti è fissa e tipizzata come i personaggi stessi; nel neogotico o nei Preraffaelliti vediamo certi atteggiamenti, piccole accortezze che ci fanno capire un qualcosa di malinconico e dolciastro, un romanticismo che sa di Ottocento, della poesia di Keats e del fascino delle belle dame dalle lunghe chiome che i giovani rampolli inglesi volevano imprimere come ideale di bellezza trafugato da Botticelli e da Firenze, che, a sua volta, riprese dalla descrizione di Venere fatta dall’Old Master di Dante e di tutti noi, Virgilio e la sua Eneide (dederendum comam Venere difundis) , dove Venere è una dea in carne e ossa che si avvicina al poeta con la chioma folta dei capelli sparsi al vento. Questa immagine della bella donna che punta tutta la sua femminilità sulla sua lunga chioma è il voto d’amore che i Preraffaelliti fanno all’arte e alla letteratura italiana, dalla quale prendono più vita che spunto, più radici che rami, più essenza che malinconia.
Il mio pensiero ritorna alla grande lezione di Federico Zeri e visitando la mostra guardo con l’occhio disincantato la liturgia della cultura inglese che imita spudoratamente quel Trecento italiano così ambito e penso che a volte i soldati addormentati di Edward Brune-Jones non sono altro che copie di quelli della Cappella degli Scrovegni di Giotto a Padova nella scena della Resurrezione di Cristo, che la Beatrice  di Henry Holiday del 1883 non è altro che una splendida Madonna italica che passeggia lungo l’Arno, ma in un altro tempo e in un’altra epoca, con gesti diversi, atteggiamenti differenti e soprattutto con colori o temi che non hanno più la forza e la tenuta del Pre-Rinascimento italiano, ma lo evocano e gli rendono omaggio.
Essere consapevoli di essere minori, come diceva un manierista famoso ripreso da Umberto Eco nel Nome della rosa, «sentirsi come dei nani arrampicati sulle spalle dei giganti, ma proprio per questo fatto vedere oltre». Per chi studia la letteratura e l’arte italiana è nota la comunanza dei temi, dei modelli danteschi in Eliot o in Ezra Pound, delle forme del sonetto italiano nelle poesie di Shakespeare, dell’arte prima di Raffaello Sanzio, «il principe» del Rinascimento, nel secolo inglese dei, per l’appunto, Preraffaelliti. Parliamo oggi d’incontro tra le culture, del tema dello straniero, dell’identità, ma basta andare in Romagna, nella terra del divertimento e del buon cibo, a Forlì, nell’ex abbazia di San Domenico, immensa, enorme nella sua infinità di sale dal Naos alle celle a una volta dei monaci, fino ai lunghi corridoi, per vedere insieme per la prima volta le oltre trecento opere preraffaellite che dialogano con i capolavori italiani della pittura, ma anche della scultura, se pensiamo allo schiavo di Michelangelo bello, robusto, dannatamente erotico nel gesto di sfilarsi gli abiti che lo stringono e l’opprimono senza pietà.
Il vecchio mondo italiano e il nuovo ordine inglese dialogano scambiandosi idee, colori, modelli, ruoli. Ne esce fuori un cocktail tra le due scuole d’arte, tra le due letterature, tra la cultura italiana e quella anglosassone e ne guadagniamo noi, i semplici visitatori della mostra e spettatori dell’Arte che è Vita.




Dante Gabrielle Rosetti, La vedova romana, 1874, Porto Rico, Museo de Arte de Ponce, The Luis A. Ferré Foundation



William Holman Hunt, Bianca, 1868-1869, Worthing Museum and Art Gallery




Edward Burne-Jones, Sidonia von Bork, 1860 (acquerello e gouache su carta, 33,3x17,1 cm), Londra, Tate Gallery




Frederic Leighton, La lezione di Musica, 1877 (olio su tela), Londra, Guildhall Art Gallery



Liana Corina Țucu

(n. 7-8, luglio-agosto 2024 anno XIV)