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A Padova, una mostra su Matisse, Picasso, Modigliani, Mirò
È stata da poco inaugurata, precisamente il 5 ottobre, a Palazzo Zabarella, Padova, la mostra Matisse, Mirò, Picasso, Modigliani, che sarà aperta fino al 12 di gennaio del 2025. L’evento rappresenta una continuazione della tradizione di questo ente importantissimo della città di Padova che è in un dialogo permanente con musei importantissimi a livello internazionale come, in questo caso, il prestigioso Museo della Città di Grenoble, tra i più importanti in Europa.
Per capire l’importanza del museo francese, ma soprattutto il perché la città di Padova attraverso il palazzo Zabarella, la Fondazione Bano, abbiano voluto fortemente la mostra, dobbiamo precisare che la raccolta di arte grafica del Museo di Grenoble è la seconda più grande in Francia dopo quella del Musée National d’Art Moderne - Centre Pompidou.
La mostra è sotto il patrocinato dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova. Sono esposte 130 opere di 47 artisti che appartengono ai principali movimenti artistici che hanno segnato la prima metà del XX secolo. A partire da Matisse, a Miró, da Picasso a Modigliani, da;Chagall e Signac, a Bonnard e Vuillard, a Rouault e Delaunay, da Arp a Balthus, da Cocteau a tanti altri. I capolavori del disegno dal Musée de Grenoble, a cura di Guy Tosatto, già alla direzione del museo di Grenoble, offrono la possibilità di conoscere le diverse tecniche usate in base al gusto e all’appartenenza a una scuola o a un gruppo, ma soprattutto i linguaggi usati per comunicare ai visitatori a volte una fase di un’opera che si è finalizzata in un quadro ad olio, ma spesso anche una opera in sé, un disegno che non è altro che una forma incompiuta di un tempo della fine dell’Ottocento e il Novecento e il Ventesimo secolo dove Il Disegno è tutt’altro che una bozza per un capolavoro, ma un linguaggio espressivo, forte e a tratti disperato, di una fame del vivere, una grande intensità con la quale la carta viene segnata e di-segnata per lasciare una traccia più autentica del «spesso il male di vivere ho incontrato» come direbbe Eugenio Montale. E qui arriva l’imbarazzo della scelta: disegno in matita o al carboncino, in tempera, all'acquerello o alla gouache, il collage, disegno figurativo oppure astratto, disegno o matrice disegnata e riempita dai colori primordiali in Matisse, disegno su superfici che a loro volta hanno un colore come sfondo come nell’inconfondibile Mirò e il suo Personaggio con rettangolo bianco del 1928, oppure come la gouache sulla carta foderata di cartone di Eduard Vuillard con Madame Hessel e Lulu nella sala di pranzo, rue de Naples.
Henri Matisse affermava: «Il mio disegno al tratto è la traduzione diretta e più pura delle mie emozioni. La semplificazione dei mezzi lo consente». Il maestro di tutti, Jean-Auguste-Dominique Ingres, a sua volta affermava che «il disegno è la probabilità dell’arte». Personalmente, da quando frequento con assiduità il mondo dell’arte, ho imparato dagli scultori soprattutto, l’importanza del disegno nell’ideazione delle loro opere.
Nel mio percorso formativo, tra le altre cose, ho avuto il privilegio e l’onore di lavorare assieme a Barbu Brezianu alla riedizione dell’opera biografica Constantin Brâncuși in qualità di fototecaria dell’Istituto di Storia dell’Arte di Bucarest. Più precisamente dovevo verificare l’apparato bibliografico e le note del poderoso volume (perché il direttore di allora, nonché mio Maestro, Remus Niculescu, non si fidava della precisione di alcuni rimandi e mi segnalò con occhio esperto che, per esempio, non esisteva al 1909 il fondo del ministero dell’Insegnamento, bensì «Casa Școalelor») e mi incaricò di verificare le fonti. Ma la cosa che mi avvicinò al disegno fu l’onore di selezionare insieme all’ormai nonagenario Barbu Brezianu, le fotografie per il volume. E così imparai l’importanza del disegno. Mi sono rimasti impressi nella mente due di questi disegni diBrâncuși: uno rappresentava la vecchiaia, un signore che camminava appoggiandosi al bastone da passeggio. Con pochi tratti di matita, Brâncuși coglie il movimento di un piede un po’ alzato. L’atro disegno era la schiena del bimbo di una sua amica, Georges Farquhar, che a quel tempo di aveva circa un anno. Era il figlio di un francese e di una romena, del signor Percival Farquhar e di Caterina o (Cathya) Popescu, che abitavano allora a Parigi, in via Rivoli. Come ho detto, il bambino fu ritratto di schiena e il suo corpicino dalle carni con i “profumi freschi come le carni d’un bambino”, come direbbe Chaerles Baudelaire, è un tripudio di economia di linguaggio, di candore e di meraviglia della vita che incomincia a camminare. Anche Amedeo Modigliani era un giovane che frequentava non per caso l’atelier di Brâncuși in via Impasse Ronsin, al numero 8.
Da allora ho capito che per la cosiddetta arte moderna il disegno non è una bozza preparatoria spesso da distruggere in seguito, come fece Michelangelo con gran parte dei suoi disegni, ma una ricerca dell’idea spesso molto più emozionante nell’intensità con la quale la mano aveva inciso sulla carta i segni della tensione dell’artista. Per una mostra di disegno, perciò, ci vuole un pubblico allenato, intenditore, appassionato di questa forma d’arte.
Spesso il disegno la fa da padrone nei piccoli «acquarelli da viaggio» come quello esposto, opera di Henri-Edmond Cross La costa provenzale, dove l’inchiostro nero del disegno vuole delineare le grandi forme del paesaggio, ma senza soffocarlo. Disegni inclusi dentro le lettere come quelli di Paul Signac, che intratteneva una fitta corrispondenza con la pittrice Georgette Agutte e il suo compagno giornalista, nonché affermato uomo politico, Marcel Sembat, che comprarono alcune opere di Paul Signac già alla mostra della Galleria Bernheim – Jeune a Parigi nel 1911. La carta è quella, per l’appunto, delle lettere, ma il disegno di Quai Gorin, Croix de vie sono in matita di grafite e acquerello. Pure il frontespizio del catalogo della mostra, nonché dell’affisso della pubblicità della mostra, Donna con corpetto blu di Edouard Vuillard, è una gouache su carta del 1915. Il contrasto tra il blu del corpetto della donna con il bianco del divano la fa da padrone nella raffigurazione della luce. Il volto della donna è indefinito volutamente per dare quell’aria di mistero e di fascino che era ricercata dai «profeti» del gruppo dei Nabis, che si opponevano all’impressionismo e ricercavano delle atmosfere simboliche, sinteticamente ritratte e che giocavano con il contrasto del colore prendendo spunto dall’arte popolare.
Il disegno è anche pubblicità come nel periodo dell’Art Déco di Paul Iribe e la sua La rosa Iribe del 1910, quattro disegni a matita e grafite, matita colorata, gouache e inchiostro di china su carta, incollati su tessuto stampato. Era il disegnatore di tessuti e gioielli del temutissimo stilista Paul Poiret, il ‘nemico’ di Mademoiselle Chanel. La rosa decorava il profumo Lubin e le etichette in seta degli abiti creati da Poiret, semplice, con un gambo e due foglie, qui disegnate in quattro schizzi preparatori che illustrano didascalico il processo creativo del modello.
Henri Matisse, nel Viso su fondo giallo ricorda Mademoiselle Pogany di Brâncuși per l’essenzialità della gouache a inchiostro di china su carta Ingres, dal naturale fondo giallo. Era il 1954, il maestro Matisse era alla fine e al culmine della sua ricerca teorica: «Sto attraversando una sorta di crisi di coscienza, non è escluso che avrà luogo un rivoluzionamento della mia opera (…) per esprimere e manifestare me stesso e desidero pormi al di fuori del presente con la sua moda dilagante di distinguere tra concreto e astratto». I pochi tratti del viso della donna lo piazzano fuori dallo spazio e dal tempo.
A sua volta Picasso conosce a Roma la ballerina russa Olga Kokhlova, nel 1917. Lui s’innamora, lei posa per lui. Ne esce fuori un Ritratto di Olga, pastello e carboncino su carta fatto in due tappe e su due superfici ‘incollate’. Un busto enorme, monumentale e allo stesso tempo elegante come i ritratti di Ingres, una monumentalità rinascimentale vista dall’occhio di un navigato cubista, un cosiddetto «ritorno all’ordine» che pure Pierre-Auguste Renoir aveva avuto dall’incontro con l’Italia.
Di Mirò nella mostra c’è Personaggio con rettangolo bianco, una gouache, carboncino e matita di grafite su carta preparata, del 1928. Le linee sono a volte sinuose a volte delimitano rettangoli colorati con i colori primordiali come la vita: bianco, nero, grigio. Sul rettangolo bianco una firma dell’artista come una vetta della montagna dolce, ondulata, accompagnata dalle stesse volute delle due lune – crescente e calante, come è, di nuovo, l’andamento della vita.
E ultimo, ma non meno importante – Amedeo Modigliani. Cambia vita andando a Parigi ed entra in contatto con Brâncuși e con il mercante d’arte Paul Guillame La sua arte ha un qualcosa del Rinascimento toscano, un po’ dell’arte delle Cicladi, la ritrattistica delle tombe etrusche e delle maschere africane, ma anche la conoscenza del cubismo di Picasso. Sia nel Ritratto di uomo del 1915, matita di grafite su carta pergamena, che nel Ritratto di Gillet del 1917-1919 circa, coesistono i tratti essenziali e la luce malinconica che sono lo specchio dell’anima dell’artista.
Finisco in bellezza con il giapponese che ha conosciuto Parigi, Léonard Foujita e il suo Il lottatore Tochigiyama, inchiostro e pittura su seta del 1926. Era un uno eccentrico, amava il travestimento e le donne, aveva cinque mogli e centinaia di modelle posavano per lui, si trasferì da Tokyo a Parigi nel 1913 e fece parte della École de Paris. La sua opera è un incontro tra l’Occidente e l’Oriente – disegno su seta, a metà strada tra pittura e disegno.
La grande collezione di disegni del museo di Grenoble è un’occasione più unica che rara per il pubblico, italiano e internazionale ormai di Palazzo Zabarella a Padova, per familiarizzarsi con la nobile arte del disegno e della stampa in generale. Il disegno visto come nocciolo della creazione di un’opera, come gioco intellettuale dell’artista che cerca uno sfogo per le sue idee, disegno che è, come spesso nella modernità, fine a sé stesso, altissima forma espressiva della tensione sprigionata dalla punta della matita del suo creatore, disegno che è anche un logo, come segno del tempo della modernità che toglie il superfluo, l’inutile e l’esageratamente descrittivo.
Per maggiori informazioni potete consultare il link https://www.zabarella.it/mostre/matisse-picasso-modigliani-miro. Un mio ringraziamento va all’ente organizzativo della mostra, Artemide, che mi ha accreditato l’ingresso come giornalista e messo a disposizione i depliant e le informazioni riguardanti la mostra.
Liana Corina Țucu
(n. 11, novembre 2024 anno XIV)
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