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Tra De Chirico e Klimt: in mostra nelle Langhe un’artista romena premiata dall’Unesco
Grazie ad una perfetta sinergia d’intenti tra il sodalizio presieduto dal critico d’arte Fabio Giuseppe Carlo Carisio, curatore della mostra, la figlia dell’artista Adriana Fiorentini, la Galleria Schubert e lo Studio Bolzani di Milano, gli appassionati d’arte potranno scoprire un’espressività stilistica di superba autenticità ed estrosità scandagliando, nell’ambito di una ventina di opere esemplari, anche l’evoluzione di Legendina, sbocciata pittoricamente in Transilvania e maturata a Bucarest nell’atelier del più apprezzato e quotato maestro romeno contemporaneo, Corneliu Baba, peculiare interprete figurativo delle germinazioni post-impressioniste ed espressioniste. In virtù di questa autorevole ascendenza pittorica la mostra ha ottenuto il patrocinio del Consolato Generale di Romania di Torino, grazie al console torinese Ioana Gheorghias, oltre a quello del Comune di Castiglione Falletto. Il vernissage previsto per giovedì 30 maggio – al fine di allietare i turisti stranieri in Italia per la festività tedesca dell’Ascensione di Cristo – sarà impreziosito da un brindisi con il Barolo cru Rocche di Castiglione della cantina Monchiero, ripetutamente premiato dalle guide internazionale, nell’intento di creare un armonico simposio di eccellenze secondo il leitmotiv Art & Wine.
«Il desiderio di capire è la qualità che distingue l’uomo dagli altri esseri viventi. La curiosità è la qualità che lo porta sempre avanti, secondo un istinto di libertà». Questa memorabile intuizione di Aristotele giunge proprio dal suo libro Metafisica ed è illuminante per descrivere il percorso dovizioso di molteplici sfaccettature stilistiche, emotive e concettuali della pittrice romena. Se, come credo, il vero, il buono ed il bello sono le virtù cardinali di ogni iconopoiesi artistica, Legendina è una delle rarissime eccezioni strettamente contemporanee che sa coniugare il paradigma spirituale, trascendentale e quindi metafisico con una varietà infinita di felicissime esplorazioni gestuali ed elaborazioni tecniche. Dal suo maestro Baba ha certamente ereditato un’ardita vivacità e potenza cromatica, capace di ricordare i funambolismi coloristici di Marc Chagall o Joan Mirò – quest’ultimo tra gli artisti cari alla pittrice – che si è andata via via rafforzando negli anni: transitando dall’eterea delicatezza di campiture sfumate del suo autoritratto o della Ragazza con gallina, per giungere alle energiche pennellate materiche del suo Pierrot, realizzato negli ultimi anni della sua vita (2015) e travestito da nostalgica maschera romena nell’esplicita predominanza dei colori nazionali blu, giallo e rosso, in stridente antitesi con l’abito bianco-nero del personaggio della commedia dell’arte francese.
La magistrale ingegnosità creativa della Di Paolo è radicata proprio nella sua enciclopedica conoscenza della storia dell’arte e nella sua facoltà di sublimarla attraverso citazioni dotte, riconoscibili ma sempre gravide di autenticità inimitabile. I suoi cromosomi espressivi sono gemmazione spontanea delle figure stilizzate che, prima di essere del suo ispiratore Giorgio De Chirico, furono del pioniere dell’antinaturalismo Domínikos Theotokópoulos, il famoso El Greco, non a caso faro del suo maestro di Bucarest e da lei ben studiato, di cui basti ricordare la Visione di San Giovanni per un riferimento immediato. Da essi scaturisce la surgiva metafisica che traccia le complessioni segniche delle sue donne, protagoniste primarie della sua pittura, edulcorate di un soave lirismo che solo la sensibilità femminile poteva aggiungere. Rievocatrici della Penelope di Carlo Carrà, teorico della Metafisica dechirichiana annunciata da Guillaume Apollinaire, ora si stagliano statuarie, ora danzano coreografiche in un tripudio di simbolismi attinti dal surrealismo quanto dall’arte antica bizantina, fino ai primordiali essenziali graffiti Egiziani.
La figura femminile ci proietta in una visione artistica matriarcale in cui la donna è fulcro della vita ed i seni garbatamente sempre velati ma esposti ne sono gaia allusione. Attorno a lei interagiscono gli attori totemici scovati in archetipi culturali biblici, religiosi ed epici: il cavallo, il toro, il vitello paiono usciti da una pergamena babilonese per fare irruzione su un palcoscenico assolutamente moderno, architettato con campiture geometriche in netti contrasti di cromie accese, ove i logotipi ancestrali e contemporanei dialogano divenendo ora facili, ora ermetici da decriptare semanticamente. Ecco quindi il capitello ionico tramutarsi in predella del Toro infuriato sotto il quale sfilano, come un’umanità dominata, esili profili androidi.
Ecco la Donna seduta in oro, assisa in trono regale con un girocollo di reminescenza mediorientale in cui compare, come altrove, una faccina infantile appena tratteggiata che ci precipita col fiato sospeso nel mondo virtuale contemporaneo. È proprio in quest’opera che l’amore per l’Art Nouveau, per gli ampollosi e sfarzosi neoclassicismi Jurgendstil che hanno reso immortale il suo adorato Gustave Klimt, danno compimento ad una facondia poetica, segnica, simbolistica e cromatica che incorona Legendina ineguagliabile maestra di una Metafisica Liberty, mai ammirata prima nella storia dell’arte, anche nel dipingere un fenomenale Dante Alighieri. Per il video della mostra, cliccare qui. Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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