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Miseria e nobiltà. Giacomo Ceruti nell'Europa del Settecento
La città di Brescia, insieme alla vicinissima Bergamo, sono state nominate capitali della cultura italiana nel 2023. In questo vasto programma di attività culturali si inserisce la mostra su Giacomo Ceruti (Milano, 1698-1767), aperta tra il 14 febbraio e il 28 maggio 2023 negli spazi di un’abbazia eretta dal re Desiderio nel periodo longobardo, oggi Museo di Santa Giulia di Brescia. È «la più importante mostra mai dedicata al pittore lombardo», curata da Roberta D’Adda, Francesco Frangi e Alessandro Morandotti, e frutto della collaborazione tra la Fondazione Brescia Musei e Skira, in partenariato con il Getty Center di Los Angeles, dove la mostra si sposterà appena finito l’evento bresciano, tanto per capire la sua importanza.
Giacomo Ceruti fu un’altra «scoperta» del grande storico d’arte Roberto Longhi. Sulle orme di Caravaggio, Longhi parlò per primo della «pittura di realtà» del mondo lombardo del Settecento, di questa acuta e vivace attenzione a dettagli così realistici da mettere in risalto perfino le crepe dei talloni e le unghie sporche dei piedi dei contadini, realtà che con il reale ha solo un’assomiglianza etimologica, ma non di significato, realtà che doveva, attraverso il realismo delle rappresentazioni, giocare un ruolo di denuncia nella vita di allora, ricordando ai nobili che la loro ricchezza si fondava sulle sofferenze dei poveri, degli emarginati.
Pittore degli ultimi e ricercato ritrattista dell’aristocrazia, tra ombre e luci, dall’umanità sofferente a intonazioni serene, da scene di povertà fino alle più aggiornate e raffinate tendenze dell’arte europea del XVIII secolo, la mostra si preannuncia come una «doverosa rilettura dell’opera di Ceruti, che allarga i confini sul pittore più avventuroso del Settecento». Originale interprete della sua epoca, capace di dare forma alle contraddizioni della società del tempo, vicine a quelle dei nostri giorni. La rassegna intende dunque restituire una dimensione più vasta all’artista. Non più Pitocchetto dunque, ma Giacomo Ceruti, pittore europeo: questo è l’obiettivo della mostra.
Con oltre un centinaio di sue opere e di altri artisti che lo hanno preceduto o imitato, la mostra su Ceruti mette per la prima volta a confronto i più importanti capolavori dell’artista e non solo: dipinti provenienti da ricercate collezioni private e normalmente non accessibili, grandi prestiti museali internazionali, opere inedite e nuove attribuzioni, che offrono una panoramica coinvolgente e finalmente completa. Miseria & Nobiltà si tiene a più di 35 anni dalla retrospettiva che sempre Brescia gli dedicò nel 1987, superando questa volta i confini nazionali grazie alla sinergia con Getty Center e la seconda tappa del progetto, che verrà inaugurata a Los Angeles il 18 luglio 2023.
La mostra del Museo Santa Giulia è determinata dalle scoperte e dagli studi che hanno permesso una revisione radicale dell’artista, anche raccontando i rapporti di Ceruti con artisti precedenti e a lui contemporanei, grazie alla presenza di opere di Moroni, Bellotti, Monsù Bernardo, Ceresa, Todeschini, Sweerts, Ribera, Fra’ Galgario, Snijers, Tiepolo, Piazzetta, Rigaud. Un progetto che vuole infine dimostrare, una volta di più, che la storia dell’arte è una materia viva, capace di evolvere e aggiornarsi.
Di Giacomo Ceruti possiamo affermare che è un grande ritrattista della nobiltà, seguace dei grandi maestri lombardi, Moroni in primis, ma anche un geniale interprete dei temi della povertà come quello dei Bamboccianti, in voga nella Roma del Seicento, e quello dei giochi della scuola fiamminga, come quelli raffigurati da Pieter Bruegel il Vecchio nel dipinto La trappola.
Le opere di Giacomo Ceruti, a me personalmente, ricordano molto le poesie di Umberto Saba e soprattutto La città vecchia.
UMBERTO SABA, Il Canzoniere (Torino, Einaudi 1945)
Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un'oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.
Qui tra la gente che viene che va
dall'osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l'infinito
nell'umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d'amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s'agita in esse, come in me, il Signore.
Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.
La femmina che bega, il dragone, gli uomini che, assieme alle cose, sono dei detriti del gran porto di mareche per Saba è Trieste e per Ceruti è il mondo lombardo-veneto, dove vive e dipinge con accurata attenzione e geniale maestria.
Riguardando il quadro che fa da immagine flash della mostra, I due pitocchi (o disgraziati) non si può non notare che nella tela si vede la notevole maestria tecnica del Ceruti, il cui pennello definisce anche i dettagli più minuti del volto e delle vesti frastagliate, giocando sapientemente con lo spessore, la direzione e l'opacità dei tocchi che percorrono le vesti cenciose. L'intensità sprigionata dallo sguardo del personaggio che tiene in braccio un gattino, indifeso come lui, stagliato dal fondo spoglio fatto dai grigi mattoni di un comunissimo muretto, non concede allo spettatore alcuna distrazione, costringendolo a una partecipata interazione di sguardi per vedere dritto nell’anima delle cose. Un altro capolavoro è la Donna che fa la calza ritratta di profilo, insolita, come l’effigie di una medaglia della povertà, dal grembiule «rattoppato» a non finire, con lo stesso sfondo cupo e neutro mette in risalto la miseria, e ancor di più l’umile occupazione della donna nel lavorare ai ferri qualche calza per riscaldarsi i piedi nelle lunghe giornate d’inverno. Questo noto capolavoro di Giacomo Ceruti è dotato della cornice originale e corrisponde a una delle 22 grandi tele, storicamente documentate a Brescia, raffiguranti a grandezza naturale e con ineguagliato realismo, accattoni, vagabondi e pitocchi (ovvero poveri). Non sappiamo quale nobile famiglia bresciana abbia commissionato questo gruppo di tele al pittore milanese verso il 1730, ma è noto che per una serie di circostanze ereditarie, è riunito nel corso dell'Ottocento nell'importante collezione dei Fenaroli Avogadro, dispersa nel 1882. In quell'occasione un gruppo di 15 «pitocchi» della serie è acquisito dai conti Salvadego per il castello di Padernello. Da allora questo omogeneo gruppo di opere è stato denominato Ciclo di Padernello, dedicato forse a una nuova rappresentazione del soggetto popolare, molto richiesto dai collezionisti dell'epoca. Nel 1973, quando Luigi Lechi lo acquistò, il dipinto si trovava ancora nel castello Salvadego di Padernello. Nella mostra il cosiddetto ciclo del Padernello è esposto insieme in un lungo corridoio che dà la possibilità di capire ancor di più l’unità della visione pittorica e la incessante ricerca di «variazioni sul tema».
E di nuovo la mente vola alla mia infanzia dominata dal realismo socialista, piena di poesie fatte per commuovere il lettore e educare «i pionieri», i balilla della mia fanciullezza, con versi che parlavano di povertà e di sfruttamento minorile, a dimostrazione del fatto che la politica cambia, ma non i supplizi inflitti agli emarginati, ai poveri, ai bimbi mendicanti di ogni epoca e paese. Recitava quella filastrocca: «Dieci anni aveva la bambina / quando portava l’acqua sulla schiena / portava acqua ai commercianti, giù sulla via dei mercanti/ Sembra che sto rivedendo adesso/ il volto triste, un gomito di vita/ la faccia bianca dalle guance arrossate». ˂Zece ani avea fetiţa, când căra cu cobiliţa/ Căra apă la samsari/ Jos, pe Calea Ferentari/ Zece ani de greu prăpăd/ Și-acum parcă ii revăd/ Chipul trist, un ghem de viaţă/ faţa-i albă cu roseaţă˃ La povertà è un fenomeno senza tempo, eterno, implacabile e dannatamente espressivo. Dalle mani della donna senza età, dal fazzoletto bianco annodato sotto il mento ci rimane dentro l’emblema della miseria impresa con la forza degli strappi del grembiule; lei sta lì, indaffarata, e noi non possiamo far nulla di caritatevole e ci sentiamo poveri nell’anima, impotenti, colpevoli di non poter aiutarla, intrappolati nel nostro tempo e nei nostri limiti.
Di contrasto, La fanciulla con il ventaglio è una rossiccia veneta orgogliosa che ci guarda dritto negli occhi usando il ventaglio solo come pretesto ma senza nascondere nulla e lasciando vedere i suoi bei vestiti, la sua accuratissima acconciatura, i suoi gioielli. Ricordano il soggiorno veneto non solo il rosso dei capelli della modella, ma anche la pennellata alla Tiziano dell’orlo bianco della camicetta e la riga dorata del ventaglio semiaperto. Quel colore aggiunto con la punta del pennello, abbondante, corposo, che dà veridicità alla scena e che è tratto distintivo di Ceruti. La ragazza è seria, come si addice a una fanciulla educata, ma sicura di sé e della sua dote. Se Tiziano giocava con l’amore sacro e l’amor profano, Ceruti gioca con il destino a volte favorevole, ma spesso non dalla parte dei tantissimi poveri.
Dopo il periodo bresciano Ceruti, che di nascita era milanese, va a Padova e lavora «gomito a gomito» con Giambattista Tiepolo, dove realizza in trompe-l’oeil un San Luca e un Sant’Agostino classico, maestoso, con un bello sfondo in affresco dorato. Ceruti rappresenta Agostino nella sua veste di Dottore della Chiesa in un affresco nella Chiesa di Santa Lucia a Padova. La scena vede il santo da solo, vestito da vescovo, con barba fluente e ormai anziano mentre è in procinto di scrivere con una penna d'oca su un libro. Il viso del santo è abbastanza espressivo, tutto attento nella sua attività di scrittore e teologo della Chiesa.
Tornando alla rappresentazione delle donne, delle bambine, vediamo una bellissima tela, Scuola di ragazze, che appartiene al Museo Pinacoteca di Palazzo Tosio Martinengo, dipinte da Ceruti nel momento in cui imparano a cucire, le più grandicelle, o a leggere, come la fanciulla in primo piano. A sinistra in basso sempre una cesta e un gomitolo, segni indelebili del mestiere come delle vere e proprie rappresentazioni araldiche di uno statuto alla quale erano preparate queste ragazze a scuola per essere future brave madri e mogli e di conoscere il minimo indispensabile per mandare avanti la famiglia. Tutte uguali, la stessa conciatura in un semplice chignon, simili, disciplinate e sottomesse, ferme sulle sedie con la seduta di paglia, oggi così di moda, allora segno della modesta condizione del soggetto dipinto nel quadro.
La mostra, anche dal titolo, è incentrata sul contrasto tra miseria e ricchezza, come un pendant della stessa medaglia che è la Vita. Seguono come esempio i due quadri: Il vecchio con il cane Carlino e Il vecchio con il gatto. Nel primo abbiamo rappresentato un signore avvolto in uno splendido cappotto di un rosso sgargiante che ci mostra tenendolo in braccio, come un trofeo, un cane di razza pregiata, nobile come lui, un Carlino. Mostra questo morbido cagnolino dalla pelle vellutata come fosse un bastone di comando, tenendogli in alto la zampa con la mano destra. Il capotto del signore e imbottito di pelliccia marrone che fuoriesce anche dalle maniche, decorato sul petto con filo d’oro pregiato. Dello stesso tessuto è fatto il copricapo che tiene al caldo il vecchio signore. Il cane ci guarda con arroganza, dritto in faccia; quando si dice che i cani assomigliano ai loro padroni. A fare da controcanto è l’altro quadro, Il vecchio con il gatto, per l’appunto. Qui i tessuti sono grigi, il gatto e bianco, simbolo di purezza d’animo, il vecchio ce l’ho mostra con una mano all’altezza del cuore, accarezzandolo sulla testa. I tessuti sono di panno di lana semplice, con una umile camicia bianca sotto e in testa una specie di cappuccio di lana dallo stesso panno grigio, la barba folta e incolta ci ricorda la povertà del vecchio, i gesti sono pieni di calore umano, di compassione e di dolcezza verso il gatto che è riempito con orgoglio di carezze e di amore verso una creatura del Signore. I due vecchi non si potrebbero capire se non insieme. La loro è una duplice missione e valenza: due stati della vecchiaia, in ricchezza e in povertà, ma anche due insegnamenti da trarre da parte di noi lettori, cioè di non essere arroganti e sfarzosi come il vecchio imbellettato, ma di essere umili e amorevoli come il vecchio con il gatto.
Un’altra singolarità di Ceruti sta nel rappresentare i potenti e i marginali. Nel rappresentare il Fumatore il maestro lombardo è realistico nella descrizione di una vera «uniforme», un costume orientaleggiante, con una specie di pantaloni stretti ai polpacci e larghi in alto un po’ come quelli che indossavano le truppe sarde nella Guerra di Crimea, con una borsa tracolla in pelle da cacciatore e il pugnale appeso alla cintura. Sullo sfondo una neutrale città appena abbozzata. Importante è Lui, il fumatore di rosso vestito, che tira di gusto da una pipa dal lunghissimo collo e con una gamba piegata per poggiare il gomito sul ginocchio guarda malinconico e mi viene da dire «al di là del fiume, tra gli alberi». Fa da specchio a questo personaggio esotico e orientaleggiante. Il nano, un altro pitocco; lo sfondo è un ambiente contadino con la gente indaffarata a campare, con la femmina che bega, come direbbe Saba, in un cortile dove si fatica lavorando. Lui è un ragazzo dal bellissimo volto, giovane, ma l’unica nota stridente sta nelle corte gambe tozze, troppo piccole per un tronco grande, gambe come negli autoritratti di un altro nano celeberrimo, il conte Henri de Toulouse-Lautrec. La deformazione non fa sconti, poveri o nobili che siano. I vestiti hanno lo stesso colore marroncino dello sfondo, stracci che vestono il corpo di un paria della sorte, un emarginato, un difforme. Il nano ci guarda con malinconia nel volto conscio del fatto che ci siamo accorti della sua situazione, con le mani in tasca, nascoste nel vestito da straccione, con la vergogna afflitta dalla povera esistenza.
Il Pitocchetto è il principale esponente del filone pauperistico della pittura europea del Settecento. I soggetti sono affrontati con sicurezza pittorica di grande energia e solenne monumentalità. Svolse la sua attività da Brescia a Venezia dove si trovava nel 1736. Rientrato a Milano, si trasferì a Piacenza continuando la produzione di ritratti e pale d'altare. Nel 1743 si stabilisce a Milano dove dipingerà ritratti per l'Ospedale Ca' Granda, composizioni pastorali e nature morte. Il tema dei «pitocchi» è ovunque nelle scene di piazza.
Giacomo Ceruti si raffigura sempre da povero anche nell’Autoritratto come pellegrino. Con una mano sul bastone da passeggio e l’altra infilata sotto la giacca con le rughe di uno che era passato «nel mezzo del cammin di sua vita», con degli occhi struggenti di malinconia e di lucidità, reale come vera è la strada della vita, Giacomo Ceruti ci scruta per un’ultima volta e sembra voler dirci come farebbe un contadino veneto: le casse da morto non hanno le tasche, la ricchezza è fuggevole come la vita e l’unica certezza che ci rimane è la povertà, quella virtù sulla quale Il Poverello ha fondato la lingua italiana e la sua cultura. Nel Settecento l’Italia era soltanto, come amava descriverla il cancelliere Metternich «una realtà geografica», ma «la pittura della realtà» che nasce in Lombardia, con Caravaggio ha viaggiato da Bergamo a Roma, a Palermo e a Malta ed è ritornata nel Settecento a casa, di nuovo in Lombardia. Giacomo Ceruti è un interprete della realtà che si trova su questa via aperta da Caravaggio e che predilige nella sua varietà quella più consona alla sua indole: la miseria, la povertà, intesa come virtù da contrapporre all’arroganza.
Giovan Battista Moroni, 1560, Dottore in legge, olio su tela, Fondazione Musei Brescia
Pieter van Laer, detto, per la sua faccia tonda e rubizza (amava il vino e le osterie romane), il Bamboccio
Pieter Bruegel il Vecchio, La trappola o Paesaggio invernale con pattinatori e uccelli, Musei Reali del Belgio, Bruxelles
Giacomo Ceruti, I due disgraziati, 1730, Brescia, Pinacoteca Tosio-Martineng
Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto, Agostino vescovo, 1738-1740, Padova, Chiesa di S. Lucia
Giacomo Ceruti, Scuola di ragazze, 1720 - 1725 circa, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo
Giacomo Ceruti, Ritratto di fanciulla con ventaglio, 1740 circa, olio su tela 60,5 x 55 cm, Collezione Giovanni Morelli, 1891
Giacomo Ceruti, Vecchio con cane Carlino, Brescia
Giacomo Ceruti, Fumatore (1736 circa), Roma, Palazzo Barberini, Gallerie Nazionali d’Arte Antica
Giacomo Ceruti, Autoritratto come pellegrino, 1737, olio su tela
Museo Villa Bassi Rathgeb, Abano Terme (Padova)
Liana Corina Tucu
(n. 9, settembre 2023, anno XIII)
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