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Il Cinquecento a Ferrara: Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso
A Ferrara, nel prestigioso Palazzo dei Diamanti restaurato e riaperto al pubblico l’anno scorso, è stata inaugurata il 12 ottobre 2024 la mostra Il Cinquecento a Ferrara - Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso, che resterà aperta fino al 16 febbraio 2025. La mostra è organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara a curadi Vittorio Sgarbi e Michele Danieli, con la direzionedi Pietro Di Natale. Il catalogo della mostra è stampato dalla Fondazione Ferrara Arte Editore e Silvana editoriale.
La mostra è a sua volta la continuazione della precedente grande mostra dedicata al Quattrocento ferrarese (Ercole de’ Roberti, Cosmè Tura, Francesco del Cossa e la cosiddetta «officina ferrarese») e illustra le vicende artistiche del primo Cinquecento a Ferrara, dagli anni del passaggio di consegne dal duca Ercole I d’Este al figlio Alfonso I (1505), fino alla scomparsa di quest’ultimo (1534). I duchi d’Este sono committenti raffinati, Ercole è l’iniziatore dell’opera urbanistica «Addizione Erculea, nota nel mondo dell’urbanismo, un progetto ambizioso, d’inclusione dello spazio verde e dei giardini dentro le mura della città e una planimetria «a specchio» con la città preesistente ma posizionando al centro il castello. La generazione del Quattrocento ferrarese è a un livello altissimo; pittori come Cosmè Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti (morto nel 1496) sono difficilmente rimpiazzati da nuove leve, che si scontrano con il passato glorioso. All’inizio del 1499 arrivano a Ferrara il reggiano Lazzaro Grimaldi, il toscano Niccolò Pisano e da Milano il cremonese Boccaccio Boccaccino. Insieme a Lorenzo Costa dipingeranno l’abside del castello di San Giorgio, opera che non è arrivata fino ad oggi. L’opera di Boccaccino è un misto di pittura veneta che ha visto le opere leonardesche, si è formato in questo connubio tra Veneto e Toscana e il suo stile lascia una traccia indelebile a Ferrara. Purtroppo, Boccaccino deve lasciare Ferrara in fretta e furia perché accusato di uxoricidio – il pittore Boccaccio Boccaccino, sabato 8 febbraio 1500, a Ferrara, «amazò sua moiera ch’el trovò farli le corna et che g’el confessò». Di conseguenza, il Cinquecento ha nuovi protagonisti e sono i quattro pittori in mostra: Ludovico Mazzolino, pittore stranissimo, dai toni scuri, con una forte bidimensionalità che va verso un netto anticlassicismo; Giovanni Battista Benvenuti, detto Ortolano, nomen omen, un pittore con un certo naturalismo; Benvenuto Tisi, detto Garofalo, il principale interprete locale della maniera di Raffaello, e Giovanni Luteri, detto Dosso, che sviluppa uno stile molto singolare, pieno di accenni culturali – come il quadro scelto come simbolo della mostra che rappresenta un pittore di farfalle, ma farfalla in greco è Psiche e da qui il gioco intellettuale, pittore influenzato dai veneti illustri come Giorgione e Tiziano ma anche da Michelangelo e l’ambiente culturale di Roma.
Come ci ha già abituati, l’organizzatore della mostra, Vittorio Sgarbi, ricalca le orme del grande maestro Roberto Longhi e mette in scena una mostra favolosa a dir poco, un incanto con tele da tutta l’Italia, da Napoli e il suo scrigno d’oro che è il Museo di Capodimonte, a Firenze e le sue stanze degli Uffizi alla Galleria Borghese così squisitamente piena di opere scelte dal cardinale e nipote Annibale Scipione Borghese per gli intenditori come lui, alle pinacoteche di Bologna e di Ferrara come d’obbligo. Ma le cose diventano davvero internazionali con prestiti che arrivano dalla Francia agli Stati Uniti e alla Polonia, precisamente da Cracovia da dove proviene il nostro quadro simbolo, opera di Dosso Dossi, Giove pittore di farfalle del 1524, olio su tela, Castello Reale del Wawel, Collezione Nazionale d’Arte.
Da Graz, dall’Universalmuseum Joanneum - Alte Galerie, arriva Ercole tra i pigmei, opera dello stesso Dossi, un’anticipazione dei bamboccianti di scuola romana, con un possente corpo erculeo che troneggia sulla natura, accompagnato dalle musiche dei pigmei non a caso. Ferrara e la corte di Ercole d’Este è una delle capitali della musica dell’epoca. Maestri delle fiandre e della Borgogna erano ospitati alla corte per comporre musica. Johannes Martini «cantadore, compositore» per venticinque anni stipendiato dagli Estensi, segue il maestro di cappella e polifonista Josquin Desprez, poi il fiammingo Jacob Obrecht, poi Antoine Brumel e Jean Mouton. A Ferrara arrivano Maistre Jan, «cantadore compositore», Alfonso della Viola, violinista e compositore, Girolamo da Sestola, detto il Coglia, organista. Adrian Willaert è accolto alla corte per i concerti occasionali. Si suona di tutto: musica polifonica, mottetti, chansons e frottole e si afferma possente il madrigale. La cosa bella e piacevolissima alle orecchie dei visitatori della mostra è proprio il sottofondo musicale composto da tante di queste opere tipiche del Cinquecento. Ma la musica si vede anche nella pittura. Non è cosa ferrarese d’oc. A Padova nel Quattrocento il grande Andrea Mantegna dipingeva gli angeli musicanti che faranno da spinta ai ferraresi, ma la musica si trova a casa sua alla corte dei duchi d’Este. La vediamo nell’opera di Ortolano, Madonna col Bambino in gloria fra gli angeli musicanti del 1516-17, olio su tela, della Pinacoteca Nazionale di Bologna.
Arriva da Washington, dalla National Gallery of Arts, Samuel H. Kress Collection, una splendida Circe e i suoi amanti in un paesaggio, opera del 1525 circa, dove splendidi cani da caccia che solo in Jacopo da Bassano rivedremo, riposano quieti alla destra in basso facendo la guardia alla bella padrona attorniata da una capriola, da una cicogna intenta a cacciare pesciolini nell’acqua, da un maestoso cervo dietro a una bella iscrizione indicata dalla dea del raccolto, da un’aquila immancabile che fa da guardia di profilo, attenta a tener d’occhio il bosco con i suoi misteri, e alla base un libro aperto, segno di alta educazione e cultura, come a voler dire «ecco la vostra storia scritta qui e illustrata da me, pictor fecit». Un drappo verde come l’erba, intenso, copre la gamba e le nudità della bella Cerere incoronata con una ghirlanda di fiori di campo e dai biondi capelli leggiadri. Il gufo, simbolo di Minerva, la spia dall’alto del folto albero che le fa da quinta teatrale. Un quadro che arriva solo adesso a Ferrara grazie alla mostra e che, se fosse anche per questo motivo, è imperdibile.
Una cosa mi preme sottolineare rispetto alle influenze e al dialogo con le altre scuole di pittura europea ed è il legame che Dürer stabilisce con il mondo dell’Italia settentrionale, dalla quale prende nutrimento e nella quale lascia le sue tracce. Un esempio è l’influenza chiara della sua stampa che raffigura la Madonna della scimmia, del 1496-98 circa, opera a bulino della Collezione Remondini dei Musei Civici di Bassano del Grappa, e Ludovico Mazzolino con la sua Sacra famiglia con i santi Giovannino ed Elisabetta, 1511, olio su tavola, del Museo Civico «Amedeo Lia», La Spezia. Una scimmietta un po’ bluastra e un po’ grigia cammina fiera di sé dalla sinistra verso destra. I due bimbi sacri, San Giovannino e Gesù, si lasciano incuriosire dalla strana intrusa, la meraviglia barocca entra con lei in scena, Gesù con un gesto dolcissimo che parte dalla manina chiama a sé lo strano animaletto. Scena dai toni pacati di vita domestica con due bimbi che giocano con una scimmietta dispettosa, immagine presa dal maestro Albrecht Dürer, ma dove la sua di scimmia sta composta ed è ritratta di fronte come una delle stranezze che riempiono il suo proverbiale horror vacui, caratteristica dell’intera sua opera.
Torniamo ai Maestri, agli storici dell’arte che hanno fatto sì che noi oggi possiamo ammirare tele che un tempo erano lasciate nel dimenticatoio dai secoli amanti di altre ideologie. In primis Roberto Longhi, colui che riscoprì la scuola di Ferrara del Quattrocento e del Cinquecento, la cosiddetta «officina ferrarese», che ridiede vita alle opere di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, ma poi anche a un altro ferrarese di tempi più vicini a noi come Achille Funi, del quale il Palazzo dei Diamanti ha ospitato una splendida mostra l’anno scorso; l’altro grande storico dell’arte dimenticato in patria è Remus Niculescu, il corrispondente di Roberto Longhi non solo nella grandezza, ma anche nel vero senso della parola, storico dell’arte romeno al quale Roberto Longhi mandò una serie di lettere. Remus Niculescu fu il mio Maestro, ma anche il rimpianto direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte di Bucarest, nonché italianista, come tanti altri storici dell’arte romeni che erano italianisti di formazione, allievo della più grande italianista romena, Nina Façon. Ogni volta che a Palazzo dei Diamanti a Ferrara c’è una mostra importante lo spirito lungimirante di Roberto Longhi si sente nelle iniziative come uno spiritus loci bonario e sapiente, che ha lasciato «un testamento» nella storia dell’arte e a me vengono in mente i versi di una famosa poesia di Umberto Saba, Amai:
Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica, difficile del mondo
Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.
Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.
Così come Umberto Saba amò «trite» parole come la rima «fiore amore», io amo Ferrara, città emiliana di grande cultura da sempre, luogo eternamente ospitale e dai ritmi pacati, che mi ha accolta in un giorno di novembre con la sua proverbiale nebbia padana, nebbia che fa sognare forte e lascia un Palazzo dei Diamanti avvolto in un’atmosfera ovattata e mi sprona a ricordare i bellissimi quadri della mostra come un ristoro del cuore, come una promessa dell’augurato breve ritorno.
Per maggiori informazioni sulla mostra, ma anche per prenotare la visita, potete consultare il sito ufficiale di Palazzo dei Diamanti che è: https://www.palazzodiamanti.it/mostre/il-cinquecento-a-ferrara/. Per il comunicato stampa il sito di riferimento è: https://www.palazzodiamanti.it/wp-content/uploads/2024/10/01_Il-Cinquecento-a-Ferrara.pdf
Liana Corina Țucu
(n. 12, dicembre 2024 anno XIV)
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