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Da Monet a Matisse (French Moderns 1850-1950)
Il Brooklyn Museum, insieme a Palazzo Zabarella, organizza tra il 16 dicembre 2023 e il 12 maggio 2024 la mostra Da Monet a Matisse. French Moderns, 1850–1950, per la quale sono state selezionate 59 opere tra le più rappresentative della collezione. Il catalogo è pubblicato da Conti Tipocolor ed è stato curato da Richard Aste e Lisa Small, con testi di Richard Aste e Lisa Smal, Cora Michael, Jai Imbrey e Jessica Larson. Spicca il ruolo di Palazzo Zabarella che è un protagonista del panorama artistico e culturale italiano, soprattutto in un dialogo con enti internazionali importantissimi. Ma perché è così importante questo museo newyorkese?
Il Brooklyn Museum di New York è nato nel 1823 come Brooklyn Apprentices' Library Association e vanta una collezione permanente di oltre 140 mila oggetti (dall’arte egizia a quella contemporanea), è il secondo museo d’arte di New York e uno tra i più grandi degli Stati Uniti e viene riconosciuto come uno dei principali detentori del modernismo francese del nord America. Lisa Small, Curator Senior di Arte Europea e Richard Aste, ex Curatore di Arte Europea al Brooklyn Museum, hanno selezionato i capolavori di pittura e scultura presenti in mostra dalla collezione del museo.
Perché il modernismo francese affascina così tanto tutt’oggi? Perché racconta uno dei secoli più affascinanti della storia dell’arte, quando gli artisti si allontanarono dalla tradizione artistica accademica per concentrarsi su soggetti della vita quotidiana. La mostra celebra anche la Francia come centro artistico del modernismo internazionale dalla metà dell’Ottocento alla metà del Novecento.
Elenchiamo i grandi nomi e alcune grandi opere in mostra a partire da Monet e Cézanne, per continuare con Léger, Morisot, Renoir, Edgar Degas, Fernand Léger, Henri Matisse, Claude Monet, Berthe Morisot, Gabriele Münter, Pierre-Auguste Renoir, Odilon Redon, Yves Tanguy, Édouard Vuillard, Auguste Rodin e molti altri, per un totale di 45 maestri. Tutti sono a Parigi, attirati come le falene dalla città della luce, dalla sua cultura, dallo spirito che si sprigiona dai suoi caffè letterari, dagli atelier degli artisti, dal mondo favellante che si autoracconta e che fa di Parigi il centro del mondo per quel periodo.
Questi grandi pittori e scultori hanno snellito con la loro opera il passaggio dall’Accademia alla pittura en plein air, dall’idealismo classicheggiante al naturalismo e poi all’astrazione nell’arte. Si mescolano insieme tendenze dell’impressionismo, del realismo prima e del post-impressionismo dopo, dal fauvismo dai colori vivaci, a volte torpidi, al cubismo e al surrealismo ricercato e impegnato sempre a superare la crisi delle avanguardie.
Come vi ho abituato, a volte mi ritornano in mente episodi del mio passato legato al soggetto che indago in questo momento. E chi non ha i flashback del passato dopo i cinquant’anni? Mi ricordo il mio primo approccio con il cubismo, anzi, meglio detto il mio stupore davanti ai quadri che lo rappresentavano. Ero una giovane studentessa e lavoravo nella fototeca dell’Istituto di Storia dell’Arte di Bucarest. Un giorno, con candore, chiesi al mio collega e ormai amico Andrei Pintilie, grande specialista delle avanguardie in special modo di quelle appartenenti al mondo tedesco: «Andrei – dissi – ti confesso che io non ne capisco nulla dall’impressionismo in poi. Ma proprio nulla e non so come fare, visto che la gente è in estasi davanti a certe opere di area avanguardista e io ne rimango fuori perché sinceramente, non ne capisco nulla». Andrei Pintilie mi guardò dalla sua bellezza di un metro e novanta, tirò fuori la cicca senza filtro, causa del fumo da ciminiera in cui fluttuava la sua chioma biondastra con macchie canute e mi disse: “devi sentire la Prima di Mahler e leggere Nietzsche per capire il momento in cui si rompe l’armonia nella musica e nella filosofia e quando incomincia la riscoperta del subconscio. Una volta capito questo, poi capirai le avanguardie». Rimassi in silenzio e aprii le orecchie. Mi misi a leggere la «nuova» filosofia e sentire la musica e lentamente la mente mi si affacciò su quella sponda così incomprensibile prima. Andrei Pintilie fu il mio maestro del «modernismo» e grazie alle sue dritte oggi godo anch’io alla vista di una collezione come questa del Museo di Brooklyn.
La mostra è divisa in quattro tappe: Paesaggio, Natura morta, Ritratti e figure, e Il nudo e ci spiega come cambia la visione dell’arte nel secolo fra il 1850 e il 1950. Inizia con i pittori cosiddetti accademici, Gérôme e Bouguereau, dove il realismo è seguito con acribia e i soggetti sono tradizionali, in conformità con i canoni del XIX secolo. Segue l’altra generazione, quella di pittori come Millet e Boudin, che usavano pennellate più sciolte per rappresentare soggetti meno convenzionali, come le spiagge della Normandia e i contadini e le loro greggi nei dintorni di Parigi, ma presentano il soggetto al centro del quadro, come un Dio in Terra come mai prima era stato rappresentato un umile agricoltore, figlio della campagna e delle sue fatiche. Seguono i “pointillisti”, Sisley e Pissarro che aprono la strada al modernismo con le sue pennellate ampie, con i colori sgargianti e la natura bagnata dalla luce intensa e vera.
Ed eccoli gli impressionisti, coloro che volevano ‘impressionare’, con grandi maestri come Monet, Renoir, Cézanne e Degas, che cambiano la rappresentazione onirica del paesaggio, della foresta di Corot per esempio e la trasformano in vita che esce fuori dal quadro con touche quasi espressioniste, con affreschi di colore che li fa sembrare il trompe d’oeil di sé stessi.
La generazione successiva, con opere di Matisse, Bonnard, Chagall, permette al colore, alla forma e alla pennellata di avere la precedenza sul soggetto. Il mondo dell’arte conosce una vera ondata migratoria quando molti altri artisti si trasferirono a Parigi all'inizio del XX secolo. Le opere di Rodin, Degas testimoniano l’estendersi della liberazione della forma dalla pittura alla scultura.
La sezione dedicata alla 'natura morta', come erano definite dall’Accademia di Francia i dipinti di oggetti inanimati, ci fa capire già dal titolo che le opere non erano molto considerate. Tutto cambia con l’apertura verso l’Europa del Giappone che, dal 1850, esporta le sue strabilianti stampe che influenzano l’arte europea nel taglio, nei colori, nel soggetto. Sappiamo quanto è importante nell’arte orientale il connubio tra immagine e il testo della poesia che ispirava tale composizione pittorica e soprattutto quanto è centrale la natura nella filosofia Zen della rappresentazione del mondo. La natura morta è un interno borghese con tessuti coloratissimi, con la luce che penetra l’ambiente dando vita e brillo alle ceramiche, alla frutta e ai fiori che addobbano i tavoli festosi, tripudio della vita. Si accostano mobili esotici con lo scopo d’indurre sensazioni che trascendono l’esperienza fisica per giungere al regno psicologico e spirituale. Ecco quindi Fiori di Matisse, splendida opera fauvista, Composizione in rosso e blu di Léger, animata da accostamenti inaspettati e forme oniriche e Natura morta con tazza blu di Renoir, luminosa e rassicurante.
Segue sua maestà, l’amato paesaggio. L’Accademia di Francia fin dalla sua fondazione nel XVII secolo aveva considerato il paesaggio una delle forme d’espressione artistica meno importanti. Tutto cambia a partire dal XIX secolo quando gli artisti iniziano a dipingere 'en plein air' facendo della Natura il soggetto per eccellenza. La foresta di Barbizon si popola di pittori che pullulano con i loro chevalet in cerca dell’ora giusta, della luce, della verità della vita. Possiamo dire che sia gli impressionisti che gli espressionisti e i modernisti faranno del paesaggio il loro tema maestro e nella mostra abbiamo la testimonianza di opere come La salita di Pissarro, in cui si può osservare una prospettiva cubista in erba; oppure Ville-d’Avray di Corot, dove la luce, dinamica e reale, è oggettiva come la pietra ma morbida come le nuvole; e ancora Marea crescente a Pourville di Monet, che, illuminata da sfumature iridate, riecheggia delle forti condizioni della natura.
Passiamo all’altro tema della mostra che è il nudo. Nell'Ottocento il nudo era una continuità del mondo antico, era legato alla bellezza ideale dell’arte greca, al realismo veridico delle figure romane, ma senza dare spazio alla bellezza «contemporanea» che non poteva reggere il confronto con le dee della classicità. Tutto ciò fu sconvolto da personalità forti come Charles Baudelaire, che nella sua Passante sostenevano un nuovo tipo di bellezza, sfuggente, ma «in carne e ossa». Il nudo esce dallo studio di Degas Donna nuda che si asciuga e irrompe con la famosa scultura L’età del bronzo di Rodin, segue il quadro Subacquei policromi” di Léger, e va verso le astrazioni cubiste.
I ritratti e figure, a partire dalla metà del XIX secolo, con la moda prêt-à-porter si arriva ai prezzi accessibili e alla cultura di massa e gli artisti iniziano a ritrarre i dandy vestiti alla moda, dove il tocco dello charme è dato da una pennellata luccicante per sottolineare una lacca di qualche vernice dello stivaletto del chinissimo monsieur W.S. Davenport opera di Kees van Dongen. Tutti vogliono essere ritratti e soprattutto i vecchi e i nuovi ricchi, il glamour della Belle Époque. L’aristocrazia europea e l’alta borghesia del Nuovo Mondo passa per gli studi dei maestri come Giovanni Boldini, specialista del ritratto in tutte le tecniche e di fior fiore di bellezze immortalate sulle sue tele. Non tutti però sono affascinati dalla high society, ci sono pittori come François Millet, che raffigura il Pastore che si prende cura del suo gregge, dove la dura realtà della vita contadina occupa il posto centrale nel componimento.
Ultima, ma non meno importante, è l’unica donna impressionista, Berthe Morisot, che attraverso i suoi dipinti con scene domestiche e donne e bambini come Ritratto di Madame Boursier e di sua figlia (che è anche l’immagine scelta per la copertina del catalogo e della locandina pubblicitaria della mostra, si concentra sulla vita della donna, i suoi sentimenti e il suo ruolo nella società e porta con sé il candore di un universo domestico che solo una donna e pochissimi altri pittori sapranno interpretare e portare ai nostri occhi in un’immagine così pacata e commovente. Marc Chagall con Il musicista trascrive i ricordi dei suoi primi anni di vita nel shtetl di una gubernija russa innevata.
Se devo ricordare all’improvviso alcuni di questi quadri stupendi, partirei dal primo, Il mercante di tappeti del Cairo di Jean-Léon Gérȏme, dove centrale è il tappeto stesso, sicuramente un oggetto di scena usato dall’artista nel suo studio e comprato forse nel viaggio in Egitto che avrebbe compiuto in passato. La minuziosità con la quale ci descrive i colori, il ricamo ma soprattutto la trama vellutata del tappeto in sé rappresenta sì una dichiarazione al realismo, ma dipinta dal mistero del cosiddetto «esotismo» e che noi percepiamo come una specie di meraviglia davanti allo strepitoso manufatto esposto con fierezza di chi è consapevole di quale tesoro sta esponendo.
Mi piace il Ritratto di signora di Boldini e come potrei non essere affascinata dalla bellezza del soggetto, dalla modernità del suo semplice vestito nero a spalla cadente e dal gesto enfatizzato della figura a tre quarti che ci trafigge con lo sguardo e ci fa capire che è un attimo, un istante quello nel quale si è alzata dalla Récamier per guardare Giovanni Boldini che la ritrae seducente e tramite il suo sguardo la ammiriamo anche noi, quelli al di là della linea del tempo.
Claude Monet, Alta marea a Pourville è un’emozione attraverso il paesaggio che vibra sotto il vento che spazza la terra alta di una costa in balia della forza della natura, con una casa del pescatore li accovacciata per sfuggire alla furia, con le onde increspate e la vista a volo d’uccello come in una stampa di Utagawa Hiroshige, Ponte sotto la pioggia.
Sempre tra i paesaggi mi ha colpito Alfred Sisley e la sua Alluvione a Moret, dove la forza del fiume straripato porta con sé tronchi d’albero che sono riprodotti con l’aiuto delle lunghe pennellate, dove la luce dopo la pioggia è forte e intensa come un filtro freddo, come una seconda alluvione, questa volta di luce e di colori intensi che brillano.
La scultura di August Rodin Età del bronzo è solo in dimensione media. Nel Museo dell’Arte di Bucarest, un’altra variante è di dimensioni naturali, alta 182,9 cm., opera che è appartenuta alla Regina Maria di Romania, amica di Rodin e colei che, tramite le amicizie comuni come la danzatrice Loïe Fuller, mandò Constantin Brâncuşi a Parigi per studiare preso il grande maestro. Sono rimaste celebri le parole di Brâncuşi: «Sotto un albero gigante, non può crescere un altro albero», segno di ammirazione e rispetto verso August Rodin.
Paul Cézanne, Il vilaggio di Gardanne è una specie di work in progress, dove una parte è finita e l’altra è incompiuta, con un paesaggio della Provenza, dove in cima alla collina troneggia una chiesa antica e lascia sotto di sé una marea di tetti con le tegole rosso-arancioni e degli alberi che fanno da contrasto con il loro verde bruciato dal sole del Sud.
Un’ultima parola la merita lei, la donna, Berthe Morisot e il dolce universo della maternità racchiuso nel gesto di Madame Boursier che si adopera di mettere in posa la sua figlia vestita «da festa» che le tiene tra le sue manine da bambolina la mano rassicurante, da madre. Un gesto quotidiano, così dolce e pieno di significati, ma che mai era stato raffigurato nella pittura, con la sapienza di colei che per prima ha conosciuto a sua volta, la maternità. Quest’anno ho voluto dare un significato diverso alla giornata mondiale contro la violenza alle donne del 25 novembre. Insieme a una classe della quarta superiore abbiamo realizzato dei powerpoint con la storia di alcune donne rappresentative del mondo dell’arte, donne che hanno conosciuto a loro volta la violenza o la discriminazione in quanto donne: Artemisia Gentileschi, Rosalba Carriera, Berthe Morisot, Tina Modotti e Camille Claudel. In pratica siamo andati nelle classi del triennio dell’Istituto «Cesare Musatti» di Dolo (Venezia) e abbiamo presentato alle classi una delle protagoniste elencate. Berthe Morisot è stata l’unica impressionista, ha partecipato a sette delle otto mostre organizzate da loro, non partecipò all’ottava perché aveva partorito la sua unica figlia, modella dei suoi quadri successivi. Senza la visione intimista dello spazio interno delle case dedicato alle donne, dei giardini o dei bimbi accuditi con amore nella culla, l’Impressionismo sarebbe stato un po’ più frivolo e meno attento all’universo candido dell’ambiente domestico visto attraverso degli occhi di una donna che ritrae le donne.
Chiudo con l’augurio che a Palazzo Zabarella e alla Fondazione Bano si continuino a organizzare eventi così come siamo stati abituati da vent’anni a questa parte, con l’allestimento di mostre strepitose che hanno dato lustro alla città di Padova, iscrivendola nel circuito culturale delle mostre d’arte in Italia. Personalmente, non solo ho visto tutte le mostre che si sono succedute dal 1999 in poi, ma ho portato a vedere queste mostre anche le mie varie classi di innumerevoli licei e istituti superiori dove ho insegnato, con la convinzione che «l’arte salverà il mondo», se non fisicamente, almeno dall’aridità dello spirito e dalla mancanza di sensibilità verso l’arte e che io, nel mio piccolo, cerco di combattere portando le nuove generazioni a vedere, per parafrasare un film famoso, «la grande bellezza» del Bel Paese.
Claude Monet, Alta marea a Pourville, 1882, olio su tela, 66 x 81,3 cm, dono di Mrs. Horace O. Hameyer
Alfred Sisley, Alluvione a Moret, 1879, olio su tela, 54 x 71,8 cm, lascito di A. Augustus Hearley
Paul Cézanne, Il vilaggio di Gardanne, 1885-86, olio e pastello conté su tela, 92,1 x 73,2 cm,
Ella C. Woodward Memorial Found e Alfred T. White Found
Berthe Morisot, Madame Boursier e sua figlia, 1873 ca., olio su tela, 74,5 x 56,8 cm
Liana Corina Tucu
(n. 3, marzo 2024, anno XIV)
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