«Canova Quattro Tempi», mostra fotografica di Luigi Spina

Dal 20 aprile del 2024 fino a una data indefinita (segno del grande successo) il Museo Gipsoteca Antonio Canova di Possagno ospita la mostra fotografica Canova Quattro Tempi di Luigi Spina, mostra nata da una ricerca e accompagnata da un progetto editoriale che a sua volta è frutto delle quattro campagne fotografiche sul tema. In seguito, è uscito il libro pubblicato da 5 Continents Editions, con testi di Vittorio Sgarbi. Il terzo volume ha vinto la medaglia d’oro come miglior libro d’Arte attribuita dall’ICMA – International Editorial-Design & Research Forum e con l’attuale mostra esce il quarto e ultimo volume del progetto editoriale. Per la mostra Luigi Spina ha selezionato 32 fotografie in bianco e nero, le più importanti delle opere della Gipsoteca di Possagno e le ha messe in dialogo con le opere di Canova che sono esposte nell’Ala Gemin. Nella mostra sono riportati due motti. Nel primo è di Melchiore Missirini, l’autore Della vita di Antonio Canova uscita nel 1824, il suo primo biografo e afferma che: «Già non ci creda, ei diceva (Canova) bella una opera, se solo difetti non ha: le più sublime opere non ne vanno senza, e sono bellissime, perché, oltre la bellezza che appaga lo intelletto, hanno la bellezza d’ispirazione, che assale i sensi e trionfa nel cuore: hanno l’affetto in sé, hanno in sé la vita, e ci fanno piangere, rallegrare e commuovere a posto loro, e questa è la vera bellezza.» Il secondo motto è di Luigi Spina: «Guardo le sculture di Canova e non ho mai certezze. Sento le mani dell’artista che plasmano all’infinito. Il mio proposito – afferma nuovamente Luigi Spina – è di rivendicare la contemporaneità del classico, il suo essere trasversale in ogni epoca.»
Le opere canoviane che Luigi Spina adorna con le sue foto sono la Pace o la Concordia e la Maddalena penitente del Maestro. «Queste opere afferma la direttrice Moira Mascotto – entrano a far parte del patrimonio del Museo di Possagno con l’ambizione, una volta conclusa la mostra, di dar vita a nuovi progetti espositivi con importanti istituzioni museali nazionali e internazionali con i quali siamo già in dialogo.» Luigi Spina è un fotografo consacrato con più di venti libri fotografici e tra questi cito il progetto sul Foro romano, L’Ora Incerta, Electaphoto (2014); Volti di Roma alla Centrale Montemartini, Silvana Editoriale (2019); The Buchner Boxes (2014), Le Danzatrici della Villa dei Papiri (2015), Diario Mitico, Cronache visive sulla collezione Farnese (2017), I Confratelli (2020), Sing Sing, il corpo di Pompei (2020), Bronzi di Riace (2022) e Interno pompeiano (2023), 5 Continents Editions. La rivista MATADOR, Fábrica Madrid, gli ha dedicato la copertina e il servizio centrale del numero T. Nel 2020 l’autorevole rivista Artribune l’ha nominato il miglior fotografo dell’anno. Nel 2022 ha vinto il Premio Digital Michetti, nel 2023  il Premio Internazionale Amedeo Maiuri per la Fotografia.
Nella mostra di Luigi Spina a Possagno mi ha colpito il primo soggetto – la Pace, detta anche la Concordia. Da poco avevo portato all’attenzione di una mia classe quarta delle seconde superiori dell’Istituto «Carlo Zuccante» di Mestre il tema della Pace attraverso la nascita dell’opera di Canova. La colonna alla quale si appoggia l’Angelo della pace che configge il giavellotto nella guerra, rappresentata a forma di un serpente, riprende l’iconografia dal Barocco, dove Maria, regina della pace, schiaccia col piede il demonio. La Pace fu realizzata su committenza del principe russo Nikolaj Rumianzev e venne richiesta nel 1812 quando la Russia era alle strette con Napoleone. L’iscrizione sulla colonna commemorativa doveva essere in lingua francese, successivamente, con la sconfitta di Napoleone le scritte vennero richieste in russo, poi si accantonò il progetto con gran dispiacere di Canova, che desiderava realizzare un monumento alla Pace anche pagando di tasca sua. Finalmente nel 1815, dopo la Restaurazione, si realizzò l’opera come simbolo di unità e concordia tra le nazioni europee e la scritta fu realizzata in latino. La Pace canoviana fu accolta nel 1816 a San Pietroburgo da una folla festante e posta all’Ermitage, accanto ai marmi già presenti, opere di Antonio Canova, che erano una eredità dell’imperatrice Giuseppina lasciata al figlio, Eugenio Beauharnais e restò a San Pietroburgo sino al 1861, quando fu trasferita a Mosca. Nel 1953 Chruščëv, Segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, di origini ucraine, decise di trasferire la scultura a Kyiv. La Pace oggi è nel bunker del museo di Kyiv e la guerra è adesso fra gli ucraini e i russi; la statua è diventata più che mai l’allegoria della Pace come Nemesi, ovvero personificazione nella mitologia greca e latina della giustizia distributiva, e perciò punitrice di quanto, eccedendo la giusta misura, turba l'ordine dell'universo. E così la colonna cambio l’iscrizione dal francese al cirillico e dal cirillico al latino. Nell’opera di Canova fotografata da Luigi Spina c’è la testimonianza della mutevole iscrizione, metafora della Storia stessa e ci induce a una profonda riflessione sui ‘corsi e ricorsi’ della storia.
Ma chi era Antonio Canova? Antonio Canova (1757-1822) è stato lo scultore neoclassico più rappresentativo del suo tempo. Se il Veneto dovesse avere un logo, questo dovrebbe essere Antonio Canova. Già l’aeroporto di Treviso porta il suo nome, ma l’importanza dell’artista è molto più grande. A  Possagno, in provincia di Treviso, si trova la Gipsoteca canoviana ed è solo una parte del Museo Canova, insieme alla Casa Natale dello scultore e alla Biblioteca. Canova non ha avuto figli, ma soltanto un fratellastro da parte della madre, Giovanni Battista Sartori, che a sua volta ha preso i voti di prete. I due fratelli hanno lasciato tutto quello che il grande Antonio Canova aveva guadagnato in vita e l’intera collezione dei gessi, bozzetti d’argilla, alcuni i quadri, i disegni e i libri che lo scultore amava sentire pagando anche a volte un lettore che li leggeva mentre lavorava alle sue opere. Antonio Canova è stato criticato dalla corrente che seguirà, ma anche da alcuni critici del ventesimo secolo, perché neoclassico, perciò, secondo un pregiudizio, imitatore del classico, un’arte frigidaire o, come diceva G. C. Argan, «Il maggior Canova è, come il maggior Foscolo, quello dei sepolcri». Nella casa natale a Possagno sono custoditi i modelli in gesso delle opere che poi il Canova realizzava in marmo. La Gipsoteca canoviana è costituita da due ambienti: la parte più antica risale al 1836 ed è un progettato dall’architetto veneziano Lazzari; la parte più recente, realizzata dall’architetto Carlo Scarpa, risale al 1957. Per gli intenditori Carlo Scarpa non fu soltanto uno dei più grandi architetti del suo tempo, ma anche il migliore architetto di spazi espositivi ambientati dentro i monumenti storici, come per esempio al Castello di Verona, dove restaurò e adibì come museo l’antica fortezza, a Palermo al Palazzo Abatellis dove era custodita la stella Volpato di Antonio Canova e anche a Possagno, dove l’ala costruita da Carlo Scarpa è un esempio di grandiosità della visione di Scarpa nel concepire lo spazio come uno scenario fatto per mostrare l’opera nella luce naturale, con fori e finestre inconsuete posizionate negli angoli perimetrali, come lunette nel sottotetto  o come veri mattoni di luce dentro il muro in pietra. La firma di Carlo Scarpa conferisce preziosità ancora una volta alla gipsoteca. L’unicità che la Gipsoteca ottenne con l’intervento di Carlo Scarpa sta anche nell’esposizione dei bozzetti in argilla, come una specie di didascalia delle opere. Molte statue infatti giacevano ancora nei depositi tra cui i bozzetti in terracotta. La distribuzione sui diversi livelli delle opere giovò anche perché la luce naturale filtra dall’alto e risalta il tocco della mano dell’artista.
A Possagno abbiamo la più grande Gipsoteca monografica d’Europa. Nella casa natale è commovente poter vedere messi in teca una parte degli strumenti dell’artista, oltre che i suoi vestiti. Davanti alla casa si trova il giardino con splendidi roseti e il Brolo, ovvero il frutteto con alberi rari e diversi. Ed ecco che i ricordi romani affiorano pure nel giardino che diventa un libro dell’anima di Canova perché contiene un pino italico con la sua inconfondibile corona tonda, piantato dallo stesso Canova nel 1799. La biblioteca è composta da tre settori. I 5000 volumi donati dal professor Massimiliano Pavan (1920-1991) ai quali si aggiungono i volumi relativi alla cultura artistica veneziana donati dalla professoressa Elena Bassi (1911-1991) e il settore della biblioteca canoviana, ovvero volumi di cultura, vita e opere di Canova. La bellezza del luogo fu intaccata dalle granate della Prima guerra mondiale; nel 1917 alcuni gessi furono distrutti e altri danneggiati. Anche la struttura subì numerosi danni. La Gipsoteca fu riaperta al pubblico nel 1922, dopo che Stefano e Siro Serafin ebbero attuato un grande lavoro di restauro delle opere. Come lezione di vita, nella Seconda guerra mondiale, per precauzione, le statue furono portate all’interno del Tempio di Possagno e vi rimasero fino al 1946. Vennero poi riallestite secondo lo spirito che aveva voluto imprimere Giovanni Battista Sartori quando aveva concepito questo luogo.
Ci sono varie modalità per arrivare all’opera di Antonio Canova. Ognuna rappresenta, in parte, anche un segmento della nostra vita. Personalmente, al Canova sono arrivata attraverso il neoclassico romeno, ai discepoli del Canova sparsi per il mondo, ai suoi ammiratori come Gheorghe Asachi, uno dei padri fondatori della cultura romena, poeta petrarchista ma anche l’unico romeno che non apparteneva all’ambiente greco cattolico della Transilvania, bensì moldavo, che aveva finalizzato la sua formazione con il Grand Tour a Roma e conobbe e frequentò Antonio Canova nel suo studio romano. Tornato in Patria, Asachi metterà in atto le conoscenze apprese in Italia che ammirò fino all’ultimo respiro e messe a mo’ di epitaffio: amai il fiore d’Italia. L’Enciclopedia italiana Treccani descrive Gheorghe Asachi come: «Scrittore romeno (Herta, Alta Moldavia, 1788 - Iași 1869). Studiò a Leopoli, a Vienna e a Roma (1808-12), dove frequentò l'atelier del Canova. Fu amico di Bianca Milesi, che gl'ispirò una serie di liriche arcadiche, alcune in italiano, e conobbe V. Monti. Nel 1813, fu nominato professore di matematica alla accademia di Iași. Fu un promotore della scuola romena in Moldavia; organizzò, nel 1816, il primo teatro romeno; nel 1829 fondò il primo giornale moldavo, Albina românească (L'Ape romena) e nel 1836 il primo Conservatorio filarmonico. Fu anche un valente pittore. Delle sue opere letterarie si ricordano: Poezii (1836), due raccolte di favole, un volume di novelle storiche (1859) e alcuni lavori per il teatro». Gheorghe Asachi, la sua opera così vasta e che ha toccato tante sfere della cultura, fu il mio argomento per la tesi di dottorato di ricerca che svolsi all’Università di Iași sotto la guida del professore ed accademico Alexandru Zub. Dovevo seguire una personalità complessa, di conseguenza, il contenuto della mia tesi di dottorato ha spaziato dalla storia all’ideologia e ai miti, dalla storia dell’arte alla storia della letteratura italiana e romena e si è conclusa con un libro: Elite culturale italo-române și idealul comun al Europei liberale: Ideologie şi mit în opera lui Gheorghe Asachi, uscito per l’editrice Tracus Arte di Bucarest nel 2011. Un capitolo è dedicato ad Antonio Canova. Più tardi ho studiato i diari di viaggio di Antonio Canova e di Giannatonio Stella e ho messo a confronto lo stile ben curato in un italiano molto elegante di Stella con lo stile di Canova, che, pur usando il dialetto, è pieno di vita e di gioia nello scoprire l’antichità. Lo studio fu pubblicato con il titolo Alla ricerca dell’Antichità: diari di viaggio di Antonio Canova e Giannantonio Stella nel percorso Roma-Napoli, in «Quaderni Coldragonesi» 3, del 2011.
Tornando alla Gipsoteca di Possagno, tra le opere più importanti notiamo Tre GrazieAmore e Psiche, due Danzatrici e George Washington, disposte secondo le indicazioni del fratello di Antonio Canova. Il sentimento del vissuto è dato anche dai mobili originali del primo Ottocento: una piattaia, le credenze, i tavoli e le specchiere. Da buon veneto, Canova aveva investito i suoi soldi in terreni coltivati a foraggio, che fornivano il pasto agli animali da stalla.Oltre alla casa e alla Gipsoteca, a Possagno sono raccolti – come è menzionato nella presentazione del Museo Canova, due straordinari fondi archivistici, uno di pnroprietà di Fondazione Canova e l’altro appartenente all’Opera del Tempio. Il primo Archivio conserva gli atti amministrativi relativi al soggiorno romano di Canova, i documenti relativi alla missione parigina di Canova, volta a recuperare le opere d’arte trafugate da Napoleone, la documentazione relativa alla storia della Gipsoteca di Possagno, agli statuti di quella che diventerà la Fondazione Canova Onlus, ai libri contabili e alle distruzioni delle opere avvenute durante la Prima guerra mondiale.
Antonio Canova è lo scultore più importante del Neoclassicismo, è l’italiano mandato a recuperare le opere trafugate da Napoleone a Parigi, è la personalità che Gheorghe Asachi ha voluto conoscere a Roma e ha determinato la scelta dei primi professori di disegno che Asachi porterà più avanti nei Principati romeni quando sarà ministro dell’Insegnamento del Principato della Moldavia, è il veneto imprenditore di se stesso, laborioso, umile e pieno di rispetto verso le sue origini. Canova pensò alla sua comunità di Possagno facendo costruire con i suoi soldi la grande basilica che riprende il Panteon romano, visibile da tutta la vallata quando si entra nella località; di anima gentile ha pensato anche al destino delle fanciulle povere di Possagno con un fondo per assicurare la loro dote, fondo cospicuo che si esaurì soltanto un secolo dopo la sua morte.
Antonio Canova predomina su tutti gli scultori del suo tempo, è l’amico del romeno Gheorghe Asachi, l’autore di una Pace, o Concordia, che oggi è a Kyiv al riparo dalle bombe e spera di uscire alla luce di nuovo quando la guerra sarà finita e quando l’orrido serpente sarà schiacciato sotto il suo gentil piede. La luce e le ombre che quest’Angelo prende sotto gli scatti eleganti in bianco e nero di Luigi Spina sono la metafora dei nostri tempi.
Ringrazio la conduzione del Museo Canova di Possagno che mi ha accreditata per vedere la mostra Luigi Spina e rivedere la Gipsoteca di Antonio Canova.
Per ulteriori informazioni potete consultare il link: https://www.museocanova.it/


Liana Corina Țucu

(n. 2, febbraio 2025 anno XV)