Achille Funi, «Un maestro del Novecento tra storia e mito»

Tra il 28 ottobre 2023 e il 25 febbraio 2024, a Ferrara, al Palazzo dei Diamanti, continua la serie di mostre dedicate alle grandi personalità legate, per nascita e vocazione pittorica, a Ferrara. L’idea appartiene anche questa al passato, al grande estimatore dell’«officina ferrarese», il critico e storico dell’arte Roberto Longhi. Sulle orme del maestro, Vittorio Sgarbi, con lungimiranza e amore per la sua patria natia che è Ferrara, ha incoraggiato le iniziative di questo genere: artisti ferraresi di diverse epoche storiche, raccolti nello scrigno di Palazzo dei Diamanti, monumento da poco restaurato e pensato come un contenitore d’arte.
Ma chi è Achille Funi e perché è così importante nel panorama affollatissimo degli anni tra le due guerre in Italia? Virgilio Socrate Achille Funi, nato a Ferrara nel 1890 e spentosi ad Appiano Gentile nel 1972, ha preso parte come uno dei maggiori esponenti dei principali movimenti che hanno caratterizzato l’arte italiana nella prima metà del Novecento. Prima fu un futurista moderato, poi, negli anni Venti, uno dei principali esponenti del Realismo magico, diventò negli anni Trenta un artista addetto all’affresco (il cosiddetto muralismo), mantenendo però una sua forte autonomia. Dalla pittura murale recuperò una parte «dimenticata» della tradizione italiana del Rinascimento e dell’antichità classica. La mostra è organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara. La curatrice della mostra è Nicoletta Colombo, insieme a Serena Redaelli e Chiara Vorrasi, ma, come detto in precedenza, sull’idea di Vittorio Sgarbi. Sono presenti oltre centotrenta opere di Achille Funi, un artista moderno che, come August Renoir in Francia, è tornato alla «classicità» attraverso un’appassionata ricerca sulle tecniche e sulle forme pittoriche, caso singolare nell’arte italiana del XX secolo.
Achille Funi, in qualità di aderente al Realismo magico, si ispirò molto ai miti classici, ma soprattutto alle forme geometriche di Piero della Francesca. I miti classici l’ho conquistarono fino a essere considerato un moderno umanista, prese spunto dai maestri «locali» dell’«Officina ferrarese» come Cosmè Tura e il suo meraviglioso San Giorgio ma con lo spirito del tempo della realtà, del terribile ventennio fascista e lo sguardo sornione al mito dell’Impero avvolto da un’aura di magica sospensione. Funi chiama la sua arte, un «costante andare verso la bellezza», ma i suoi maestri si trovano anche nell’Impressionismo francese nelle tele di Cézanne, come di Picasso, per ritornare di nuovo «a casa» nella Ferrara di De Chirico.
La mostra è la più vasta rassegna antologica realizzata negli ultimi cinquant’anni e rifà la traiettoria del pittore attraverso molte opere provenienti da prestigiose collezioni pubbliche ma anche private. Ci sono dipinti a olio e a tempera, acquerelli e disegni a carboncino e a sanguigna, nonché cartoni preparatori per i grandi affreschi e mosaici, che offrono al pubblico l’occasione unica di riscoprire lo straordinario disegnatore e di uno dei più grandi maestri del Novecento italiano, poco conosciuto all’estero. L’attuale mostra si ricollega a quella realizzata nel 1976 sempre a Palazzo dei Diamanti. Delle 130 opere, otto sono inedite, mai esposte al pubblico prima, e altre otto ritrovate grazie a segnalazioni e a un importante lavoro di archivio.
L’esposizione parte dai disegni da «accademia» per continuare con i capolavori futuristi come è l’Uomo che scende dal tram e Il motociclista del 1914, che hanno suscitato l’ammirazione dell’amico Umberto Boccioni per la capacità di esprimere «attraverso pure forme e puri colori, una emozione plastica». I disegni al carboncino sono una toccante testimonianze della Prima guerra mondiale, una specie d’illustrazione di una edizione mai esistita del Porto sepolto di Ungaretti.
Come Renoir fece con l’Impressionismo, così Funi ritornò all’ordine e alla restaurazione delle forme classiche. Il dopoguerra è rappresentato da opere nel segno di Cézanne, della pittura metafisica e dell’adorato Leonardo, come Genealogia (La mia famiglia) del MART di Rovereto o Il bel cadavere (Le villeggianti) del Museo del Novecento di Milano. Il percorso a cannocchiale del museo riparte con il Realismo magico, dove l’atmosfera di incantato stupore attinge alla cultura figurativa rinascimentale; proseguono le allegorie della Maternità e La terra, anche L’acqua, presentata in questa occasione per la prima volta dopo oltre un secolo. Il Novecento riparte con il movimento moderno coordinato da Margherita Sarfatti, opere di un maestoso classicismo: da Leonardo parte nell’Autoritratto da giovane del Museo d’arte della Svizzera Italiana di Lugano, Saffo ricorda Picasso e le sue bagnanti, segue la scena raffaellesca Lettura domenicale della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma o la possente Venere del Musée cantonal des Beaux-Arts di Losanna.
Negli anni Trenta e Quaranta Funi cerca con ostinazione l’antico nelle sue tecniche e le opere che appartengono a quel periodo sono Publio Orazio uccide la sorella della Nationalgalerie di Berlino, e la Natura morta e il paesaggio (Il Foro romano della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara). La mostra continua nelle ultime tre sale che, in passato, erano allestite al Museo del Risorgimento. Il passaggio si fa attraverso una galleria in vetro, metallo e cemento che ci conduce «dall’interno» attraversando il giardino e accostandosi al chiostro, «all’esterno», rientrare ulteriormente nella parte finale del Wunderkammer che è diventato oggi Palazzo dei Diamanti. 
Spesso, guardando i corpi massici delle sue figure di quel periodo, ci viene alla mente Sironi. Con lui Funi ha in comune l’epos, l’eroe mitico e la sua forza volumetrica e fisica che emana dagli affreschi. Funi e Sironi s’impegnano nelle campagne decorative che proiettano i miti collettivi della nazione sulle pareti di edifici monumentali. In questa ultima parte della mostra ci sono gli affreschi Il Mito di Ferrara, imponente impresa decorativa che Funi ha realizzato per la Sala dell’Arengo del Palazzo Municipale della città dei duchi d’Este. Il ciclo rappresenta la summa dei grandi progetti murali che Funi ha affrescato in quegli anni a Milano, Trieste, Roma e Tripoli, e nella mostra abbiamo alcuni dei cartoni preparatori.
L’assessore alla Cultura di Ferrara, Marco Gulinelli, diceva: «Celebrare Achille Funi vuol dire celebrare uno dei più significativi pittori della prima metà del Novecento, nonché focalizzarsi su un momento fondamentale della storia artistica della nostra città, impresso ancora oggi sulle pareti e sul soffitto della Sala dell’Arengo del Palazzo Municipale, luogo aperto alla cittadinanza, dove Funi ha raccontato Il mito di Ferrara, straordinario ciclo decorativo realizzato tra il 1934 e il 1937». E continua: «Questa mostra corona un percorso già intrapreso dalla Fondazione che presiedo con altri artisti quali Gaetano Previati, Giovanni Battista Crema, Arrigo Minerbi (al Castello Estense fino al 26 dicembre) e con il Rinascimento a Ferrara. L’obiettivo è ‘tornare a Ferrara’, far vedere la grandezza di Ferrara nell'antico e nel moderno. Achille Funi ne è la sintesi: è l’artista che più di tutti sente la coscienza viva del Rinascimento e ne incarna la modernità. Insieme a Giorgio de Chirico, Funi rappresenta la dimensione internazionale di Ferrara nel Novecento».
Vittorio Sgarbi, presidente Fondazione Ferrara Arte, conclude con un riassunto dell’arte di Achille Funi: «Vissuto nella crisi che ha caratterizzato il XX secolo, Funi ne ha attraversato le vicende e i movimenti da protagonista, con quel suo modo di vivere la contemporaneità con innato spirito filosofico, tanto da sembrare un uomo del Quattrocento, un umanista involontariamente calato nella modernità. Prima futurista moderato, poi tra i fondatori del Novecento italiano, insieme a Mario Sironi è stato tra gli affrescatori più importanti a livello internazionale».
Il catalogo della mostra approfondisce le diverse sfaccettature della personalità di Achille Funi confermandone la forte personalità. Funi fu attorniato da ben noti attori della pittura italiana legati da un rigoroso dialogo con De Chirico e Savinio, che per soggetti prediletti possiamo dire che in certo modo anch’essi erano ferraresi e dalla pittura di De Pisis, pittore e poeta ferrarese, ma soprattutto fu un artista ancorato nella nebbia della pianura emiliana, nella Ferrara sorniona e fabulatoria delle epopee cavalleresche e delle metriche, prima di Matteo Maria Boiardo e poi di Ludovico Ariosto. A Ferrara uno spiritus loci custodisce la città attraverso i tempi, spirito buono, raccontatore di «Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori». La mostra contribuisce a ripresentare il  «Mito di Ferrara», il mirabile ciclo affrescato della Sala dell’Arengo nel Municipio di Ferrara, compreso nei suoi sorprendenti cartoni. Con questa mostra, Ferrara porgerà una nuova occasione come Città delle meraviglie e riallaccerà il legame con la critica d’arte del massimo livello, dell’ineguagliabile Roberto Longhi che, per primo, riaccese la luce sull’officina ferrarese, su Achille Funi, su De Pisis e su Giovanni Boldini, tutti figli di Ferrara e del suo Rinascimento perpetuo.

Della rassegna di Achille Funi mi ha particolarmente colpito il colore dei quadri del ritorno al classicismo. Il rosso, il verde e il blu, con la loro eterna simbologia, la maestria del disegno, fermo, da persona navigata, ma anche dolce e malinconico, con le sue svariate intensità «musicali» dell’anima, l’immagine degli eroi che assomigliano moltissimo alla Sala dei Giganti dell’Università di Padova, opera del Seicento, mi ha affascinato l’ancoraggio nel gotico fiammeggiante di Cosmè Tura così mistico e così possente, i paesaggi dolci, modernissimi con profumo emiliano di Giorgio Morandi, l’ora della fiesta, del «meriggiare pallido e assorto» della poesia di Montale «presso un rovente muro d’orto», questo vivere in presente, nella modernità, ma in compagnia dei grandi del passato di Leonardo in primis, punto di partenza e di ritorno, come per dire con le parole di  Francesco Petrarca:

Italia mia, benché ’l parlar sia indarno
a le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sí spesse veggio, (…)
Canzone, io t’ammonisco
che tua ragion cortesemente dica,
perché fra gente altera ir ti convene,
et le voglie son piene
già de l’usanza pessima et antica,
del ver sempre nemica.
Proverai tua ventura
fra’ magnanimi pochi a chi ’l ben piace.
Di’ lor: - Chi m’assicura?
I’ vo gridando: Pace, pace, pace.

Guardando La caduta di Fetonte del ciclo ferrarese della sala d’Arengo di Funi, mi ritorna in mente non solo il mito di Ovidio delle Metamorfosi, ma anche la voce dolce, armoniosa, colta di colui che fu il più grande divulgatore di Ovidio, di Virgilio e del loro celeberrimo alunno, Dante Alighieri, il compianto Vittorio Sermonti. Su Radio 1, verso le 17:30 di pomeriggio di qualche decennio fa, Vittorio Sermonti recitava e faceva la parafrasi dei miti delle Metamorfosi. In pieno traffico mi fermavo a un distributore e solo dopo che era diventato più scorrevole riprendevo la strada per ritornare a casa dal lavoro. Come Funi, anch’io rimanevo estasiata davanti ai «classici» che hanno la forza di farci sognare sempre, in qualsiasi tempo, e di farci da guida ed essere nostri amici per le vie della vita nostra.




Achille Funi, Autoritratto, 1908, acquerello e matita su carta; Collezione privata



Achille Funi, San Giorgio, ciclo murale dell’Arengo in Ferrara (1934-1938)


Achille Funi, Genealogia (La mia famiglia), MART (Museo dell’Arte di Rovereto, Trento)


Achille Funi, Autoritratto con la brocca blu, 1920; olio su tela; Genova, Palazzo Ducale


Achille Funi, Veduta romana, 1930 circa; Ferrara, Museo d’arte moderna


Achille Funi, “Il bel cadavere (Le villeggianti)”, 1912-1920, olio su tela, 112,5x100 cm, 
Museo del Novecento, Milano Collezione Boschi Di Stefano


Achille Funi, La terra, olio su tela; Collezione Gaspare Tosi


Achille Funi, La Gloria, Fondazione Cariplo




Liana Corina Tucu
(n. 1, gennaio 2024, anno XIV)