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Un faro di luce nell'abisso dell'Olocausto. In memoriam Elie Wiesel
Quello di Wiesel, insieme a quello di Primo Levi, è uno dei nomi che più naturalmente vengono in mente tra i testimoni della Shoah. Secondo il «New York Times», il suo vero merito fu l'aver riempito il vuoto della memoria facendo emergere l'enormità del genocidio: per quasi due decenni dalla fine della guerra, i sopravvissuti sotto trauma e gli ebrei americani pieni di sensi di colpa sembravano pietrificati nel loro silenzio. «Elie Wiesel ha insegnato a non restare in silenzio di fronte all'ingiustizia», ha detto il presidente del World Jewish Congress, Ronald Lauder, definendo lo scrittore «un faro di luce» nei confronti del quale il mondo ebraico «ha un enorme debito di gratitudine». Wiesel «non dormì mai di fronte alle ingiustizie e svegliò gli altri quando dormivano. Lui, che era sopravvissuto, sapeva di cosa parlava quando sollevò il dramma delle persecuzioni in Ruanda, o nella ex Jugoslavia o in altre parti del mondo», ha detto Lauder. Tra i primi a esprimere cordoglio è stato il premier israeliano Benyamin Netanyahu: «Ha dato espressione alla vittoria dello spirito umano sulla crudeltà e il diavolo». Wiesel aveva uno strettissimo rapporto con il presidente Usa Barack Obama, con cui aveva parlato a Buchenwald, il campo da cui era stato liberato a 18 anni. Frequenti negli scritti di Wiesel ritornano i sensi di colpa per essere sopravvissuto e i dubbi su un Dio che aveva permesso tutto quel massacro. I suoi libri scavavano sulle grandi questioni emerse dall'Olocausto: il senso della vita in un universo che ha permesso qualcosa di così crudele. E come si può continuare a credere? Su questa domanda rimane appesa per sempre la scrittura del grande ebreo di Romania.
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