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San Martino del Carso, un’occasione di riconciliazione e di fratellanza
Segnaliamo l’esposizione internazionale «San Martino e l’Albero Storto. C’era una volta. Storie da una trincea» del Museo della Grande Guerra di San Martino del Carso, aperta dal 9 maggio 2015 fino al 30 settembre 2016. L’Albero Storto qui esposto è un tronco di albero che fa parte della collezione del Museo del Banato di Timisoara, ritornato dopo un secolo sul territorio in cui era cresciuto. Questa particolare storia risalente alla Prima guerra mondiale ci viene evocata dal manager del Museo del Banato di Timisoara, il dottor Claudiu Ilaş, a partire dall’inaugurazione dell’evento.
Nella mattinata del 9 maggio 2015, la bella località montana del nord Italia San Martino del Carso ha assunto un aspetto di festa. Con l’occasione della Festa dell’Europa, su iniziativa del Gruppo Speleologico Carsico di questa località, le autorità locali hanno organizzato un ampio programma di manifestazioni dedicato al centenario dell’evento che ha visto uno dei più violenti conflitti militari tra l’armata italiana e quella austro-ungarica.
Come si è arrivati a questo tragico evento?
La vicenda storica
Nel pomeriggio del 23 maggio 1915, il duca di Avarna, rappresentante dell’Italia a Vienna, ha comunicato al barone Ştefan Burian, capo della diplomazia austro-ungarica, la dichiarazione di guerra dell’Italia. In questa si evidenziava che l’Italia, a partire dal secondo giorno, si sarebbe considerata in stato di guerra con l’impero Austro-Ungarico.
Per i Governi centrali, entrati in lotta fin dall’estate dell’anno 1914, si veniva a creare un nuovo teatro di operazioni militari che si estendevano per una distanza di 640 chilometri, dalla frontiera con la Svizzera fino al Mare Adriatico. In questa situazione, il Comando di Stato Maggiore austro-ungarico si è visto costretto a far giungere un numero maggiore di unità militari verso la frontiera con il nuovo rivale.
Tra queste si può indicare anche il VII Corpo d’Armata, con sede a Timisoara, tra le cui componenti si trovava anche la Divisione di Fanteria numero 17, che al suo interno aveva il Reggimento 61 di Fanteria Timisoara, il 39 Debrecen, il 43 Caransebes ed il 46 Szeged. Assieme ad altre sottounità che facevano parte delle unità maggiori, all’inizio dell’estate dell’anno 1915, i relativi soldati sono entrati nel dispositivo di difesa della frontiera con l’Italia nella zona dell’Altopiano di Doberdò, da dove si aspettava il principale attacco da parte delle unità militari italiane. Questa zona, che comprendeva un terreno carsico per una superficie di circa 60 chilometri quadrati, era delimitata a nord dal torrente Vipacco, ad ovest dal fiume Isonzo, a sud dal Mare Adriatico e ad est dalla depressione del Vallone. Le sottounità ebbero l’ordine di difendere ad ogni prezzo un settore importante di questo altopiano.
Seguirono due anni di conflitti violenti descritti in modo esteso nei trattati di storia. Sulla base di ricerche effettuate negli archivi militari, le battaglie attorno alla località di San Martino del Carso, completamente distrutta, hanno provocato la morte di mezzo milione di militari. Tra gli avvenimenti tragici che sono avvenuti nelle vicinanze della località, c’è stato anche l’attacco con il gas effettuato nella mattina del 29 giugno 1916 dall’armata austro-ungarica. La letteratura storica italiana ci descrive ampiamente lo svolgimento di questo terribile attacco con sostanze asfissianti a seguito del quale hanno perduto la vita alcune migliaia di giovani soldati, in maggioranza italiani, che facevano parte delle Brigate «Pisa» e «Regina», Reggimento di Fanteria n. 10.
Tra i testimoni oculari c’è stato anche un giovane di nazionalità romena, Coriolan Băran, originario della località di Nerău. Cadetto nel Reggimento 46 Szeged, egli ci racconta: «Il gas è iniziato con la formazione di una nuvola gialla, lungo il terreno, verso le posizioni italiane. Dal momento che le posizioni erano lungo il pendio e gli italiani si trovavano in una zona più bassa di noi, il gas pesante si è depositato verso quei luoghi, ma molto più lentamente di quanto si potesse pensare. Dopo mezz’ora è arrivato l’ordine di avanzare, logicamente con le maschere antigas. Da quel momento è iniziato il disastro. Una parte delle maschere antigas erano difettose. Alcuni soldati negligenti non le hanno protette dalla pioggia, dall’umidità, così che erano arrugginite. Altre avevano diversi difetti. Dopo che le maschere sono state utilizzate, si è constatato che molti soldati non potevano respirare, perché erano appunto difettose ed i soldati, non ricevendo l’aria, le toglievano dal viso. In quel momento inalavano il gas e svenivano. Questo fenomeno ha provocato panico e disordine anche agli austriaci che avevano lanciato l’offensiva col gas. Per questo motivo l’avanzata si è bloccata. Si è così arrivati nelle posizioni italiane senza trovare resistenza. Tutti erano morti. Avevano anche loro maschere da gas, ma non adatte. L’attacco si è dimostrato un grosso fiasco. Per molti giorni sono stati raccolti i cadaveri per essere sepolti».
Dopo questo triste avvenimento, la Quota 197 da dove era partito l’attacco ha avuto da parte dei soldati italiani il sopranome di «quota degli asfissiati».
L’anno successivo, gli italiani hanno lanciato nuove offensive (9-15 marzo, 6-17 agosto, 14-17 settembre, 10-12 ottobre, 31 ottobre-4 novembre). In occasione della sesta battaglia sull’Isonzo dei giorni dal 6-17 agosto, gli italiani sono riusciti ad occupare Gorizia. In questa situazione, essendoci pericolo che le unità del corpo di armata di Timisoara fossero attaccate anche da dietro, il Commando di Stato Maggiore Generale dispose, l’8 agosto, il loro ritiro per un nuovo allineamento.
L’esposizione «San Martino e l’Albero Storto
Il momento più emozionante delle manifestazioni del 9 maggio 2015 è stato rappresentato dalla visita dell’esposizione «San Martino e l’Albero Storto. C’era una volta. Storie da una trincea» del Museo della Grande Guerra del centro della località. Alla realizzazione di questa esposizione hanno contribuito anche i membri del Gruppo Speleologico Carsico, dell’Associazione culturale «Meritum» di Szeged, del Museo Móra Ferenc di Szeged e del Museo del Banato di Timisoara. Tra le decine di oggetti esposti, ha avuto un particolare interesse il tronco di albero che fa parte della collezione del Museo del Banato di Timisoara, ritornato dopo un secolo sul territorio in cui era cresciuto.
Soprannominato dai militari italiani «l’albero storto» a causa della forma distorta del tronco, questo si trovava dietro la trincea del settore 18, difesa dal reggimento 61 Timisoara. Secondo le carte militari italiane, si trovava nel sud-ovest della località San Martino del Carso, vicino alla collina 164. Vicino a questa era stata scavata una trincea austro-ungarica, chiamata dagli italiani «trincea dell’albero storto». L’artiglieria lo ha utilizzato come punto di riferimento durante i ripetuti attacchi nella zona.
Dopo che la linea del fronte si è modificata, alcuni componenti del Commando Generale dell’unità militare hanno considerato che questo testimone silenzioso dei violenti combattimenti della zona poteva essere conservato come ricordo alle generazioni future dei tragici avvenimenti che erano avvenuti in quegli anni in quei luoghi. Il testo in lingua tedesca di una placchetta di ottone, fissata sulla sua corteccia, dice che: Questo albero è stato tolto dal terreno imbibito di sangue dei nostri bravi soldati. Nel ricordo dei giorni roventi e duri del reggimento che, assieme al reggimento di fanteria della Divisione n. 17, con coraggio e sacrificio hanno difeso per anni la località.
Tutti quelli che hanno preso la parola all’inaugurazione dell’esposizione hanno considerato benvenuto questo incontro degli eredi di quelli che si sono affrontati un secolo prima in questi posti. Nei loro discorsi, i rappresentanti delle autorità locali e centrali italiane, dell’Ambasciata di Ungheria di Roma, del Consolato della Romania di Trieste, dell’Associazione «Meritum», del Museo Móra Ferenc di Szeged e del Museo del Banato di Timisoara hanno parlato di riconciliazione, di convivenza pacifica, di fraternità e pace. Tutti hanno sottolineato il fatto che questa piccola località italiana, distrutta quasi totalmente cento anni prima, è diventata non solo un luogo di ricordo degli orrori della Prima guerra mondiale, ma anche un simbolo della nuova Europa unita.
In qualità di manager del Museo del Banato, a nome della delegazione di Timisoara, ho espresso la speranza che tutti coloro che vogliono visitare l’esposizione e i luoghi dove si svolsero i combattimenti possano capire meglio cosa ha significato la guerra e vogliano apprezzare di più la pace e l’amicizia tra i popoli.
Nella seconda parte del giorno, il sig. Gianfranco Simonit, capo della Sezione Ricerche Storiche del Gruppo Speleologico Carsico, ci ha condotti nella zona carsica delle vicinanze della località San Martino del Carso, che conserva molto segni ancora intatti del tragico conflitto armato, nonostante il fatto che la vegetazione si è estesa tra le pietre e il terreno rosso di questa regione. L’esposizione del Museo Militare situato ai piedi del Monte San Michele, ma anche i monumenti costruiti in memoria dei militari italiani, come di quelli dell’armata austro-ungarica, stanno a testimonianza dei giorni drammatici che hanno vissuto i giovani soldati, molti arrivati qui dalle zone lontane per combattere, soffrire e morire.
* Coriolan Băran, Reprivire asupra vieţii - Memorii, Vasile Goldiş University Press, Arad, 2009, p. 120.
Claudiu Ilaş
Traduzione di Afrodita Carmen Cionchin
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Inaugurazione dell’esposizione |
Inaugurazione dell’esposizione |
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«L’Albero Storto» (collezione del Museo del Banato di Timişoara) |
Immagine dell’esposizione |
(n. 7-8, giuglio-agosto 2015, anno V)
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