Il fenomeno ART SAFARI alla settima edizione Nato come un festival non convenzionale dell’arte, Art Safari offriva nel 2014 per quattro giorni consecutivi ai bucarestini, in padiglioni sistemati ad hoc in una piazza al centro della città, più di mille capolavori di artisti affermati e non, contemporanei e non, al fine di aprire l’arte al grande pubblico non solo in quanto mostra ma anche, e soprattutto, in quanto luogo di dibattito sull’arte, sul mercato e sulla circolazione delle opere d’arte, in quanto luogo di incontro fra artisti, critici di vari paesi e visitatori, di presentazioni di libri e di album, di interferenze fra arti visive e musica. Nelle successive edizioni il fenomeno ha perso qualcosa della spontaneità e della freschezza iniziali, acquistando caratteristiche di una certa stabilità e una lieve tendenza a istituzionalizzarsi. Ma ritorniamo alla mostra principale. Essa è articolata in quattro grandi sezioni, cui si aggiungono inaspettatamente camere-sorpresa, con installazioni o giochi di luce di grande effetto, laboratori per ragazzi ma anche piccoli e attraenti spazi commerciali dove si possono trovare raffinate proposte di design artigianale, forniture per pittura e disegno, libri d’arte ecc. Le quattro grandi sezioni sono: un’ampia retrospettiva dedicata a uno dei grandi pittori romeni del Novecento, Georghe Petrașcu. Credevo di conoscere bene i quadri di Petrașcu, i colori pastosi e la scarsa luminosità che non mi avevano mai conquistata. Ma ora a vederne tanti insieme, nella loro immediatezza materica, nella loro forza di realtà presente che può esulare dall’interpretazione, mi hanno entusiasmata. E ho capito meglio quale possa essere il valore e il ruolo di una retrospettiva e trovo azzeccato il titolo di questa, Gheorghe Petrașcu. Il fascino della realtà. Per i nostri lettori italiani, non posso tralasciare l’amore e l’insistenza con cui Petrașcu ha dipinto Venezia e la presenza di Venezia in questa sezione dell’Art Safari. Una seconda sezione comprende – cosa inconsueta – un’altra mostra d’autore mascherata da mostra tematica, quella dedicata a Sabin Bălașa e intitolata Azzurro. Bălașa (1932-2008), pittore ma anche creatore cinematografico e scrittore, personalità artistica di spicco, riconosciuta e apprezzata a livello mondiale, ossessionata dall’ideale di attuare un nuovo Rinascimento dell’arte, ha fuso in una visione propria, di azzurra serenità e gessosa immobilità, suggestioni che provengono dal simbolismo, dal surrealismo e dalla pittura metafisica di De Chirico. Le sue pitture monumentali (per varie istituzioni di cultura romene, università, il Palazzo del Parlamento ecc.) sono rappresentate nella mostra da alcune gigantografie, dove, più che nel resto dei quadri, predomina quell’azzurro chiaro, luminoso e uniforme, e le sue donne serene e astratte, su quelle creature equine come di gesso, slanciate in un movimento bloccato. L’universo di Bălașa è uno completamente suo, parallelo a quello reale, il che forse fa perdonare la facilità con cui l’artista si è adattato a qualsiasi tematica, persino a quelle richieste politicamente. La terza sezione – La Scuola di Bucarest – presenta, secondo me, in modo poco convincente e poco articolato, un misero numero di opere di giovani artisti in via di formazione, scelte fra i migliori lavori d’esame. La quarta sezione, presentata con fasto e con troppa insistenza, è The Art of Behaving Badly, firmata dal gruppo Guerrilla Girls. Essa consiste in pochi manifesti di grandi dimensioni, opere di quel movimento del tardo femminismo ma di grande virulenza, nato a New York nel 1985, e attivo ancora oggi negli USA. La produzione artistica del gruppo consiste, oltre ai manifesti, in billboards, stickers, flashmob e varie performance, e milita con coraggio e aggressività contro le ineguaglianze di ogni tipo, ma soprattutto contro quelle di genere. I pochi manifesti presenti alla mostra, di dubbia qualità artistica, esprimono soprattutto la protesta contro la scarsa presenza delle donne nei musei, nelle mostre contemporanee, nella gestione degli affari con l’arte, nella pubblicità artistica. Senza voler sminuire il ruolo fondamentale del movimento femminista nella trasformazione democratica del mondo contemporaneo, non posso non osservare che l’attuale edizione Art Safari dichiara, ingiustamente, che la presenza di questa sezione è uno dei principali pregi dell’evento e ne parla come di «una mostra-fenomeno del celebre gruppo Guerrilla Girls, che dopo la loro presenza al MoMA, al Tate Modern, al Centre Pompidou, alla Biennale di Venezia, al Van Gogh Museum, all’Art Basel e una carriera di quattro decenni, viene in Romania all’Art Safari». Ho citato dal sito dell’Art Safari perché queste stesse parole dimostrano, da una parte, come la lotta delle Girls per l’affermazione dell’arte femminile e femminista è stata subito adoperata e, dunque, annullata dal mercato internazionale dell’arte, e che i quattro decenni menzionati propongono alla Romania un’arte che è tutt’altro che di avanguardia, anzi, è ormai storia. Senza aggiungere poi che i manifesti presentati nella mostra sono contraddetti dalla stessa realizzazione dell’evento artistico romeno, dovuto in gran parte all’iniziativa delle donne, curato in maggioranza da donne e diretto da una donna, la direttrice che ha scritto le parole citate. È triste constatare che un evento artistico di grande portata e di generosa visione non possa liberarsi di quel pizzico di servilismo da terzo mondo, familiare ai romeni di trenta anni fa.
Il sito di Art Safari: www.artsafari.ro |