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Virginia Zeani, «l'Assoluta»: dalla Romania al cielo immortale della musica di ogni tempo
I fans la chiamavano L’Assoluta, in un’epoca in cui Maria Callas era La Divina e Renata Tebaldi L’Angelo. «Ho imparato moltissimo da te», le scriveva nel 1996 il dio degli acuti, Luciano Pavarotti, dopo averle dedicato, in un concerto a Indianapolis, l’aria Donna non vidi mai della Manon Lescaut. Lei, Virginia Zeani, povera migrante arrivata in Italia dalla Romania comunista degli anni Quaranta, giunge ai vertici della lirica di ogni tempo senza poter contare su altro fuorché la propria voce.
Una storia bellissima, autenticamente sorprendente, esplorata in presa diretta nel libro-intervista a cura di Sever Voinescu ora anche in italiano con il titolo «Canta che ti passa». Virginia Zeani. Talento e bellezza (Zecchini editore, 2015, traduzione di Afrodita Carmen Cionchin).
Nata nel 1925 a Solovastru, anonimo villaggio nel nord della Transilvania, Virginia Zeani si stabilisce nel 1943 in Italia e nel 1980 negli Stati Uniti. Studia con professori leggendari – Lydia Lipkowska a Bucarest e Aureliano Pertile a Milano – poi sposa il grande basso Nicola Rossi-Lemeni. Debutta nel ruolo di Violetta Valéry della Traviata di Verdi a Bologna, nel 1948, e si ritira dalle scene nel 1982, per insegnare poi canto fino al 2004 alla scuola di musica dell’Università Indiana, negli Stati Uniti.
In una carriera che ha coperto quasi tre generazioni, Virginia Zeani ha interpretato circa settanta ruoli, cantando con tutti i grandi cantanti del mondo – Beniamino Gigli, Franco Corelli, Giuseppe Di Stefano, Mario Del Monaco, Carlo Bergonzi, Plácido Domingo, Luciano Pavarotti, Nicolae Herlea –, sotto le più prestigiose direzioni – Tullio Serafin, Herbert von Karajan, Zubin Mehta, Carlo Maria Giulini – e sui più grandi palcoscenici del mondo: Roma, Milano, Vienna, New York, Parigi, Londra. Una parabola di vita fuori dal comune, ricca di amicizie straordinarie, come quella con Federico Fellini e Giulietta Masina, Tyrone Power e Roberto Rossellini, Nino Rota e Luciano Pavarotti.
Pubblichiamo l'Introduzione di Sever Voinescu al volume sopracitato, utile a tracciare un ampio quadro della vita e della carriera di Virginia Zeani, edito proprio nell'anno in cui l'artista festeggia il suo novantesimo compleanno.
«Canta che ti passa». Virginia Zeani, talento e bellezza
Introduzione di Sever Voinescu
«La lucidità rappresenta, in alcuni, un dato primordiale, un privilegio, addirittura un dono. Non hanno bisogno di apprenderla, di aspirare ad essa; le sono predestinati… In altri, la lucidità arriva come un dono tardivo, come frutto di un incidente, di una rottura interiore avvenuta ad un certo punto». Scrive così Emil Cioran all’inizio di un suo Esercizio di ammirazione, con parole che ben si prestano ad essere ora richiamate, perché questo libro di dialoghi è un esercizio di lucidità da parte della signora Virginia Zeani, e un esercizio di ammirazione da parte mia. Così ho sentito dal giorno in cui ho acceso il registratore per la prima volta, così ho sentito alla lettura finale di questo libro. Secondo la tipologia suggerita da Cioran, mi è difficile dire a quale tipo di lucidità appartenga la signora Zeani. Testimone della storia di un secolo, ma anche artefice di molti momenti storici, Virginia Zeani sembra avere insieme la vocazione della lucidità e una biografia che la porta inesorabilmente verso la lucidità. Vorrei continuare, se mi è concesso, il commento alla citazione di Cioran con l’osservazione che, incontrando la signora Zeani, sono arrivato alla conclusione che esiste anche un altro tipo di lucidità: una lucidità così intensa, così eclatante, che la sua fonte non conta più. Nella sua favolosa vita, ricca di alti e bassi – una vita in cui ha affinato la sua arte per il diletto di tanti spettatori, una vita in cui è diventata una vera diva, realizzandosi dal punto di vista artistico e personale – Virginia Zeani ha, comunque, dei rimpianti. Si chiede anche adesso: non sarebbe stato meglio se, ad un certo punto, avessi fatto un’altra scelta? Poi, allontana questa domanda dicendo che è inutile e che in ogni caso è andata bene così. Ma non molto dopo ritorna il pensiero che avrebbe potuto fare in altro modo ciò che comunque ha fatto molto bene. Guarda con infinita curiosità le persone che ha conosciuto, i tempi che ha vissuto, i ruoli in cui ha cantato oppure gli allievi che ha formato, vuole sapere di più, capire meglio, perché vivere un momento non è sufficiente se non capisci il senso della successione eterna dei momenti.
Il modo in cui la signora Zeani interroga il proprio destino, dopo averlo compiuto in maniera così egregia, mi colpisce. Con il privilegio di chi poggia sui propri ottant’anni, con l’autorità di chi ha vissuto pienamente, di chi ha lavorato per un’intera vita mettendo in opera un talento colossale di cui è stata subito consapevole, Virginia Zeani ci dà una lezione su come vivere la propria biografia.
La signora Zeani testimonia in questo libro tutto ciò che può testimoniare una persona che ha ricevuto da Dio talento e bellezza. Ad un primo livello di lettura vi è il suo destino: l’origine e la realizzazione professionale del soprano e della professoressa Zeani. Ad un altro livello, si possono ritrovare l’inquietudine, gli interrogativi di una persona che ha vissuto con intensità la propria epoca. L’esperienza della signora Zeani in quanto donna del ventesimo secolo è tanto sconvolgente quanto la sua carriera espressa in cifre e statistiche. È stata certamente una delle grandi voci del Novecento, ma anche una delle sue testimoni privilegiate. Oggi, all’inizio del nuovo secolo, poche persone possono parlare di quei tempi con maggior lucidità di Virginia Zeani. Sono felice che lo faccia in questo libro, in dialogo con me.
Il secolo. Mi sono informato: non esiste un giudizio universale dei secoli. Saranno giudicati certamente gli uomini, forse anche i popoli. Non di più. I secoli li giudichiamo noi, qui, dopo averli vissuti o mentre li stiamo vivendo. Non so che ne sarà del Novecento nella memoria della gente. Da quello che ho potuto capire, la sua reputazione è piuttosto negativa. Guerre mondiali, genocidi di ogni sorta, Auschwitz e Gulag, armi sempre più devastanti, corsa al danaro, terrorismo e razzismo, malattie orrende, ideologie monopolizzanti che hanno indebolito l’anima e obnubilato la mente, televisione e volgarità… Sono molte le ragioni che non mettono il Novecento in buona luce. Ci sono però anche aspetti positivi, momenti luminosi che lo caratterizzano: lo sviluppo di sofisticate tecnologie e l’indubbio progresso delle scienze, i tanti agi e la crescita della durata della vita per un numero sempre maggiore di persone. Non ci sono mai stati così tanti ricchi e mai la qualità generale della vita è stata così elevata. Il numero di coloro che «vivono bene» non è mai stato così alto. In generale, però, tutti questi guadagni non riescono a sottrarsi alla luce sinistra del contesto complessivo, dove le grandi disgrazie che hanno afflitto il Novecento finiscono per alterare tutto. E forse è così. Tuttavia la domanda essenziale è se gli uomini della fine del Novecento siano stati più felici di quelli della fine dell’Ottocento. Uno spirito prudente eviterebbe di dare una risposta. Forse questa domanda non ha nemmeno una risposta. La nostra specie ha accumulato un altro secolo di storia e ciò non porta automaticamente alla felicità, anche se gli strumenti della felicità sono stati più numerosi che nei secoli precedenti.
In ogni caso, al giudizio universale – quando e come si farà – il Novecento saprà come difendersi. Prima di tutto, con i suoi cantanti. È stato infatti un secolo in cui si è cantato meravigliosamente. È iniziato con Caruso e si è concluso con Pavarotti. È il secolo in cui si è potuto sentire la voce di Amelita Galli-Curci, di Maria Callas, Renata Tebaldi, Montserrat Caballé, accanto a quella di Beniamino Gigli, Franco Corelli, Plácido Domingo e tanti altri. In questo favoloso universo sonoro, la voce di Virginia Zeani è stata del tutto speciale, così come speciali sono state la sua bellezza e la sua intera vita. Il Novecento può invocare a suo favore questa pleiade di voci meravigliose, fra le quali Virginia Zeani ha un posto privilegiato. Anche se i mali del secolo sono enormi, le melodie che questi cantanti hanno diffuso nell’universo sonoro del Novecento possono almeno placare il giudizio, sia pur aspro, di quel periodo.
L’incontro e il libro. Ho incontrato la signora Virginia Zeani in America, quando la primavera del 2000 volgeva verso un’estate torrida. Leggendaria nel mondo dei teatri dell’opera, Virginia Zeani era diventata, da vent’anni, anche uno dei grandi professori di canto d’America, presso la scuola di musica dell’Università Indiana di Bloomington. La mia passione per l’opera aveva suscitato il suo interesse e, con il tempo, è nata tra noi una calda e solare amicizia. Nel periodo 2000-2003 ci siamo incontrati spesso e abbiamo parlato per ore, in diverse occasioni. Con il tempo, le nostre conversazioni sono andate oltre gli argomenti circoscritti al mondo dell’opera e così ho potuto conoscere una personalità fantastica, una persona con una biografia strepitosa e, soprattutto, uno straordinario testimone. L’idea di scrivere un libro sulla signora Zeani è venuta, direi, naturalmente, visto che, man mano che l’amicizia con la quale mi aveva onorato si arricchiva e il mio fascino per lei andava crescendo, sentivo a mia volta la necessità di raccontare al mondo ciò che lei mi riferiva con tanta maestria e grande talento ritrattistico. La grazia con la quale Virginia Zeani racconta è unica e il suo giudizio sulla propria vita è impressionante. Sin dall’inizio sono stato sedotto dalla forza espressiva con la quale la signora Zeani può ‘disegnare’ in alcune parole il ritratto di una persona. L’ho spesso esortata a raccontare delle grandi personalità accanto alle quali ha vissuto e che ha conosciuto molto bene, da Maria Callas a Federico Fellini, da Tyrone Power a Luciano Pavarotti. In questo libro, Virginia Zeani parla di queste persone, e la sua prospettiva su di loro verrà ad arricchire, ne sono certo, l’immagine che il ventunesimo secolo si è fatta dei grandi artisti del Novecento.
Nell’inverno del 2002, abbiamo volato insieme verso una cittadina sconosciuta della Iowa, dove un gruppo di studenti del Conservatorio di Bucarest presentava la Traviata. È stato un viaggio straordinario. Lì, per tre giorni, ho assistito non solo al grande successo dei nostri giovani cantanti, ma anche ad alcune lezioni di master class della signora Zeani. Solo in quel momento ho potuto vedere con i miei occhi la professoressa Zeani al lavoro. Era magnifica! Gli studenti erano semplicemente affascinati dalla sua personalità. Giovani cantanti romeni, che conoscevano il suo nome da racconti leggendari e che, probabilmente, non l’avevano mai ascoltata, stavano in quel momento di fronte a lei e accoglievano le sue parole con quella luce che solo il volto dell’allievo può avere nell’incontro con il grande professore. La signora Zeani ha parlato con strepitosa eloquenza, ha cantato un po’, ha impartito consigli, ha raccontato, ha proposto correzioni, ha scherzato – tutto in episodi di tre o quattro ore, dove profondeva un’energia vitale che si sentiva vibrare ovunque. Al ritorno, in aereo, le ho suggerito l’idea di un libro. Man mano che l’andavo meglio conoscendo, mi convincevo sempre di più che scrivere sulla signora Zeani, per quanto si potesse essere documentati e dotati, sarebbe stato molto meno efficace di un libro-dialogo con lei. La signora Zeani parla in maniera straordinaria e la sua riflessione sulla propria vita e sul mondo che ha attraversato è troppo intensa e troppo personale per poterla esprimere, in modo soddisfacente, nella forma mediata di un libro. Mi sono subito accorto che era molto più appropriato parlare con Virginia Zeani che scrivere un libro su di lei. Ha accettato, ma circostanze impreviste ci hanno fatto rimandare di alcuni anni questo progetto. All’inizio del 2003, la signora Zeani ha lasciato l’Indiana – dove mi era possibile andare a trovarla – e si è stabilita in Florida. Io poi, alla fine del 2003, sono tornato a Bucarest. Sono rimasto in collegamento con lei, sia direttamente sia tramite amici comuni, evocando, ogni volta che capitava, il desiderio comune di portare a buon fine il progetto di un libro -dialogo. Nell’estate del 2006 abbiamo potuto finalmente registrare circa quindici ore di conversazione, che hanno prodotto il materiale di questo libro, mentre nell’estate del 2007 abbiamo avuto modo di stabilire insieme il testo definitivo.
La diva. Virginia Zeani è nata il 21 ottobre 1925 in un villaggio vicino a Reghin. Nel 1943 si stabilisce in Italia e nel 1980 negli Stati Uniti. Nel corso del nostro dialogo, la signora evocherà ampiamente questi suoi trasferimenti, vere e proprie articolazioni del suo destino. Ha studiato con professori leggendari, Lydia Lipkowska a Bucarest e Aureliano Pertile a Milano. A imporla definitivamente nella galleria esclusiva delle grandi dive sono state la sua meravigliosa voce (un’emissione divina di suoni puri, impregnati della più autentica emozione e calibrati con una perfetta tecnica della respirazione – «ho imparato moltissimo da te», le scriveva il dio degli acuti, Luciano Pavarotti, nel 1996, dopo averle dedicato, in un concerto a Indianapolis, l’aria Donna non vidi mai dell’opera Manon Lescaut di Puccini), nonché una bellezza sulla linea di Elizabeth Taylor («personificava la bellezza del soprano d’opera», diceva di lei il suo ex vicino e amico per sempre, Federico Fellini, confessando in una lettera che la guardava al mattino, di nascosto, dalla finestra della sua villa che si affacciava verso quella di lei, mentre faceva vocalizzi). Ha debuttato cantando il ruolo della Violetta Valéry della Traviata di Verdi, a Bologna, il 16 maggio 1948. Si è ritirata nel 1982, cantando Marie ne I dialoghi delle carmelitane di Poulenc, a San Francisco. In una carriera artistica di oltre trent’anni, ha interpretato circa settanta ruoli sui più grandi palcoscenici del mondo. Dal 1981 al 2004 è stata professoressa di canto alla scuola di musica dell’Università Indiana, scuola riconosciuta per il più elevato numero di studenti di musica degli Stati Uniti. I fans l’hanno chiamata L’Assoluta, in un periodo in cui la Callas era La Divina e la Tebaldi L’Angelo. Tra gli anni ’50 e ’70, periodo di punta della carriera artistica di Virginia Zeani, l’opera conosceva il massimo di competizione: la concorrenza era acerba, più di adesso – non solo perché il numero dei cantanti di reale valore era molto elevato, ma anche perché il numero dei teatri dell’opera era molto più ridotto rispetto ad oggi. Povera migrante, arrivata da un Paese devastato dalla «peste rossa», senza conoscere nessuno e senza avere con sé altro valore fuorché la propria voce, Virginia Zeani è riuscita a salire sull’Olimpo. Questo libro parla di questo percorso, di come è possibile diventare una diva senza perseguire necessariamente tale obiettivo e, soprattutto, di come si rimane diva adempiendo a tutti gli obblighi di tale statuto e tralasciandone quasi tutti i benefici.
Oggi, viene chiamata diva qualsiasi ragazzina che canticchi due note dandosi delle arie. All’epoca della signora Zeani, dive erano solo alcune grandi cantanti di cui, già durante la loro carriera, si sapeva che avrebbero fatto storia. Virginia Zeani non ha mai accettato pubblicamente lo statuto di diva. Ha sempre pensato a se stessa come a una grande artista che lavora molto. Occorre segnalare che, nell’arco dell’intera sua carriera, la signora Zeani, la diva Zeani, ha annullato solo due impegni: due, tra migliaia di rappresentazioni! Se prendiamo l’agenda di qualsiasi grande cantante dei nostri giorni, vedremo che il numero degli spettacoli fissati e non realizzati, per una ragione o per un’altra, è molto alto. La signora Zeani, una delle più disciplinate dive che mai abbia conosciuto il mondo dell’opera, è stata guidata nella sua carriera da un inesauribile senso di responsabilità.
Dedita alla sua grandissima vocazione, Virginia Zeani ha cantato in modo eccellente qualsiasi cosa – Haendel, Monteverdi, Rossini, Puccini, Wagner, Poulenc, Menotti. Ma la nostra artista è soprattutto una verdiana, e la storia dell’opera, anche la più succinta, non può tralasciare la sua Traviata, momento astrale in cui si sente che la partitura si è incontrata con l’interprete per la quale fu scritta. Per questo, nel nostro dialogo, le conversazioni sulla Traviata e sul personaggio Violetta Valéry sono ricorrenti. Pochi sanno che la signora Zeani soffre, sin da giovane, di una bronchite cronica. La sua carriera, lunga e ricca, è dunque anche un fenomeno biologico che può essere spiegato solo con le migliaia di ore di studio e autoconoscenza, unitamente a quella colossale forza interiore che soltanto la consapevolezza della grazia può dare.
In una carriera che ha coperto quasi tre generazioni, Virginia Zeani ha cantato con tutti i grandi cantanti del mondo – Beniamino Gigli, Franco Corelli, Giuseppe Di Stefano, Mario Del Monaco, Carlo Bergonzi, Plácido Domingo, Luciano Pavarotti, Tito Gobbi, Nicolae Herlea –, sotto le più prestigiose direzioni – Tullio Serafin, Herbert von Karajan, Zubin Mehta, Carlo Maria Giuliani –, e sui più grandi palcoscenici del mondo: Roma, Milano, Vienna, New York, Parigi, Londra. Come professoressa, ha lanciato almeno metà delle grandi voci dell’America degli anni ‘90, da Sylvia McNair a Elizabeth Futral e Angela M. Brown, la fenomenale Aida con la quale la Metropolitan Opera ha aperto la stagione del 2007. Ha ricevuto le più alte onorificenze da parte dello Stato romeno e di quello italiano. Oggi vive agiatamente in un esclusivo quartiere di West Palm Beach, in Florida, dove ogni mattina prende il suo caffè, con molto latte e senza zucchero, accanto alla piscina, mirando all’orizzonte l’Atlantico.
Tuttavia la signora Zeani interroga il suo destino, interroga se stessa ed ha dei rimpianti, pensa ai successi e anche alle delusioni, al trionfo e alle difficoltà, a ciò che ha fatto e a ciò che avrebbe potuto ancora fare. Il miracolo del vivere la sconvolge e si sente parte integrante di questo mondo. Dal suo punto di vista, nonostante tutti i successi, avrebbe comunque potuto fare di più e meglio, e la domanda su come questo «meglio» è stato perso deve incalzare tutti, ancor più chi è destinato a grandi realizzazioni.
Nicola. Questo libro parla anche della vita personale di Virginia Zeani. Incontri con persone famose o persone comuni che l’hanno egualmente segnata. Mi è difficile dire che i personaggi che ha interpretato con tanta dedizione e con i quali si è identificata nelle lunghe ore di studio non abbiano lasciato un’impronta sulla sua personalità. Ancor più certo però è che le persone reali, vive, insieme alle quali la signora Zeani ha vissuto, hanno avuto un impatto determinante su di lei. Si potrebbe pensare che una fiducia totale nel proprio talento e nella propria vocazione precocemente scoperta avrebbe potuto in qualche modo isolare la persona, immunizzarla dagli influssi, proteggere il suo destino. Ma non è stato così. Il destino di Virginia Zeani è stato determinato da alcune persone a lei vicine, così come dalla stella che ha guidato la sua vita. Fra tutti – la maggior parte è ovviamente evocata in questo libro – si può evidenziare una triade che le è stata particolarmente vicina. Anzitutto i genitori, e in particolar modo il padre. Poi, il marito, Nicola Rossi-Lemeni. Infine, il figlio, Alessandro.
Nicola Rossi-Lemeni nacque il 6 novembre 1920 a Istanbul, da padre italiano – militare e diplomatico – e madre russa di ascendenza nobile, con evidenti talenti e interessi artistici. Trascorse l’infanzia viaggiando insieme ai genitori, in funzione delle missioni che il padre doveva compiere. Da ragazzino, fu attratto dal palcoscenico e dallo sport, poi, ancora giovanissimo, studiò canto, emulo di Feodor Scialiapin (con la cui famiglia ha avuto un lungo rapporto di amicizia), e divenne rapidamente uno dei più grandi bassi del mondo. Ebbe un’ascensione artistica fulminea: debuttò nel 1946, e nel 1952, quando conobbe Virginia Zeani, era già un cantante di successo, un grande nome della Scala. Ha avuto un ruolo importante nel rilancio della carriera di Maria Callas, di cui era grande amico – peraltro, in quasi tutte le registrazioni leggendarie di Maria Callas degli anni ‘50, il ruolo di basso è cantato da Nicola Rossi-Lemeni. Il suo incontro con la giovane Virginia Zeani fu straordinario. Nel gennaio 1952, Virginia Zeani venne chiamata a sostituire Maria Callas in Puritani di Bellini, a Firenze. La Callas doveva cantare solo la prima e la Zeani doveva fare il resto delle rappresentazioni. È il momento in cui la carriera di Virginia Zeani passa ad un livello superiore, e in questo libro ovviamente ne parleremo. È, senza dubbio, un momento astrale nel destino eccezionale di Virginia Zeani. Senza aver prima conosciuto tutti i cantanti con i quali avrebbe dovuto cantare, chiamata all’ultimo momento, Virginia Zeani sale sul palcoscenico dove, sin dal primo atto, si trova accanto a Nicola Rossi-Lemeni, che cantava il ruolo di suo zio. Certo, Virginia Zeani sa chi è Nicola Rossi-Lemeni, ma lui non sa chi è Virginia Zeani. Cantano insieme il duetto del primo atto e in questa occasione i due si toccano per la prima volta. Virginia finisce il duetto con uno splendido sì, e il pubblico applaudisce generosamente. Gli applausi danno a lui la possibilità di chiedere, sussurrando: «Chi sei? Da dove sei comparsa?». Sempre sussurrando, lei gli risponde: «Sono Virginia Zeani» e si allontana da lui, ma riesce a sentire Nicola dire quasi per se stesso: «Oh, Zeani! Splendida! Splendida voce!». Dopo quattro anni, durante i quali hanno avuto pochi contatti, si ritrovano in una produzione leggendaria alla Scala con Giulio Cesare in Egitto di Haendel. La Zeani cantava il ruolo di Cleopatra in uno spettacolo con protagonisti di alto livello: Franco Corelli, Giulietta Simionato, Nicola Rossi-Lemeni, sotto la direzione di Gianandrea Gavazzeni. Si sposeranno.
Nicola Rossi-Lemeni è stato non solo un grande basso, ma anche un poeta riconosciuto (ha pubblicato quattro volumi di versi, uno dei quali pluripremiato) e un pittore di talento. Appassionato di storia e numismatica, collezionista esperto di antichità, Nicola Rossi-Lemeni era una personalità rinascimentale. Sin dall’inizio della sua carriera, è stato sempre molto interessato all’arte dell’attore, ai mezzi drammatici con i quali vengono costruiti i personaggi. Nel 1958 canta, alla Scala, il ruolo di Thomas Becket nella prima mondiale dell’opera L’assassinio nella cattedrale che Ildebrando Pizzetti scrisse appositamente per lui, sulla base del celebre testo drammatico di T.S. Eliot. Lo stesso Eliot ascolta la prima in emissione radiofonica da Londra e, anche se non ha mai visto Nicola, scrive entusiasta: «Devo dire che in nessuna produzione di quest’opera finora vista, mai il ruolo dell’arcivescovo è stato interpretato in modo così vicino al mio intento. Di più, non ho mai sperato di sentire un’interpretazione così riuscita di questo ruolo come la sua alla prima». Le foto di quello spettacolo mostrano Nicola Rossi-Lemeni che porta il peso drammatico di un Marlon Brando sul palcoscenico della Scala! Eppure, come il ruolo di Violetta Valéry sarà emblematico per Virginia Zeani, così il ruolo che assegnerà Nicola Rossi-Lemeni alla leggenda è quello di Boris Godunov, cantato centinaia di volte, ovunque nel mondo, ogni volta con grande successo.
Pieno di charme ma anche di tormenti, sintesi profonda di Russia e Italia, Nicola Rossi-Lemeni è stato un uomo bello, adulato, una personalità complessa, carismatica e inquieta. «Un artista assoluto», ha detto di lui Arturo Toscanini (e chi sa quanto Toscanini fosse avaro di apprezzamenti, può capire la vera dimensione di questo elogio). È scomparso nel 1991, a Bloomington, Indiana, dopo crudele malattia.
Il titolo. Durante le nostre conversazioni, la signora Zeani ha citato spesso il proverbio italiano Canta che ti passa, diventato celebre subito dopo la prima guerra mondiale. Pare che un anonimo soldato abbia inciso queste parole sulla traversa di una trincea, esortando i compagni a dimenticare gli orrori quotidiani cantando. Il detto è diventato famoso quando un poeta italiano piuttosto noto, Piero Jahier (1884-1966), l’ha utilizzato come epigrafe di uno dei suoi poemi legati alle disgrazie della prima guerra mondiale. È chiaro che questa esortazione parte da un dato che ci arriva da Orfeo: la musica ha effetti terapeutici. La musica e il canto guariscono le ferite dell’anima e, secondo alcuni, anche le ferite del corpo, perché l’anima e il corpo non sono affatto divisi, come spesso invece si pensa. Di più, la musica può dare la forza necessaria per prendere una decisione quando la debolezza sembra aver completamente avvolto l’anima, può dare il coraggio di imboccare una strada quando il disorientamento è totale. Un detto come questo non può diventare proverbio se non in Italia, perché nessuno sa cantare il destino come fanno gli italiani.
La vita della signora Zeani, all’inizio piena di ostacoli e di difficoltà, e non priva di prove anche dopo che il successo le ha permesso una vita molto agiata, è stata vissuta con il canto. L’eclatante biografia che si può leggere in questo libro, come pure le idee che Virginia Zeani si è fatta sul mondo, sono esclusivamente prodotto della musica cantata dalla sua voce. Virginia Zeani, con tutto ciò che è e significa, rappresenta il prodotto integrale del canto. Si può in tal modo osservare come l’astrazione eterea della musica, emessa da una realtà talmente fragile qual è la respirazione umana, possa produrre qualcosa di così solido e palpabile come la vita di questa persona. E si può anche capire la supremazia di ciò che non si vede su ciò che si vede. In questo caso, l’invisibile assume la forma sublime dell’udibile.
Così ho deciso, insieme a Virginia Zeani, che non ci poteva essere titolo più adatto per questo libro che Canta che ti passa – e la stessa signora Zeani ne è la più solida garanzia.
Traduzione italiana di Afrodita Carmen Cionchin
(n. 11, novembre 2015, anno V)
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