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Caragiale ci racconta
Il volume Racconti e schizzi, a cura di Adriana Senatore e pubblicato da Cacucci Editore, è una finestra aperta sulla società romena a cavallo tra gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi del Novecento. Racconti che offrono uno spaccato di vita, che prende vita dinanzi agli occhi increduli del lettore grazie alle parole di Ion Luca Caragiale (1852 – 1912) che, come un pennello, delineano in maniera impeccabile le fragilità di una società non più ancorata ai valori del passato, ma in balia di un cambiamento che non risparmiò niente e nessuno. In quegli anni la Romania mutava pelle: la rigidità e l’austerità che fino ad allora l’avevano sempre contraddistinta, ora lasciavano il posto a un vento di libertà proveniente da Occidente. Sono questi gli anni delle prime leggi costituzionali, di un’embrionale organizzazione politica di tipo parlamentare, della nascita di numerosi partiti, ognuno con la propria idea della Romania.
Un vento di libertà e rivoluzione che scacciò finalmente via i temuti mostri della censura di stampa che per troppo tempo avevano cucito le bocche di scrittori e giornalisti, gettando terreno fertile per il riconoscimento della libertà di stampa come diritto tutelato dall’art. 24 della nascente Carta Costituzionale. Un tema, quello della stampa, molto caro a Caragiale, che, oltre a essere un «drammaturgo, novelliere, panflettista, poeta, scrittore, direttore di teatro, commentatore politico», rivestì anche i panni del giornalista. Ruolo che gli costò molto caro nella vita e che lo costrinse, nel 1906, a prendere la terribile decisione di lasciare l’amata terra d’origine per trasferirsi con la famiglia a Berlino. Il suo tono polemico e acceso, e i suoi articoli di denuncia contro una classe politica e istituzionale corrotta, lo portarono ad avere innumerevoli nemici e una carriera a dir poco semplice, tra ridicoli processi di plagio per la tragedia Malasorte(1890) e continui rifiuti delle sue opere da parte dell’Accademia. Ma l’ironia sarcastica di Caragiale non risparmiò neppure la sua categoria. L’orribile suicidio e Variazione sul tema puntano il dito contro quei giornalisti che, pur di assicurarsi la notizia del giorno, erano disposti a tutto, anche a discapito di altri, o addirittura, della verità stessa. Corrotti, proprio come i politici che avrebbero dovuto combattere, i giornalisti finirono nel mirino di Caragiale, con l’accusa di servilismo nei confronti del governo.
E fu proprio quest’ultimo il vero grande bersaglio del suo sarcasmo. In Atmosfera tesa, cosi come in Riposo festivo, per esempio, Caragiale ci regala uno scorcio domenicale dell’epoca, dove a far da padrona era la noia e il lento passar del tempo. In entrambi i racconti è ben chiaro il ruolo degli uomini di governo che si insinuano nei punti deboli della società per trarne vantaggio. La legge per il monopolio degli alcolici ne fu un chiaro esempio. Con l’istituzione del riposo domenicale, infatti, divenne abitudine per i lavoratori chiudersi nelle osterie al fine di affogare i propri dispiaceri nell’alcol, e, per i ricchi, sperperare tutti i propri averi in abiti sfarzosi e banchetti di lusso, ampliamenti descritti in High-life. E se i giornalisti, come già visto, non difendevano né accusavano i responsabili, il popolo, a sua volta, rimaneva inerme e impassibile, sebbene qui e lì vi fossero piccoli moti insurrezionali, ma di scarso impatto.
Personaggi buffi e goffi, frutto di un’attenta e quasi maniacale osservazione della realtà, derisi, scherniti e ridicolizzati pubblicamente al fine di evidenziarne vizi e fragilità. Ridendo castigat mores sembra essere il leitmotiv dell’intera letteratura di Ion Luca Caragiale. Amante e scrittore di numerose commedie, a differenza degli altri letterati a lui contemporanei, capì che l’unico antidoto efficace contro la dissolutezza dei costumi e della società di quel tempo era una sana e semplice risata. Si ride di tutto e di tutti, anche di fatti e individui banali, spesso invisibili ad altri, che per Caragiale divenivano linfa vitale e acquisivano una vera e propria dignità letteraria. Ed ecco che due semplici e umili impiegati diventano i protagonisti indiscussi del racconto A Pasqua per il solo motivo di aver dato vita a una serie di «siparietti» simpatici per via di calzature strette appena comprate, o un comune commissario che per assurdo nel racconto Verbale rimbalza all’attenzione per la sintassi raccapricciante di un documento stilato privo di senso.
Negli scritti di Caragiale, però, la risata non è mai superficialità, ma presa di coscienza. In Il signor Goe, infatti, troviamo la consapevolezza del fallimento della famiglia che oramai è incapace di trasmettere alle future generazioni i valori di un tempo, forse perché non fondata più su solide basi, come testimoniato dalle storie d'infedeltà in Luna di miele e Uomo fortunato. La famiglia è sempre più debole e in continuo scontro con il mondo circostante, o addirittura, con altre realtà familiari come accade in 25 minuti, dove alla rivalità personale corrisponde una rivalità politica, e viceversa, nei pressi di una stazione in cui per 25 minuti si fermarono il principe e la principessa.
E, ancora, consapevolezza della corruzione delle istituzioni, come la scuola, costellata da servilismo e favoritismi (Un insegnante stupido) e la magistratura o polizia, dal momento che anche la legge non veniva più rispettata (Peccato).
Ma soprattutto consapevolezza del fatto che il peggior nemico dell’uomo è l’uomo stesso. «Fra uomo e uomo c’è spesso distanza come tra stella e stella. Lì sta un sole gigantesco e più in là un’altra. […] E quanti poi non si vedono affatto e neanche sospettano la loro reciproca esistenza». Leggere Caragiale, quindi, vuol dire fare un percorso dentro di sé e dentro tutti gli uomini che ci hanno preceduto, per scoprire che siamo sempre gli stessi. L’uomo è un equilibrio perfetto tra forza e fragilità, tra vizi e virtù, tra materialismo e spirituale, e spesso una delle due parti prende il sopravvento. Potremmo quasi dire che dopo aver letto questo libro ci si sente più consapevoli di ciò che si è e di ciò che non vorremmo mai essere, perché Caragiale scava nell’animo dei suoi personaggi e tira fuori, quasi come da un cappello magico, tutto ciò che di bello e oscuro risiede in esso, senza alcuna paura, e creando una sinergia mistica tra loro e chi li osserva. Una nota particolare va riservata al linguaggio, che per lo scrittore è al centro di tutto, tanto da riservargli un posto d’eccellenza. Il linguaggio dice tutto di noi, da dove proveniamo e qual è il nostro retroterra culturale. Pertanto chi vuol rappresentare la realtà non può non farlo partendo dal linguaggio, con tutte le influenze e le violenze subite, perché la lingua è viva e in quanto tale muta continuamente con il mutare del mondo. E in Kir Ianulea troviamo infatti tutti i turchismi e grecismi di quell’epoca.
Una lettura sensoriale, in cui i suoni, le parole diventano immagini, scene, storie.
Valentina Elia
(n. 10, ottobre 2021, anno XI)
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