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Con Marco Carmello sulla poesia di Elsa Morante
Elsa Morante, figura di prima grandezza della narrativa italiana del Novecento, è stata anche un’interessante e originale poetessa. La sua lirica, disseminata qua e là anche nei suoi romanzi, si è coagulata in due volumi che, benché non ignorati dalla critica, sono tuttora quasi sconosciuti al grande pubblico italiano e totalmente a quello romeno. Per questo portarla a conoscenza dei nostri lettori, con l’aiuto della recente e preziosa monografia di Marco Carmello, La poesia di Elsa Morante (Carocci editore, Roma 2018), ci sembra un atto non solo ben venuto ma anche doveroso.
I due volumi di poesia della Morante sono Alibì e Il mondo salvato dai ragazzini. Il primo, uscito nel 1958 presso la casa editrice Longanesi, nella collana esclusiva e controcorrente «Collezione di poesia» diretta da Nico Naldini, più che un volume è una plaquette di sedici componimenti che, trasfigurando esperienze biografiche intense, delineano una poetica del tutto singolare nel paesaggio lirico novecentesco. Il secondo, apparso dopo ben dieci anni, nel 1968, è un libro senza riscontro nella letteratura italiana: non inquadrabile né in quanto genere né in quanto struttura, il libro mescola lirica, teatro, narrazione, canzone, grafica. Ispirato a ben altre esperienze esistenziali (dal lutto per la morte dell’uomo amato a quelle psichedeliche e all’impegno nella storia) e letterarie (come i beatnik americani), esso rivela un’altra poetica rispetto ad Alibì ed esprime un altro rapporto col mondo: un libro che Pasolini, grande amico della Morante, definiva: «Un manifesto politico scritto con la grazia della favola, con umorismo, con gioia». Lo studio di Marco Carmello, che reca il modesto sottotitolo Una presentazione, ma che in realtà propone approcci originali e risposte profonde a non poche delle domande e perplessità destate dalla creazione poetica morantiana, viene a completare felicemente la bibliografia critica con una diversa comprensione di questa genuina voce poetica italiana.
Marco Carmello, ben conosciuto anche agli italianisti romeni per la sua ripetuta e sostanziosa partecipazione ai convegni internazionali di italianistica organizzati all’Università di Craiova, è docente presso il Dipartimento di Filologia Italiana dell’Università Complutense di Madrid, segretario accademico della rivista «Cuadernos de Filología Italiana» della stessa università, specialista di lettere classiche, di linguistica storica e generale, di semantica, filosofia del linguaggio, con significativi contributi anche su tematiche relative alla stilistica, alla retorica, alla filosofia e all’estetica del linguaggio letterario. La sua apertura a tanti campi di ricerca si riflette anche nella monografia dedicata alla poesia di Elsa Morante. L’indagine del professor Carmello si propone di analizzare la poesia della Morante così da rispondere ad alcune domande essenziali che questa autrice continua a suscitare: in che rapporto sta la poesia con le prose della scrittrice? Perché la poesia morantiana, tanto originale quanto profonda, viene comunemente o esclusa o emarginata dalle storie della poesia italiana del Novecento? Come si posiziona tale poesia e tale poetica rispetto al canone poetico italiano a lei contemporaneo? Qual è il valore intrinseco di quella creazione lirica e quali le sue valenze finora poco rilevate dalla critica? Quello che ci proponiamo in questa breve presentazione è di percorrere rapidamente le risposte dell’autore a queste domande e le loro giustificazioni. Prima però bisogna precisare che l’analisi dello studioso parte da presentazioni di carattere generale delle circostanze esistenziali e storiche della poesia morantiana e dall’inquadramento della stessa nel percorso creativo della scrittrice, per poi approfondire con eccezionale sensibilità e perizia, per ciascuno dei volumi, il linguaggio, la stilistica e la metrica. Da queste poi fa risaltare la poetica specifica di ciascuno e più, in genere, la relazione dell’autrice con la parola e con il mondo.
Quanto alla prima domanda, concernente il posto che occupa la poesia rispetto alla prosa della Morante, Carmello dimostra che il rapporto fra le due espressioni è stata sempre a cuore della Morante, come risulta, da un lato, dal dibattito teorico nei saggi del volume postumo Pro e contro la bomba atomica oppure da quello intorno alla poesia fra due personaggi del romanzo La storia,e dall’altro, dal valore di soglia che la poesia assume nella creazione morantiana. E qui Carmello fa interessanti osservazioni sulla poesia di Elsa Morante sia in quanto soglia dell’insieme dell’opera morantiana, perché contatto originario con il linguaggio/ritmo, sia in quanto momento di svolta dalla poesia alla prosa e viceversa, nel percorso cronologico della stessa – in questo senso nella Morante si verifica un’alternanza fra prosa e verso che sa di esclusione, alternanza ed esclusione riscontrabile con la stessa radicalità forse solo in Leopardi.
Alla seconda domanda, riguardante «la mancata ricezione» dell’opera poetica morantiana, l’autore dedica due sottocapitoli nella parte finale della monografia, uno per ciascuno dei due volumi di versi della Morante. In quanto ad Alibì si invocano cause estrinseche, come l’inefficienza e provvisorietà della linea poetica proposta dalla collana della Longanesi, ed intrinseche: l’isolamento dal resto della produzione morantiana e un poetare estraneo al sistema letterario del tempo – ciò che priverà il volume di ulteriori riverberazioni. In quanto a Il mondo salvato dai ragazzini, secondo l’autore, più che di mancata ricezione si deve parlare di rifiuto, dato che, a differenza del precedente, questo volume ha goduto di un’udienza e di un’attenzione del tutto speciali. Ma udienza e rifiuto hanno una stessa fonte: la mescolanza dei generi e la «varianza stilistica», «il policentrismo tematico e formale», perché, secondo Carmello, «una simile escussione interna allo stesso lavoro è impensabile nella poesia successiva a Morante».
Per quanto concerne la terza domanda, l’autore dà una risposta decisa: «comunque la si guardi, la poesia morantiana risulta sempre fuori ruolo e fuori tempo rispetto al canone poetico del Novecento»; e ciò è effetto tanto della particolarissima poetica della Morante quanto della polemica insita nella sua poesia «contro le linee portanti di quel sistema». Ed è proprio la «particolarissima poetica» di questa poetessa che avvia l’autore verso la risposta alla quarta domanda, sul valore intrinseco della sua poesia. A questo conduce, infatti, la particolareggiata analisi stilistica, metrica e ritmica intrapresa dall’autore: a una visione d’insieme per la quale trova l’eccellente formula di «rifiuto del negativo linguistico», cioè il rifiuto che la lingua significhi più di quanto voglia dire, che essa evada al di là del mondo, delle cose, nel simbolico o nell’astruso – come avveniva negli ermetici e nella neoavanguardia. Questo porta l’autore alla sua conclusione sulla poetica della Morante: «una poetica del positivo», per cui «Morante stabilisce e mantiene quella sottomissione della lingua alla cosa». Ed «è fuor di dubbio che, una volta esclusa dal proprio orizzonte la possibilità della fuga verso il ‘di più’ linguistico, si resta esposti alla gravità quasi insopportabile del peso mondano che cerca di raggiungerci e di schiacciarci». Ma, secondo Carmello, nel lettore tale peso schiacciante è controbilanciato da qualcosa che sarebbe, con un termine preso da Simone Weil, la grâce, ossia un qualcosa come la purezza d’animo e l’amore per l’altro che animavano l’angelico principe Myškin di Dostoevskij. Ed è forse ciò che sentiva anche il filosofo Giorgio Agamben, quando definiva la poesia della sua amica Elsa Morante una tragedia antitragica.
Consideriamo che il connubio fra peso e grâce proposto da Marco Carmello e l’ossimoro di Agamben siano il miglior invito alla lettura della poesia di questa scrittrice fuoriclasse.
Smaranda Bratu Elian
(dicembre 2018, anno VIII)
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