A 160 anni dalla nascita di Italo Svevo, un omaggio romeno

Nel 1861, appena unificata l’Italia, nasceva a Trieste, cioè nell’Impero austro-ungarico, Aron Hector Schmitz, quello che sotto il nome di Italo Svevo avrebbe dato alla letteratura italiana il suo primo e forse unico romanzo d’avanguardia, destinato a collocare il suo autore, e solo lui, al livello dei grandi fautori della prosa europea moderna Proust, Joyce, Kafka, Musil. La Romania festeggia questo anniversario con una nuova e ampia edizione dei racconti sveviani. Si tratta del volume Italo Svevo, Viitorul amintirilor. Proză scurtă (L’avvenire dei ricordi. Racconti), pubblicato dalla casa editrice Humanitas fiction a cura di Mihai Banciu.

Soltanto dopo che, su raccomandazione di James Joyce, la novità e la modernità del suo ultimo romanzo, La coscienza di Zeno, vengono acclamate in Francia e ricevono il noto elogio di Montale, Svevo inizia a essere pienamente apprezzato e riconosciuto in Italia. Ma la sua opera comincia a farsi strada nelle storie della letteratura e nei manuali scolastici della Penisola solo a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso. Così che la prima traduzione romena dall’opera del grande triestino, ossia Conștiința lui Zeno (La coscienza di Zeno), risalente al 1967, non si presenta né tardiva né sfasata rispetto alla sua reale ricezione in patria. Se per la maggior parte dei classici italiani la cultura romena ha avuto bisogno di secoli per recuperarli, tradurli e farli entrare nel circuito dei propri valori, con la letteratura del Novecento essa si è compotata diversamente: la nuova letteratura è penetrata in Romania piuttosto rapidamente e questo grazie principalmente a una casa editrice bucarestina di prestigio e ai suoi valenti professionisti: la casa editrice specializzata nella pubblicazione della «letteratura universale» che, dopo aver cambiato vari nomi (ESPLA, ELU), oggi porta quello di «Univers»; è la principale casa editrice romena che durante gli anni del comunismo pubblicava – eludendo la censura –  il fior fiore della letteratura italiana novecentesca. Ed è sempre questa casa editrice che inizia la pubblicazione di Svevo in Romania; l’esordio spetta, a giusta ragione, a La coscienza di Zeno, che appare nella bella versione di una traduttrice agguerrita, Constanța Tănăsescu. Questa prima edizione romena è accompagnata dalla prefazione, o meglio dal saggio di un famoso intellettuale romeno dell’epoca, Ion Ianoși, professore universitario di filosofia e di estetica e grande specialista del romanzo otto-novecentesco, prefazione destinata a rilevare tanto la profondità e L’originalità del testo sveviano quanto (e soprattutto) la critica sociale implicita, per far passare il romanzo attraverso il setaccio della censura. La conferma della qualità di questa prima traduzione emerge dalle successive riedizioni: una seconda pubblicata nel 1989 presso la stessa casa editrice (diventata intanto) Univers di Bucarest, e una terza apparsa nel 2006 presso la Polirom di Iași. Dopo l’esordio, a misura che l’interesse per l’opera del triestino si va diffondendo in Romania, escono, in ordine inverso, presso la già ricordata Univers, anche gli altri due romanzi sveviani: nel 1971 esce il secondo romanzo di Svevo, Senilitate (Senilità), nella traduzione di due illustri italianisti, Florian Potra e Ștefan Delureanu, mentre nel 1973 appare il suo primo romanzo, O viață (Una vita) nella traduzione di Maria-Luisa Copceag. Una seconda edizione del primo romanzo sveviano sarà ripubblicata nel 2005 presso la casa editrice Leda, questa volta accompagnata dall’introduzione del raffinato critico e profondo conoscitore della letteratura italiana Cornel Mihai Ionescu. La serie sveviana prosegue nel 1986, sempre presso la Univers, con il volume Italo Svevo, Scrisori (Lettere), una selezione dall’ingente corrispondenza sveviana, curata in romeno dal noto italianista e traduttore Ștefan Crudu: spiccano in questa raccolta le lettere a Joyce e a Montale. Poi, nel 2002, appare finalmente un primo florilegio di racconti sveviani: sono sette e vengono pubblicati a Cluj, presso la casa editrice Napoca Star a cura della distinta italianista, docente di letteratura italiana all’Università di Cluj, Helga Tepperberg. La tradizione delle riedizioni si interrompe solo nel 2016 quando la casa editrice ALLfa pubblica una nuova versione romena di Senilità a cura di chi scrive. Ho elencato le pubblicazioni sveviane in traduzione romena precedenti quella presente, da una parte, per illustrare, in questo che è l’anno dell’anniversario, la continuità dell’interesse della Romania per il grande innovatore della prosa italiana, dall’altra, per rendere meglio il merito e lo spirito che sottintende la nuova antologia di racconti sveviani.

Il curatore del nuovo volume, Mihai Banciu, è un italianista conosciuto ai lettori della nostra rivista: nel numero di febbraio del 2019 ho avuto il piacere di presentarlo in veste di autore di un delicato e malinconico volume di versi in italiano – perché Banciu, eccellente traduttore, è anche poeta, tanto in romeno quanto in italiano, e la sua sensibilità linguistica attiene forse anche alla poesia. Ma qui interessa di più la sua esperienza di traduttore e curatore di racconti novecenteschi, esperienza che rende Banciu un autentico professionista della prosa breve: nel 1989 pubblica con la già citata editrice Univers, in un volume di quasi 500 pagine, una nuova versione romena delle Novelle per un anno di Pirandello – riedite in parte nell’antologia pirandelliana curata da Miruna Bulumete per la casa editrice Humanitas, apparsa nel 2014 nella collana Biblioteca Italiana –  mentre nel 2014 pubblica, sempre con Humanitas, la traduzione delle Strane storie di Papini: quanto dire la preparazione più proficua immaginabile per accingersi alla traduzione dei racconti sveviani.

Nella creazione letteraria di Svevo i racconti occupano, quantitativamente e qualitativamente, un posto rilevante e accompagnano tutto il percorso della sua attività letteraria, persino in quel lungo periodo di «silenzio letterario» in cui lo scrittore abbandona il romanzo. I primi li scrive quando è ancora giovane e li pubblica sulle riviste triestine a cui collabora; quelli scritti più tardi, in parte inediti, dopo il suo ultimo e principale romanzo, La coscienza di Zeno, sono, in modo ora nascosto ora palese, una sua continuazione, quasi una confessione distaccata, interrogativa e disillusa di una serie di Zeno vecchi. Ma nel loro insieme, i racconti sveviani ripercorrono i principali temi dei romanzi: la vita anodina della famiglia borghese della Belle Epoque,  il suo perbenismo, i suoi vizi nascosti con le loro dissimulazioni, l’ipocrisia e le nevrosi che ne derivano, la razionalizzazione freudiana che occulta gli impulsi incoscienti che continuano invece  a determinare le azioni e le scelte dei personaggi; e i personaggi sono, a loro volta, caratterizzati dalla stessa inettitudine e incompiutezza dei protagonisti dei romanzi. Però i racconti, soprattutto quelli successivi a Zeno, che in realtà continuano quel terzo romanzo nella prospettiva di un quarto,  aggiungono alcuni importanti accenti: qui il tema prevalente è la vecchiaia vista dal suo intimo (la voce narrante e in prima persona), la vecchiaia che restringe il nostro ingranaggio sociale a una esigua cerchia familiare e a una cerchia extrafamiliare ancora più esigua, che mette al centro degli interessi personali la salute, o piuttosto la malattia, che si illude di poter recuperare la vitalità grazie a effimere avventure sessuali; ma l’ossessiva autoanalisi specifica di tutti i protagonisti sveviani, qui, più che altrove, dipende dalle fluttuanti rielaborazioni della memoria; e qui, più che altrove, la scrittura (tutti i protagonisti dei romanzi di Svevo sono, in un modo o in un altro, scrittori falliti) è vista non solo come terapia e igiene spirituale ma persino come unico modo di capire e di riconsiderare il passato. Lo stile e il linguaggio dei racconti conservano pure qui la fine e continua ironia e autoironia di Zeno, con un aggiunta di bonarietà e di corsività. Nei racconti stile e tematica si fondono in un unico fluire, il cui risultato è, per citare il curatore del volume, «l’elevazione a potenza del banale, del fatto quotidiano, che acquista inaspettatamente quasi un’aura metafisica».

Tale fluire e tale aura sono perfettamente resi nella versione romena dei 19 racconti scelti da Mihai Banciu. Sono sicuramente i più importanti, che coprono quasi tutto l’arco creativo dell’autore; nel volume romeno essi vengono accostati in modo da rendere l’idea di unità come tratto essenziale di tutta la produzione di Svevo.  Il volume si apre con una cronologia della vita e delle opere dell’autore – introduzione necessaria all’universo sveviano caratterizzato da un biografismo raramente velato – e si chiude con una postfazione che chiarisce la posizione dei racconti nella produzione letteraria dell’autore e la visione personale del curatore. E un insieme che offre ai lettori romeni, in questo 160esimo anniversario, l’immagine complessiva non solo dei racconti ma anche del loro autore e, nello stesso tempo, un’incantevole lettura.



Smaranda Bratu Elian
(n. 2, febbraio 2021, anno XI)