Mihail Banciu e Mihai Cezar Popescu, due poeti romeni e la loro poesia italiana

Negli ultimi decenni si assiste a un fenomeno letterario interessante, frutto della libera circolazione nell’Europa unita e prova dell’interpenetrazione, spesso ingiustamente negata, delle sue varie culture: romeni stabiliti in Italia, provvisoriamente o per sempre, che si appropriano non solo del modo di vita e della cultura del paese di adozione, ma persino della sua lingua, e non esclusivamente per la comunicazione quotidiana ma addirittura per esprimere artisticamente la visione di sé e del mondo, cioè per fare letteratura. La padronanza linguistica e il valore contenutistico di tali creazioni sono ormai dimostrati dall’interesse manifestato dalle case editrici italiane e dalla critica della Penisola. Narratori come Ștefan Rusu, Ingrid Beatrice Coman, Anca Martinaș, Irina Turcanu, o narratori e poeti contemporaneamente, come Mihai Mircea Butcovan, Victoria Dragone o Eugenia Bulat, che hanno destato l’attenzione non solo dei sociologi ma anche dei critici letterari italiani, sono la prova vivente di tale fenomeno europeo (e non solo) come pure della creatività bilingue di alcuni dei nostri compatrioti. E sarà forse un caso, ma i due volumi di poesie presentati qui di seguito li abbiamo ricevuti proprio nei giorni in cui la Romania si preparava ad assumere la Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea. Il fatto di presentarli qui insieme è dovuto non solo alla loro appartenenza al fenomeno suaccennato, ma anche a una serie non indifferente di tratti comuni dei loro autori e della loro poesia.

Gli autori sono tutti e due professionisti di alto livello e poeti dilettanti; tutti e due hanno svolto e continuano a svolgere, parallelamente alla professione, un’intensa e ininterrotta attività culturale; per tutti e due l’Italia, dove hanno esercitato per un certo periodo il loro principale lavoro, è diventata, più di una seconda patria, un cromosoma aggiunto al proprio DNA; tutti e due vivono ora in Romania, senza però staccarsi sentimentalmente e linguisticamente dall’Italia; tutti e due hanno girato l’Italia, e nei loro versi i luoghi, le luci, i profumi e i suoni dei luoghi – alcuni piccolissimi e quasi sconosciuti – che li ha fatti vibrare, sono la struttura portante della materia poetica; tutti e due scrivono in un italiano eccelso e raffinato, perfettamente inquadrabile nel più autentico linguaggio poetico novecentesco italiano. Ma le somiglianze non si limitano agli autori e alla loro lingua, ma investono anche alcune delle loro scelte stilistiche e metriche e perfino l’aspetto grafico dei rispettivi volumi: in entrambi i volumi si predilige la poesia breve, in versi liberi, dove la poeticità emerge dalla scelta delle parole, dalla loro melodia e cadenza intrinseca; entrambi usano una lingua esatta e cristallina; graficamente, i due volumi, pubblicati da piccole ma raffinate case editrici italiane specializzate in poesia, sono esili, delicati, su carta pregiata, dall’impaginazione aerata ed elegante; e tutti e due i volumetti sono preceduti da introduzioni dovute a critici italiani loro stessi poeti. Malgrado tante somiglianze, ciascuno dei due volumi ha una sua precisa individualità, e questo ci obbliga a presentarli separatamente.

Il dovere della malinconia. Poemi italici, di Mihail Banciu, Edizioni Empiria, Roma, 2017, è il 114-esimo volume della squisita collana di poesia Sassifraga. L’autore, un diplomatico che, a nome del Ministero degli Affari Esteri della Romania, ha contribuito per molti anni al consolidamento delle relazioni culturali fra la Romania e l’Italia, la Repubblica di San Marino, la Santa Sede, la Repubblica di Malta e il Sovrano Ordine di Malta, non ha mai abbandonato la sua formazione iniziale di italianista. Laureatosi presso l’Università di Bucarest (1971) con una tesi su Camillo Sbarbaro e l’avventura della poesia italiana moderna, Banciu non ha mai smesso di pubblicare liriche originali (insignite di vari premi letterari) o tra­duzioni dalla poesia e dalla narrativa italiane sulle principali riviste letterarie e di cultura e presso le più prestigiose case editrici della Romania. Fra tutte bisogna ricordare almeno la grande antologia delle novelle pirandelliane e le opere di Ugo Attardi, Cesare Brandi, Franco Cajani, Andrea Riccardi e Roberto Pazzi, che lui fece conoscere per primo ai romeni.
Il titolo del volume indica l’atmosfera complessiva della raccolta, mentre un richiamo preciso troviamo in una sola poesia, Festa della malinconia. Il prefatore del volume, Elio Pecora, insigne poeta e critico, che, molto soggettivamente, considera che «il tema dell’intera raccolta è l’amore, centrale e portante», interpreta il titolo come un «lasciarsi a un vedere più lontano, più in profondo, per approdare a una consapevolezza che è la mi­sura stessa dell’essere» perché la malinconia «è consapevo­lezza estrema e pure indicibile godimento, dove il tempo si cancel­la per comporsi di tutti i tempi e di tutte le storie». Il sottotitolo, Poemi italici, invece, è, diremmo, una sorta di dedica alla seconda patria spirituale del poeta, romeno di nascita.
In questo volume, che riecheggia il miglior ermetismo novecentesco italiano, la poesia di Banciu ci offre una lirica concentrata, a carattere chiuso, mirante all’essenzialità tramite analogie di non facile interpretazione; la parola poetica, liberata da ogni narratività, ricorre per lo più a uno stile nominale che rende sensazioni, o meglio, folgorazioni squisitamente personali, che si fondono in sinestesie-meditazioni; una poesia che vive di magia evocativa e di illuminazioni liriche, donde la brevità da haiku o da aforisma della maggior parte dei testi (Sinestesia: Il cuore che tramonta,/ rosso e bianco/ sul cielo d’inverno; oppure Ricordo: Sulle tue labbra / indolenzite /ruggini di rugiada; oppure, quasi un aforisma, Passaggio a livello: Attraversar la storia / a piedi nudi.). I titoli sono sigilli o integratori del messaggio poetico che a volte viene segnato anche da un verso, finale o no, a distanza dagli altri: 

Rotazione

In via Adige sto occhi negli occhi
con le colombe del cortile interno.

L’ultimo raggio scola dietro il palazzo di fronte.

Sento mancar altro lembo del cuore.

Caratteristiche di questa poesia sono anche lo stile elevato, che ricorre non di rado a parole rare e preziose (gemmazione, magnesi, ubero, atopos, cardiopalma, auricola) oppure ad allusioni musicali (contrappunto, rondò), e la frammentazione grafica che invita a una lettura a respiri brevi e staccati:

Rondò

Al semaforo, uomini e cani
che attraversano.

Sosta di rifiuti e sordi.

Entro piano nel quadro,
esco uguale.

Mi avranno fiutato?

Il volume è strutturato in tre sezioni: Misse ricordi (titolo ricercato e ambiguo), dove il ricordo, allusione più che evocazione esplicita, è più presente che altrove; Contrappunti, dove l’incanto malinconico scatta piuttosto dalle valenze musicali e dalla suggestività di paesaggi e di luoghi italiani poco frequentati (come Soratte, Cadenabbia) e proprio per questo creano una sensazione di intimità e di possesso; e Angelo irrequieto, dove si insinua un’aura mistica che accompagna l’amore ma anche il presagio della morte. Qui, per citare sempre Elio Pecora, «l’inquietudine sbocca nell’accettazione e l’attesa in una pacatezza che nel sacro ritrova le radici e la fioritura».
Chiuderemmo questa breve presentazione che intende essere solo un invito alla lettura con le parole dello stesso Elio Pecora che caratterizza l’insieme del volume come «un’opera che, già a una prima lettura, convince e commuove, nel senso di muovere dentro, di condurre in un altrove prossimo e pure velato e chiaro come un sogno del mattino» – al che aggiungeremmo che la raccolta merita nondimeno una lettura ripetuta, fatta in solitudine e raccoglimento.



Il piccolo volume di Mihai Cezar Popescu, Ricordati di me, Italia. Poesie, è apparso nel 2018 per i tipi delle Edizioni dell’Ariete-Pangloss, nella collana di poesia Mandala dove le poesie sono sempre accompagnate da raffinate illustrazioni. In questo caso le illustrazioni riproducono alcuni dipinti intensi, pastosi, ricchi di colore, opera di Fusar (Tiziano Fusar Poli), che si sposano felicemente con la sensitività dei versi. Il volumetto nel suo insieme è il frutto di un felice connubio fra due aree dello scibile, fra due modi di porsi di fronte alla realtà e di offrirsi ai propri simili: medicina e letteratura; perché medico e poeta non è soltanto l’autore del volume, medico e poeta è anche il fondatore ed editore delle edizioni dell’Ariete, Simone Bandirali che, insieme a Dan Eban, dedica nelle prime pagine del volume un caldo apprezzamento alle poesie del collega romeno; medico e scrittore è anche Patrizia Valpiani, Presidente dell’Associazione Medici Scrittori Italiani, prefatrice del volume.
Mihai Cezar Popescu si è laureato in medicina a Bucarest nel 1973 e, prima di diventare quello che è adesso – primario di medicina interna e capo del reparto medicina interna-cardiologia di un importante ospedale di Bucarest, docente universitario e autore di circa 200 lavori scientifici – ha avuto un’esperienza professionale in Italia; là ha stretto amicizie indistruttibili, ha perfezionato il suo italiano e si è imbevuto di poesia e cultura italiana. Ma prima di tutto questo, cioè ancor prima di finire gli studi universitari, ha esordito come poeta su riviste romene, per poi pubblicare, dal 2002, a brevi intervalli, in romeno, volumi di poesia e di prosa nonché traduzioni dalla poesia e narrativa italiana moderna (di Simone Bandirali, Giorgio Bocca, Franco Galiano ecc.). Oltre a queste due occupazioni permanenti, di medico e di (possiamo dirlo) italianista, Mihai Cezar Popescu svolge da più di venti anni una vasta attività culturale in quanto fondatore e caporedattore della rivista di cultura «Logos» (che ha pubblicato anche traduzioni dalla poesia italiana), mentre dal 2016 è caporedattore della rivista della Società dei Medici Pubblicisti e Scrittori di Romania, «La fontana di Kos», che saltuariamente offre anche testi di autori stranieri e/o in lingue straniere fra cui, beninteso, l’italiano. Non c’è dunque da stupirsi che il medico-poeta Mihai Cezar Popescu è anche membro del Comitato Direttivo dell’«Union Mondiale des Ecrivains Médecins».  
Il piccolo volume Ricordati di me, Italia rivela una sensitività marcata: la meditazione scaturisce di solito dalla sensazione o dal suo ricordo. Tematicamente il volume sembra rivelare tre filoni, non privi di intrecci e corrispondenze fra di essi: il primo e più ricco potremmo descriverlo come paesaggi-visioni: epifanie di colori, profumi, atmosfere, «finestre aperte verso l’essenza della terra» – come ispiratamente le chiama in una delle poesie – che racchiudono una meditazione intrinseca,  come solo la pittura o la musica sanno fare (Mediterraneo siculo – Agrigento: Feroci ondate / sbattono / contro i muri / di un golfo sperduto / Conchiglie – monadi / circondano / ogni nostro gesto.); oppure partoriscono esplicitamente un sentimento-meditazione, sulla vita, sul creato, su di sé o facendo riemergere ricordi di civiltà antiche (Calabria: Calabria / tentacolare/ abbraccia il mare./ Calabria / mescolando lentamente/ le tue labbra / piovre / insieme a lividi santi. / Sangue bruciato / fiori / gemiti e sospiri / insieme ad Ulisse / sirene. / Rinnovando / sempre di più / me stesso / nel profondo silenzio / di Scalea / di Reggio / di Cirella antichissima.) In molti paesaggi-visioni aleggia una speciale dolcezza, la dolcezza della separazione da quei luoghi e del loro assorbimento nella permanenza del ricordo.   
Un altro filone tematico è quello dell’amore, di un amore (che si indovina tardo) per una donna giovane, un amore che resiste alla prova finale del tempo perché si riveste dell’eternità e della purezza della natura:

Memento

In quel terribile momento
quando niente di me stesso
mai saprò,
nemmeno chi sono
nè da dove vengo,
prendimi dolcemente
per mano.

Posami poi
sull’orlo del mondo
facendomi amarti
trasfigurata in ogni colle
in ogni vallata
soltanto nella parola addio
mai.

E che poi raggiunge un’armonia che assume toni mistici:

Il vuoto strapieno

Nel vuoto tra
le tue lagrime
un mondo.

Nel vuoto
le tue braccia tese
Dio.

Il terzo filone si anima di una serie di personaggi; le poesie diventano come delle piccole favole dove una figura umana acquista consistenza sia sullo sfondo paesaggistico sia per un’allusione a una microstoria personale (La strana avventura di Canetti, Davide, Gina, Savino, Paesaggio sardo con Marcello, Maria e le sirene) ammantata di ironia bonaria e di mistero poetico (Padre Calogero: Stringendo i rami / disse / «Grazie assai!» / e Dio scese / nel suo sguardo / accarezzando / i bianchi capelli. / Padre Calogero / sparì nel fumo / dei nostri pensieri.)     
Volendo evocare l’impressione che ci lascia questo volumetto, con i suoi versi brevi e le parole limpide, diremmo che esso sprigiona calore e purezza, un senso di armonia con la natura, con la sua bellezza e varietà; e che rivela uno sguardo incantato sulla vita e sul creato in cui c’è sempre una promessa e un ritorno.  
Concludiamo questa nostra brevissima rassegna con un sentimento personale: di emozione di fronte alla scoperta di due poeti autentici che dalla Romania celebrano egregiamente la poesia italiana.


Smaranda Bratu Elian
(febbraio 2019, anno IX)