Mirabile prospettiva sulla paura nel Cinquecento

Apparso di recente presso l’editrice «Casa Cărții de Știință» di Cluj-Napoca, il volume di Corina Anton «Grandissima e smisurata paura». Una proposta di lettura di novelle del Cinquecento dovrebbe essere considerato un avvenimento di spicco per l’italianistica romena recente. Dedicato agli specialisti e contemporaneamente agli studenti romeni delle sezioni di italiano delle varie università romene, il volume è scritto in un italiano squisito e, benché elevato, perfettamente accessibile alle due categorie di lettori menzionate, e non solo.
Corina Anton, docente di letteratura italiana medievale e rinascimentale presso l’Università di Bucarest, è un’italianista romena ormai ben affermata a livello nazionale e internazionale. Autrice di un interessante studio sullo spazio immaginario nei poemi cavallereschi (Spațiul imaginar în poemele cavalerești italiene. Analiză de caz: «Orlando furioso», E.U.B., 2009), Corina Anton ha continuato la sua ricerca e il suo impegno nella conoscenza e diffusione in Romania della vasta e valorosa produzione letteraria italiana dal Medioevo al Barocco, curando e traducendo per la collana bilingue Biblioteca Italiana della Casa editrice Humanitas di Bucarest una serie importante di classici del periodo, Francesco Petrarca (2011), Torquato Tasso (2011), Leon Battista Alberti (2015), Francesco Guicciardini (2017), nonché due raccolte di novelle italiane: rinascimentali (2007) e barocche (2010). Il lavoro a queste due raccolte, in modo particolare, le hanno procurato anche un’intimità con la novella italiana di quelle epoche che solo la traduzione può offrire, intimità che spiega in parte le caratteristiche di questo nuovo volume.

Voglio giustificare subito perché ho usato l’espressione «un avvenimento di spicco per gli studi di italianistica romeni». Prima perché la ricchezza del materiale bibliografico, degno di una (nuova) tesi di dottorato, offre un’eccezionale panoramica sulla critica internazionale dedicata o affine al tema, in cui ciascun riferimento critico può aprire nuove direzioni di indagine ad altri, futuri, ricercatori; poi perché il rigore e l’onestà con cui questo materiale viene adoperato costituiscono un modello da seguire in ogni tipo di ricerca. Qualsiasi affermazione o intuizione dell’autrice, prima di esprimere la propria originalità, è puntualmente confrontata con le molteplici opinioni degli specialisti. E l’originalità delle proprie interpretazioni non è mai conclamata, anzi, si insinua modestamente fra le innumerevoli interpretazioni possibili degli altri. Questo atteggiamento fa sì che le pagine siano corredate da un consistente numero di note di grande interesse per chi volesse approfondire l’argomento. I nostri lettori potrebbero dedurre che la lettura del libro è ardua e perciò è meglio affidarla soltanto agli specialisti. Errore! La frase di Corina Anton è scorrevole, cordiale, e il testo si legge con l’agevolezza con cui si legge un romanzo. E non voglio chiudere l’argomento della bibliografia prima di menzionare che l’autrice si muove con agio in più lingue e che, oltre alla bibliografia primaria, oltre ai testi di storia e critica letteraria attinenti al tema, oltre a studi storiografici, si serve di testi classici oppure recenti di medicina, di scienze naturali, di psicologia, di storia e teoria dell’arte, con la precisazione, dove necessario, del frammento esatto consultato. A tale ricchezza e diversità si aggiungono non comunemente alcuni interessanti strumenti di statistica (come l’indice dei motivi letterari della novellistica italiana di D.P. Rotunda, o l’indice dei motivi della letteratura popolare e medioevale di Thompson Stith), che convalidano in certi momenti le sue osservazioni. L’esemplarità invocata se riferisce dunque in primis al metodo di lavoro, alla sua acribia.

Il tema della ricerca è alquanto inconsueta, in bilico fra la psicologia e la letteratura, ossia la rappresentazione della paura in due dei principali novellieri del Rinascimento, Matteo Bandello e Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca. Il filo rosso della ricerca è proprio quello dichiarato, la paura, ma intorno a esso si sviluppa un intero panorama letterario e culturale che include anche abitudini, rituali, gusti del Rinascimento maturo in Italia. Il volume si apre con due ampi studi preliminari, dedicati, uno, al genere letterario della novella, l’altro, al fenomeno psicologico della paura. Lo scorcio sulla novella riepiloga le varie prospettive critiche e storiografiche per puntare sulle sue caratteristiche cinquecentesche. L’importanza del Decameron nella costituzione del canone letterario della novella nonché nei dibattiti linguistici che hanno segnato la cultura italiana del Rinascimento giustifica non solo il posto assegnatogli dall’autrice in questo studio introduttivo, ma anche la costante presenza, in tutto il volume, del modello boccacciano in quanto termine di riferimento e di paragone delle novelle prese in esame. Il saggio sulla paura, invece, inizia con la prospettiva psicologica odierna sul fenomeno per presentare poi i vari approcci teorici, filosofici e medicali, succedutisi nella cultura occidentale. Apparentemente a sé stante, questo saggio sulla paura è invece essenziale per spiegare ulteriormente la cultura dei due autori in questo campo e la maniera in cui essi la trasformano in letteratura.

L’opzione dell’autrice per i due autori menzionati è dovuta, mi pare, non solo alla rilevanza del tema della paura nelle loro novelle, ma anche alle grandi differenze di spazio, di contesto politico e sociale, di ambiente, di indole e di destino, fra i due. In questo modo il tema, unico, affrontato diversamente dagli autori, è diversamente presentato anche dall’autrice, ciò che attrae ricadute non solo culturali ma anche sociali e politiche dell’analisi testuale. Matteo Bandello, nobile, ecclesiastico di grande cultura, che vive nell’ambiente aristocratico delle grandi corti dell’Italia settentrionale e della Francia, scrive le sue 214 novelle per l’intrattenimento e il gentile ammaestramento morale di questa società. Tale posizione sociale e tale ambiente spiegano anche il fulmineo successo e l’ampia e lunga diffusione della sua opera: le novelle di Bandello sono lette in traduzione o in italiano, subito e dopo, anche nei paesi d’oltralpe, così da ispirare, fra l’altro, il miglior teatro elisabettiano. Di venti anni più giovane, Anton Francesco Grazzini è un borghese fiorentino, di mestiere speziale, ma coltivato, membro di una delle accademie importanti del tempo (l’Accademia degli Umidi, dove, secondo i rituali accademici, riceve il soprannome di il Lasca). Il Lasca vive nella Firenze diventata granducato, sotto il governo autocratico di Cosimo I de’ Medici, che controlla la vita pubblica e la cultura e che limita le libertà personali. Le novelle del Lasca prospettano il pubblico e propongono ambientazioni affini all’autore e tentano di eludere l’atmosfera pesante di quella Firenze ricorrendo al cronotopo del carnevale. A differenza di Bandello, il Lasca non vedrà edite le proprie opere, perciò la loro diffusione all’epoca deve essere stata molto ristretta e, in un certo modo, clandestina, dato che la loro pubblicazione sarebbe avvenuta solo due secoli dopo.

A scapito di tante differenze, i due autori sono direttamente influenzati dal modello boccacciano che con varie modalità e per varie ragioni – approfondite dall’autrice – è sia seguito che tradito da entrambi. Dopo uno sguardo d’insieme sulle caratteristiche del novellare dei due autori, Corina Anton ci propone, per ciascuno di essi, una serie de analisi puntuali di episodi centrati sulla paura: motivazioni, manifestazioni, conseguenze. Non è il caso né di enumerare né di presentare qui dettagliatamente questi episodi – che costituiscono la parte più originale, più raffinata e pluriprospettica, del volume. Non posso tuttavia non ricordare l’affascinante analisi della paura di Giulietta prima di essere sepolta viva, nella nota novella di Bandello che ha ispirato la celebre tragedia shakespeariana, o quella di Brancazio Malespini del Lasca che rimane per sempre allucinato di fronte a una finta visione macabra. Nell’analisi di questi episodi gli accorgimenti narratologici degli autori sono strettamente intrecciati alla presentazione delle manifestazioni psicosomatiche da loro descritte e ai rimandi alla cultura medica del tempo.

Una parte importante dello studio è dedicata alle varie sfaccettature – cliniche ma anche morali e sociali – delle novelle-beffa dei due autori. Il confronto – con esiti inaspettati e conseguenze profonde – avviene, come sempre, non solo tra i due autori ma anche tra ciascuno di essi e il modello boccacciano. Tra le non poche caratteristiche che differenziano le beffe dei due autori dal loro modello ne ricorderei soltanto due: la moltitudine delle beffe in questi autori rinascimentali (soprattutto nel Lasca) rispetto al numero ristretto del Decameron, e il loro comune tendere al male, a turpi fini e persino alla morte.

Per concludere questa mia breve e incompleta presentazione ricorderei solo alcune idee che attraversano il volume e che, esplicitamente o no, aiutano il lettore a capire meglio il Rinascimento e la sua dinamica: l’attenzione dei due autori per il reale e per l’autentico (le novelle di Bandello aspirano a raccontare casi realmente accaduti, le novelle del Lasca, collocate a Firenze, descrivono nei minimi dettagli i luoghi e i percorsi della città), dove l’autentico comprende anche la lussuria, il tradimento, l’inganno, la paura e la morte; e la sfida tra la Fortuna, che governa la maggior parte degli accadimenti, e la Ragione, che tende (senza sempre riuscirci) a risolverli restituendo ai protagonisti la pace e il normale inserimento nella società. D’altra parte, a venti anni di distanza l’uno dall’altro, si può dire che i due autori rappresentino due momenti consecutivi del Rinascimento maturo: il suo meriggio e il suo tramonto. Bandello tende sempre a correggere la realtà in senso morale con l’aiuto della Ragione, ha fiducia che questa può dettare la giusta misura, ispirare le giuste decisioni – se non dei personaggi, degli ascoltatori/lettori – per raggiungere quell’equilibrio che garantisce la vita serena dell’individuo e della comunità; nel Lasca la paura, il terrore, la crudeltà sfuggono alla Ragione, anzi possono intaccare la ragione, così che l’irrazionale irrompe spesso nella realtà; le novelle del Lasca non mirano quasi mai a un insegnamento morale, esse si propongono principalmente di destare stupore, di scioccare il lettore, aggiungendo all’eccezionalità dell’intreccio anche un sapiente gioco di luce-buio, di illusionismo ecc. Da un universo che l’uomo si illude ancora di poter controllare e il cui dinamismo tende all’equilibrio si passa a un universo disordinato, che sfugge non solo al controllo dell’uomo ma anche a una conoscenza certa e univoca. Insomma assistiamo al passaggio dal Rinascimento al Barocco.
E in fine una raccomandazione e un augurio. L’augurio è che il libro venga pubblicato o diffuso anche in Italia, perché sarebbe di grande interesse anche per i veri specialisti in materia; la raccomandazione è che l’edizione italiana goda anche di capitolo con le conclusioni, che manca in questa prima edizione romena.






Smaranda Bratu Elian
(n. 7-8, luglio-agosto 2021, anno XI)