«Vegan Holocaust»: Uno scenario futuro possibile, uno scenario futuro scongiurabile!

Salvatore Setola è un giovane della provincia di Caserta, laureato in Storia e Critica d’Arte. Da sempre interessato al rapporto tra le arti visive e la musica, ne ha fatto il suo motivo di studio e anche il leitmotiv della sua vita. Infatti, da oltre un decennio è uno dei reporter del webzine Ondarock, dove si occupa soprattutto di articoli di approfondimento e di taglio storico con la rubrica Juke-Box e coordina la sezione Pietre Miliari attraverso cui esprime la sua illuminante opinione sui pezzi musicali che hanno segnato la storia della musica. Con il Mucchio Extra ha pubblicato una serie di articoli in merito alle influenze delle avanguardie artistiche sulla musica rock. Con Tortuga pubblica una serie di articoli relativi non solo alla musica e all’arte, ma anche alla letteratura italiana.
Nel 2015 fa parte dello staff che lavora alla mostra dal titolo La luce vince l'ombra. Gli Uffizi a Casal di Principe, che si tiene negli spazi confiscati alla camorra e intitolati a don Peppe Diana. Dell’esposizione fanno parte venti importanti opere della galleria degli Uffizi di Firenze e si concentra soprattutto sulla pittura del Seicento di artisti napoletani o legati a Napoli e, comunque, «affascinati» dall'espressione di Caravaggio, ci sono opere eccezionali come Santa Caterina d'Alessandria di Artemisia Gentileschi, Carità di Luca Giordano, Vanità di Mattia Preti.
In collaborazione con Luca Buonaguidi, pubblica il libro Ambulance songs. Non dimenticare le canzoni che ti hanno cambiato la vita. Attraverso un’accurata selezione di brani musicali, viene fatta un’analisi approfondita di periodi storici, status emozionali generazionali, espressivismi sociali, il tutto condito da una narrazione morbida, quasi ammaliatrice, che a tratti si fonde con la poesia, affrontando le tematiche più disparate, dall’amore alla ribellione, dal dolore alla spiritualità, dalla follia alla malinconia. Il discreto successo riscosso spinge i due autori a pubblicare il secondo volume.





Sempre insieme a Luca Buonaguidi, con l’aggiunta di Girolamo De Simone e Fabio Donato pubblica L’urlo. I suoni senza voce di Luciano Cilio. È la triste storia di un musicista napoletano, Luciano Cilio, che tra gli anni ’70 e ’80 ha composto musica d’avanguardia, una musica rivoluzionaria, poco compresa e, che unita a una mancata volontà di omologazione e una precoce perdita della voce, lo ha portato al suicidio.





Nel 2021 c’è una svolta, complice la pandemia e sicuramente una sua adolescenziale passione per la letteratura distopica, da Herbert George Wells a Michel Houellebecq, passando per George Orwell, scrive e pubblica Vegan Holocaust, un romanzo che prende spunto da una realtà non proprio rosea e la proietta in un futuro da incubo.





Siamo nel 2089, a un secolo dalla caduta del muro di Berlino e a tre dalla rivoluzione francese, l’Europa, formata dalle vecchie nazioni della Comunità Europea, è ora uno stato federale, guidato dalla F.E.A., Federazione Europea Antispecista, che si ispira ai valori del veganismo antispecista. La popolazione si suddivide in tre categorie: i biomigliori, che vivono nella Zona 1, rappresentano l’élite e devono mantenere determinati standard per non retrocedere; i bioimperfetti, che sono al secondo posto, vivono nella Zona 2 e sono lo stato di mezzo, lo stato cuscinetto, qui c’è la categoria che aspira a migliorare per arrivare al primo livello, o che sta rovinosamente cadendo verso il basso; i bioperdenti, che sono l’ultimo stadio, vivono nella Zona 3, che nella descrizione ricorda l’urbanistica newyorkese, fatta di povertà e miseria e sono destinati alla sconfitta.
Nella Zona 1 sulla cupola digitale di ogni ecograttacielo scorrono continuamente scritte a caratteri cubitali «La purezza è efficienza. L’efficienza è merito. Il merito è felicità», praticamente una fusione di 1984 di Orwell e Times Square o Piccadilly Circus. Solo ai biomigliori è consentito guadagnare di più, raggiungere i più alti livelli culturali e nutrirsi con alimenti migliori. Per i bioimperfetti è più difficile, ma possono tentare la scalata al primo livello e taluni ci riescono a costo di grandi sacrifici. Per i bioperdenti è quasi impossibile il riscatto sociale. La F.E.A. impone una rigida alimentazione vegana e una vita fatta all’insegna del rispetto di tutte le forme di vita, tutte quelle che possono provare dolore o piacere, quelle che non sentono il dolore possono essere eliminate. L’autore si rifà al concetto, che fu suggerito provocatoriamente da Peter Singer nel suo saggio Animal Liberation del 1975 attraverso la sua teoria «Replaceability Argument», che prevede l’eutanasia neonatale e che viene applicato in quest’Europa del XXII secolo. Non ci si augura più buongiorno e buona fortuna, ma «In groppa al lupo e felice maiale» e si risponde «Viva il lupo sempre e felice maiale a lei». Facile capire il contrappasso per il lupo, ma il maiale? Perché felice maiale? Perché è stato l’animale più maltrattato nella storia e ritenuto immondo dalle varie religioni monoteiste, quindi un animale da riscattare.
Vegan Holocaust ha una struttura molto particolare, è suddiviso in 22 capitoli, ognuno staccato dall’altro e introdotto da un aforisma di un intellettuale, da Paul Watzlawick a Kurt Vonnegut, senza dimenticare Fëdor Michajlovič Dostoevskij, ma la peculiarità è che i protagonisti sono tutti morti e, come in una versione distopica dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master, raccontano del loro mondo, che per raggiungere una purezza ideale attraverso uno pseudorispetto verso tutte le forme di vita, con lo scopo di salvare la terra, finisce inesorabilmente per distruggerla innescando una paradossale apocalisse finale.
Il primo capitolo è un epitaffio che già preannuncia lo scenario a cui stiamo andando incontro «Tutto scorreva: la vita vagiva nel sangue e il sangue implorava altro sangue, (…) il mattino fioriva sul cadavere ancora fresco della luna, la notte drenava luce da un’ecatombe di stelle (…) Ma quando la Grande Mano sradicò il seme oscuro della natura liberandola dal giogo arcano della morte creatrice, la storia umana entrò nell’ultimo ciclo. (…) I frutti puri impazzirono. Del loro regno non resta che la voce muta degli estinti.» Da questo momento, ogni capitolo si innesta come un tassello di un enorme puzzle, dal biomigliore che, educato a non perdere mai, subisce un tracollo etico quando la ragazza lo lascia per un altro, il granello di sabbia ha inceppato il meccanismo perfetto; o la reporter biomigliore che decide di pubblicare il suo dossier sulle scoperte relative ai membri del consiglio di stato della F.E.A. e i membri dei consigli di amministrazione delle multinazionali vegan, nonostante il rischio fondato della macchina del fango; o ancora la bioperdente che decide di fare la cavia umana per le sperimentazioni neuro-etico-farmacologiche per sopravvivere; infine, l’ultimo uomo rimasto che si risveglia dopo essere stato ibernato e scopre che durante il suo «sonno» c’è stato un virus, che trasformava gli uomini in piante carnivore, le nepenthes, e scopre il passato.
La mano con la ruota sulla scritta in sanscrito e la croce celtica, che compaiono in copertina, sono i simboli della religione jainista, i seguaci di Jina, che in sanscrito significa vittorioso, che tendono a liberarsi dal ciclo delle esistenze e a eliminare il karman attraverso una serie di pratiche di austerità, come rispettare tutte le forme di vita, mangiare l’indispensabile per la sopravvivenza (la morte per fame è un grande merito), essere vegani, bere solo acqua filtrata, indossare perennemente una mascherina per non ingerire minuscole forme di vita fluttuanti nell’aria, non possedere niente tranne una scopa per rimuovere gli esseri viventi sul proprio cammino. Alla base c’è il concetto del non uccidere (in sanscrito amisha), ma anche di non mentire e mantenersi casti.





Vegan Holocaust non è un romanzo facile, non è un romanzo da leggere superficialmente, non si può leggere senza soffermarsi a riflettere sui vari capitoli, sulle citazioni che aprono ogni sezione, sulle disquisizioni che vanno dalla filosofia alla storia dell’arte. Particolarmente illuminante è la questione tra etica ed estetica: «La simbiosi tra il dominio dell’etica e quello dell’estetica non è mai un buon affare, produce soltanto effetti nefasti, perché man mano che il palcoscenico dell’etica si allarga, quel-lo dell’estetica si restringe, lasciando fuori dalla scena tutte quelle opere non conformi ai modelli valoriali desiderati. Nel Cinquecento si censurava la carne umana nuda, oggi la carne animale scuoiata o cucinata. Cambiano le motivazioni, il puritanesimo è identico.»
Qualcuno lo potrebbe vedere come un attacco ai vegani o agli ambientalisti, ma in realtà è piuttosto una costatazione di quanto le buone intenzioni possano trasformarsi in negativo durante il loro corso, di come l’uomo riesca sempre a sporcare, a necrotizzare, anche le cose più belle, ma soprattutto di come l’uomo abbia sempre bisogno di sentirsi superiore a qualcuno e sopraffarlo





Patrizia Ubaldl
(n. 12, dicembre 2021, anno XI)




Bibliografia e sitografia

1. Luca Buonaguidi, Salvatore Setola, Ambulance songs: Non dimenticare le canzoni che ti hanno salvato la vita, Arcana Lit. edizioni, Roma, 2019.
2. Luca Buonaguidi, Salvatore Setola, Ambulance songs: Non dimenticare le canzoni che ti hanno salvato la vita 2, Arcana Lit. edizioni, Roma, 2020.
3. Girolamo De Simone, Fabio Donato, Luca Buonaguidi, Salvatore Setola, L'urlo. I suoni senza voce di Luciano Cilio, Crac edizioni, Falconara Marittima (AN), 2020.
4. Salvatore Setola, Vegan Holocaust, Eretica edizioni, Buccino (SA), 2021.
5. Peter Singer, Animal Liberation, Harper Perennial, New York, 2009.
https://www.treccani.it/enciclopedia/jainismo/