Il «Paradiso riassunto» di Eliza Macadan

La mia vecchiaia
aspetta nello specchio
una mattina
rimarrò
con l’amore (p. 35)

Approssimandoci alla lettura del libro Paradiso riassunto di Eliza Macadan (prefazione di Marco Conti, Edizioni Joker, Novi Ligure, 2012), respiriamo una volontà di estetica minimalista che si esprime già nella copertina, semplice e sobria, una poco nota Composizione di Daniel Divrician, e nel titolo stesso di questa silloge di poesie. Il titolo, Paradiso riassunto, può in un primo momento echeggiare il grande poema filosofico dell’inglese Milton, ma in realtà non dobbiamo intraprendere questo tipo di lettura perché la silloge qui presente non ha molto di esistenzialistico, di chiaramente enigmatico frutto di una ricerca incessante e tormentata dell’autrice. Il «paradiso» che Eliza Macadan tratteggia in questa serie di liriche è un universo semplice, comune, quasi crepuscolare. Soprattutto, ed è forse questa la sua più grande ricchezza, è una qualcosa di reale, concreto, ossia non ha niente di utopistico. Questo paradiso che la scrittrice ci fa conoscere è però solo una porzione di esso, è solamente una delle sue interpretazioni poiché non è dato all’essere umano cogliere l’interezza e la complessità del creato. La silloge è pertanto una analisi attenta e interessante, ma parziale – e non potrebbe essere diversamente –, ecco svelato il motivo di «paradiso riassunto».

Il libro si apre con una scheda critica ben congegnata e particolarmente pertinente al contenuto della silloge nella quale il prefatore, Marco Conti, va individuando la concretezza delle immagini che la poetessa mette in scena e la loro validità come riflesso del quotidiano. Le liriche presenti nel testo sono tutte molto brevi e il linguaggio utilizzato, scarno e condensato, ci immette direttamente all’interno della materia che la poetessa tratta. Potremmo stare ad analizzare e a disquisire ore intere su ciascuna poesia, ad esempio in quella che apre la raccolta leggiamo: «ogni giorno/ premo il pedale/ del perdere o vincere/ per sapere/ dove mi trovo/ la mia identità di plastica/ arriva con un treno/ di notte» (p. 11). La poetica semplice e contemporanea, quasi di marca gozzoniana, descrive le piccole cose che la circonda, sviscerando però anche i suoi pensieri, le sue considerazioni. L’identità della poetessa – sempre alla ricerca di un «perdere o vincere», ossia di una decisione finale ben definita, è «di plastica» cioè falsa, illusoria, sostitutiva e solo di notte, con il buio, la tranquillità che infonde pace riesce a mostrarsi per quel che realmente è. Non solo. Giunge «con un treno», ossia velocemente, senza guardare ostacoli, perentoriamente. In Gli alberi ritorna il tema dell’identità: niente di definito e di chiaro, qualcosa di torbido e di indecifrabile: «stai girando/ da tutte le parti/ i documenti d’identità/ dei morti» (p. 44).
In La vita la poetessa affronta il tema della felicità e della difficoltà del suo raggiungimento, chiudendo la poesia con un animo di esemplare fraternità verso persone indigenti: «tendo un biscotto/ a una mendicante bosniaca» (p. 26). In alcune liriche Eliza Macadan non manca di far riferimento a una sessualità individuale, una meta-sessualità priva di un senso compiuto: pornografia, masturbazione, prostituzione che fornisce al lettore un panorama si vivido e realistico pur nella sua tristezza.

In Scrivi è enunciata la poetica di Eliza Macadan: non perdere momenti, idee, ispirazioni… buttale giù per iscritto. Lettura e scrittura rappresentano per la poetessa due attività centrali del suo esistere ed è lei stessa a sfatare una falsa credenza che i poeti, superbi per il loro genio, non leggano i propri colleghi: «una poetessa legge/ i versi di un’altra poetessa» (p. 50), segnale positivo e di speranza: finché c’è gente che legge/ascolta/dialoga con altra gente, allora si preserva il senso di comunità dal quale tutto nasce. In In fondo all’Europa la poetessa si mostra un’attenta reporter di crimini di guerra, fautrice di una poesia civile ed impegnata in difesa della memoria storica: «io continuo a scrivere poesia/ come se nulla fosse successo» (p. 64). In Qualsivoglia è contenuta, invece, una brevissima esortazione che fa seguito allo scoraggiamento della poetessa di non essere ascoltata degnamente dal suo interlocutore.
Non manca neppure una velata denuncia sociale a quelli che sono i «meccanismi dell’oggi» incentrati su logiche di mercato, sistemi di compra-vendita, rendite, affitti ossia tutto basato sull’economia e il denaro, come ben si evince nella lirica Non c’è casa dove, appunto, la casa (sinonimo di proprietà, sicurezza e famiglia) è stata sostituita (a seguito di una crisi, di una decadenza, intuiamo) da un affitto, termine che invece denota la dipendenza da qualcun altro.
Un aspetto che mi ha molto interessato della silloge in questione è l’attenzione della poetessa per la parzialità della materia; si riferisce spesso a parti, porzioni, componenti di un qualcosa – spesso di qualcosa non concreto, utilizzando dunque in senso metaforico- come le «briciole di pensieri» (p. 20), i «pezzi di incubo» (p. 15), un «pezzo di cielo» (p. 60). Tutto questo, in effetti, trasmette un senso di residualità, di mancanza, d’incompletezza –di tendenza, mi ripeto, gozzaniana e più ampiamente crepuscolare – che fa concludere la poetessa in una lirica in questo modo: «il paradiso è rimasto senza foglie/ e senza di noi» (p. 30). Per questo il paradiso non può esser «raccontato» e reso in immagini che in maniera sommaria, imprecisa, parziale. Il «riassunto» che Eliza Macadan ci fornisce è senz’altro degno e lodevole nel dar voce a questa parzialità del tutto.


Lorenzo Spurio



ingressi delle case
foglie corrono
dementi
la realtà delle tasche
sto tentando
un’ultima volta
corro anch’io
la paura insieme a me
casa di pietra
legno caldo
le mie mani sempre fredde
il tuo cuore lo stesso
non torno più a casa
l’ingresso è bizantino
scheletri metallici spaccano le vetrine
di sera
il cemento
l’amore bauhaus


*


la vita
mi fa male
nel petto
e non so se domani
avrò voglia
di aprire ancora gli occhi
mi manca la felicità
impietrita
sui visi degli zingari
mio figlio mi chiede
cosa vuol dire 2000 anni
mamma?
tendo un biscotto
ad una medicante bosniaca
una turista ucraina
spalancava gli occhi
ad un gruppo statuario
nel piazzale della stazione


*


una felicità – due felicità
una quiete vocale
rovesciata sul letto matrimoniale
axis mundi
lapide demografica
colma
la libertà si vende
in forma contrattuale
a cena
piangono candele
in un rituale
ti porto
almeno un verso ogni sera
snodo sguardi intontiti
esorcizzo con le dita
la paura esistenziale
lo sguardo verde
inonda
la pagina bianca


*


matematicamente
sto girando una lacrima
da tutte le parti
la moltiplico
in una tipografia clandestina
sto stampando
due sorrisi
sto girando le spalle
al mare
cento volte all’anno
vado in giro
fra le automobili
cariche di sesso sudato
di canicola e oblio



(n. 9, settembre 2012, anno II)