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Definizioni d'autore per «lo Zingarelli 2015». (E cercasi editore per lessico culturale italo-romeno)
La lingua è la casa dell’uomo e quanto più articolata e differenziata è la prima, tanto più ampia e poliedrica è la seconda. La filosofia del Novecento ha maturato acquisizioni di prim’ordine sul linguaggio, per le quali – al di là di differenze talora radicali – un punto sembra comune a tutte: la quasi coincidenza di mondo e linguaggio. «Il linguaggio – scrive Gianni Vattimo – è uno degli strumenti fondamentali attraverso cui noi accediamo al mondo; non accade che prima noi vediamo il mondo e poi troviamo le parole per descriverlo, perché, come mostrano le nostre esperienze anche a livello psicologico, se non abbiamo la parola, in un certo senso non vediamo la cosa. Secondo Heidegger, è soprattutto il linguaggio quello che ci dà accesso al mondo. Noi ereditiamo un insieme di capacità per vedere il mondo, ereditando un certo linguaggio, la nostra lingua naturale, che però non è naturale in quanto eterna; è naturale nel senso che è la nostra lingua madre, la lingua che impariamo quando siamo bambini. Ebbene, questo linguaggio, che non è sempre uguale – le lingue sono mai state tutte eguali nel corso della storia – costituisce un fatto naturale e storico insieme. In quanto fatto storico ha dei momenti principali in cui ovviamente cambia».
Mondi come metamorfosi: parole nuove e parole da salvare
Nulla di quanto avviene nell’ambito del linguaggio è innocente o neutro: cambiamenti di civiltà sono, al tempo stesso, cambiamenti di linguaggio. Per questo motivo, ogni lavoro attorno a quel patrimonio vivo e cangiante che è la lingua va molto al di là del merito tecnico che lo caratterizza, suscitando implicazioni di ampia portata. È quel che vien fatto di pensare prendendo in mano quell’autentico gioiello editoriale che è lo Zingarelli 2015, appena pubblicato da Zanichelli, vocabolario che non si limita alla scrupolosa registrazione esplicativa di tutti i vocaboli della nostra lingua, ma compie un’operazione culturale di più vasto respiro. Vediamone alcuni aspetti.
Il mondo cambia, la scienza fa nuove scoperte, la tecnologia introduce nuovi strumenti, l’esperienza della vita attinge ambiti e aspetti finora sconosciuti. Tutto ciò non può non cambiare anche la lingua. lo Zingarelli 2015 ne tiene conto e accoglie circa 500 nuove parole e altrettanti nuovi significati: si tratta di termini e locuzioni nate per innovazioni culturali, legislative o tecnologiche, come agricampeggio, braceria, ciclopedonale, nomofobia, redditest, svapare, tahina, collocatario, gasiero, diritto all’oblio; in altri casi si tratta di parole e locuzioni provenienti da altre lingue come shibboleth, phablet, âgé, selfie, kaizen, wedding planner.
Mondi sorgono e muoiono. Quando finisce un mondo, finisce anche una lingua: pensiamo alla civiltà contadina, ai suoi dialetti, e alle sue tante parole che oggi quasi nessuno conosce più. Così questi cambiamenti – inevitabili come l’incessante fluire del tempo, che la coscienza dell’uomo rimodula in storia – fanno sì che altre parole finiscano nell’ombra, fin quasi a scomparire. Per questo lo Zingarelli 2015 segnala come da salvare oltre 3.000 parole, il cui uso si è fatto meno frequente perché televisione e giornali troppo spesso privilegiano i loro sinonimi più comuni, ma meno espressivi: ad esempio coriaceo, ingente, varco, onere, ledere, perorare… Nel dizionario vi sono inoltre 964 sfumature di significato, 44.600 locuzioni e frasi idiomatiche, mentre la versione digitale contiene oltre al testo integrale anche l’Enciclopedia Zanichelli (aggiornata all’aprile 2014), il dizionario della lingua italiana Tommaseo Bellini (1865-1879) e l’Analizzatore morfologico che fornisce l’analisi grammaticale delle forme coniugate dei verbi e delle forme flesse di sostantivi, aggettivi, pronomi.
Fin qui, il compito di un serio dizionario. Ma ora si fa un passo in avanti e si prova a scavare nell’esperienza delle parole, attingendo alla vita di coloro che quelle parole esprimono esistenzialmente.
«Definizioni d’autore». Citazioni e riprese in prospettiva italo-romena
lo Zingarelli 2015 ha invitato importanti protagonisti italiani del mondo della cultura, della scienza, dello sport, del costume a scrivere la definizione di una parola fortemente legata alla loro personalità e al loro lavoro. Sono nate così le «Definizioni d’autore», 55 brevi descrizioni, narrazioni, punti di vista personali sul significato di una determinata parola, inseriti a corollario nella scheda lessicografica della voce di riferimento nel vocabolario. Alcuni esempi? Francesco Guccini scrive la voce cantautore, Mina scrive di canto, Carla Fracci di eleganza, Cesare Prandelli di generosità, Enrico Mentana di obiettività, Gianni Morandi di ragazzo, Gabriele Salvatores di realismo, Oliviero Toscani di sguardo, e così via.
L’idea è suggestiva e a noi fa piacere esemplificarla secondo una prospettiva tematica che può non solo arricchire l’orizzonte di interessi proprio della nostra rivista, ma anche offrire lo spunto per nuove iniziative editoriali che volentieri ci incaricheremmo di tenere a battesimo. La nostra rivista, infatti, assume lo scenario della interculturalità – nello specifico asse linguistico italo-romeno – come qualificante la sua ragion d’essere, e per questo la ripresa di alcune «definizioni d’autore» de lo Zingarelli 2015 può fungere da spunto non solo per ulteriori meditazioni ma per una vera e proprio proposta editoriale originale e di sicuro interesse.
Ecco dunque alcune voci qualificanti per una rivista come la nostra, ad iniziare da una vera e propria colonna di senso, firmata da un grande della cultura italiana che più volte ci siamo onorati di ospitare nelle nostre pagine, ossia Claudio Magris e la sua Frontiera: «Quando ero un ragazzino – sono nato nel '39, a Trieste – la frontiera, vicinissima, divideva in due il mondo. Era la Cortina di Ferro, che vedevo quando andavo a passeggiare sul Carso; una frontiera invalicabile, dietro la quale c'era un mondo inaccessibile; il mondo di Stalin, l'Est, così spesso ignorato e disprezzato. Ma dietro quella frontiera c'era un mondo che conoscevo benissimo, perché aveva fatto parte dell'Italia sino alla fine della guerra. Dietro la frontiera c'era qualcosa insieme di straniero e di mio; capivo che facevo parte anche di quel mondo dietro di essa, che la letteratura è un viaggio fra il noto e l'ignoto e che si è sempre, in qualche modo, anche dall'altra parte».
Frontiera è anche la lingua, luogo di transito da un mondo a un altro, come ben sa chi fa opera di traduzione. Ecco Ilide Carmignani e il suo Tradurre: «Tradurre significa per me leggere e scrivere. C’è innanzitutto il piacere della lettura, di vivere altre vite sfuggendo attraverso la letteratura ai limiti della propria esistenza. E c’è il piacere della riscrittura, di dare a una voce straniera, la voce particolarissima di uno scrittore o un poeta, le parole dell’italiano, la propria lingua madre, in un ininterrotto andirivieni fra due lingue, due realtà irriducibilmente diverse. E c’è in ogni momento l’onore e la responsabilità di sapere che la nostra personale interpretazione di traduttori, nascosti come sempre nello spazio bianco fra le righe, sarà alla fine quel che leggeranno i lettori».
Ogni lingua è anche una forma e ogni forma individua uno stile: non a caso si parla di «stile» anche quando si vogliono indicare determinati tratti di un popolo e del suo modo di fare, che lo rendono riconoscibile e inconfondibile (“stile italiano”, “stile romeno”…). Ecco Giorgio Armani con il suo Stile: «È un termine breve, eppure come pochi sa comprendere, in uno spazio così ridotto, tanti significati. È qualcosa di evidente e, insieme, di sotterraneo, di silenzioso, ma anche di eloquente. Per me è un codice totale, che obbliga alla coerenza nel momento in cui chiede il lampo dell’inventiva, la sorpresa della creatività. A volte lo stile può essere una costrizione, una regola che tollera poche digressioni e cortocircuiti. Lo stile infatti ti fa riconoscere e riassume il gusto, le tendenze, le culture che animano il mondo. Il bello è che non è generale, pur essendo assolutista verso chi lo riconosce, ma democraticamente molto personale».
E adesso una voce che trova ampio spazio di esperienza nell’universo socio-culturale sia italiano che romeno: Ironia. La firma Carlo Verdone: «L’ironia è una potente e indispensabile medicina per affrontare la vita. Non costa nulla ma è preziosa: è un approccio filosofico alle nostre vicende quotidiane e ridimensiona ciò che è “troppo” con un sorriso, una risata, una considerazione divertente. L’ironia è sintomo di grande intelligenza e sensibilità: combatte la presunzione, smaschera la mitomania, esercita effetti benefici, a lungo andare, su chi la subisce. E previene in molti casi un atteggiamento depressivo. L’autoironia rende senz’altro migliore chi è capace di praticarla. Ma attenzione: l’abuso di ironia è sinonimo di noiosa e stancante superficialità. Come tutti i potenti ‘farmaci’, va usata con estrema misura e tempo teatrale perfetto».
E ancora una voce, tanto presente nel vissuto di molti italiani e centrale anche nella sensibilità romena: Nostalgia, di Paolo Di Stefano. «Mio padre, siciliano, ha vissuto più di cinquant’anni in Svizzera, ogni anno dicendo di voler tornare, l’anno dopo, al suo paese. La nostalgia è un turbamento, talvolta molto grave, dell’immaginazione, una vera e propria malattia, non è lo spleen romantico, non è l’inutile rimpianto di un passato perduto: è il dolore provocato da una separazione irrimediabile, fisica, sentimentale, cognitiva. Si può avere nostalgia anche di un luogo desiderato e mai visto. È l’incapacità di adattarsi in una società in cui invece bisognerebbe per forza integrarsi. Che si tratti di una malattia (forse della malattia) del nostro tempo – tempo di immigrazioni, di mutamenti repentini e dunque di spaesamenti ontologici – è fuori discussione».
Chiudiamo con un’ultima parola, rivelatrice di come l’esperienza possa assumere profondità insospettabili quando si disloca su punti di vista inediti. È la parola Angolo, a firma di Andrea Tarabbia: «Nelle case degli ortodossi c’è ancora l’”angolo rosso”: il punto della casa dove si celebra il culto delle icone sacre. Si usa appendere trasversalmente un’icona nel punto di incontro tra due muri – creando in questo modo una quinta parete e introducendo un altro lato, un’altra prospettiva nella stanza. Come il quinto angolo aggiunge una dimensione, un oltre, così la letteratura deve secondo me organizzare una visione laterale del mondo, raccontando qualcosa da un punto di vista che prima non c’era, non era così. Aggiungere una quinta dimensione cognitiva, estetica e politica al mondo per come lo conosciamo; guardarlo, in un certo senso, dall’angolo: questo è, per me, il grande compito dei libri».
Le parole che contano: cercasi editore per lessico interculturale italo-romeno
Iniziative originali come quella delle «Definizioni d’autore» de lo Zingarelli 2015 offrono lo spunto per altre proposte, ad oggi non ancora realizzate: ad esempio, quella di un lessico italo-romeno, a due o più voci e in edizione bilingue, costituito da un grappolo di parole centrali tanto nella cultura ed esperienza sociale italiana quanto in quella romena. Prenderebbe così forma un ricchissimo paesaggio, dove differenze marcate e comunanze sorprendenti tra questi due universi umani e culturali possono aiutare a comprendere non solo aspetti importanti dell’attuale coabitazione, soprattutto in Italia, tra italiani e romeni, ma anche a conoscerne gli sfondi e gli assunti di base, così spesso ignorati e, per questo, tanto più capaci di generare incomprensioni reciproche. Un lessico interculturale italo-romeno corrisponde a una domanda delle due nostre società, italiana e romena. Il sottoscritto e la nostra rivista lanciano la proposta all’editore che, insieme a noi, vorrà metterci mano. Tanto in Italia, quanto in Romania.
Giovanni Ruggeri
(n. 11, novembre 2014, anno IV)
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