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«Grandissima e smisurata paura». Una proposta di lettura di novelle del Cinquecento
Il volume «Grandissima e smisurata paura». Una proposta di lettura di novelle del Cinquecento di Corina Anton, docente di lingua e letteratura italiana presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bucarest, è apparso qualche mese fa presso la Casa Editrice Casa Cărții de Știință di Cluj-Napoca. Propone una serie di studi condotti su un corpus di novelle cinquecentesche accomunate dalla centralità della rappresentazione della paura (cfr. p. 8) e si compone di nove capitoli (pp. 13-262), preceduti da una Premessa (pp. 7-12) e seguiti da una ricca Bibliografia (pp. 263-273).
La ricerca di Corina Anton è condotta su una selezione di novelle focalizzate sulla paura inflitta al personaggio da una situazione straordinaria, di cui egli non ha nessun controllo, e si concentra sulla maniera in cui si articola e si esprime tale emozione (pp. 9-10). Sono prese in discussione novelle che appartengono a due autori diversi per quanto riguarda le loro vicende umane e letterarie, lo spazio geografico di provenienza (settentrionale l’uno, fiorentino l’altro) e le loro poetiche, ma accomunati dallo stesso interesse per il novellare «e, in questo concreto caso, per la ricorrente rappresentazione delle manifestazioni di una ‘grandissima e smisurata paura’, secondo la formula del Lasca, oppure ‘grande e spaventevole’, a dirla con Bandello» (p. 10): Matteo Bandello (fine 1484 o 1485, Castelnuovo Scrivia, in Piemonte – 1561, Agen, in Francia) e Antonfrancesco Grazzini, detto il Lasca (1504, Firenze – ivi 1584).
Nella Premessa, l’autrice confessa che il volume che presentiamo è nato «da una curiosità e da una perplessità risalenti al [suo] primo contatto, più di due decenni fa, con il Decameron di Giovanni Boccaccio», quanto notava «nell’impareggiabile capolavoro di Boccaccio, che generalmente gode della fama di essere un classico del comico, la presenza di elementi inquietanti, di toni foschi e di atti violenti, spietati e crudeli, non tanto periferici da scartare a favore di una visione integralmente serena e giocosa» (p. 7).
Il primo capitolo, La novella cinquecentesca: studi, ipotesi, teorie (pp. 13-34), si sofferma su alcuni dei tanti studi sulla novella italiana rinascimentale pubblicati negli ultimi decenni, analizza alcune definizioni della novella e le caratteristiche di questa, sottolinea che numerosi studi «collocano il Decameron in un punto fisso centrale da cui è possibile muoversi sia indietro, in direzione della tradizione del sermo brevis medievale, sia avanti, verso le ultime produzioni che nel Seicento esauriscono il paradigma boccacciano» (p. 20).
Nel secondo capitolo, Per una definizione della paura nel Cinquecento (pp. 35-57), sulla base di fonti «attinenti a due tipi di discorsi extra-letterari: il discorso filosofico e quello medico, non sempre e non necessariamente distinti, anzi, che spesso s’intersecano, si completano o addirittura si sovrappongono», sono indicate, «seppur schematicamente, le principali considerazioni formulate sulla paura da alcuni autorevoli nomi della cultura europea allo scopo di fornire al lettore un’idea della fisionomia cinquecentesca della suddetta emozione» (p. 39).
La prima parte (Matteo Bandello, pp. 58-88) del terzo capitolo, Poetica ed emozione in due novellieri cinquecenteschi (pp. 58-112), analizza la raccolta bandelliana, che si presenta come aperta, moltiplicabile ed estendibile all’infinito, come un vortice di «casi» e «accidenti», di tanti eventi straordinari e sensazionali che accadono tutti i giorni e che supererebbero la capacità umana di processare e integrare tanta copia di materiale (cfr. p. 61), presentando «al lettore un mondo caleidoscopico, con una grande diversità di casi e di personaggi che sperimentano tutta la gamma delle emozioni e di cui non pochi attingono al patologico» (p. 73). Secondo l’autrice, «[p]er Bandello regolare gli impulsi e subordinarli alla ragione è una mera questione di volontà e di consapevole scelta» (p. 82). «In tale logica, Bandello non si stanca mai di illustrare con esempi la pericolosità delle passioni irrazionali» (p. 87). «Nei confronti degli eccessi, l’atteggiamento di Bandello è da moralista e predicatore» (p. 88).
La seconda parte (Antonfrancesco Grazzini, detto il Lasca, pp. 88-112) del terzo capitolo analizza le novelle di Antonfrancesco Grazzini, detto il Lasca, tra le più interessanti del Cinquecento «per quanto riguarda il rapporto con la novella decameroniana, i temi affrontati, la maniera in cui si rielaborano tipologie e situazioni boccacciane» (p. 89).
Nel quarto capitolo, intitolato Un’aggiunta bandelliana alla storia degli «infelicissimi amanti» (pp. 113-135), è analizzato, per primo, un brevissimo brano della celeberrima novella di Romeo e Giulietta presente nella versione di Matteo Bandello e assente invece nella versione di Luigi Da Porto, il momento in cui Giulietta, prima di ingerire la polvere che la dovrebbe riportare tra le braccia di Romeo, subisce un attacco di panico causato dalla prospettiva di trascorrere una notte e un giorno nella tomba degli avi, vicino al recente cadavere del cugino Tebaldo, di cui ha un’angosciosa e macabra visione (cfr. pp. 113-128). Seguono poi l’analisi della raffigurazione di altri cadaveri delle novelle di Bandello (cfr. pp. 128-133) e il breve sottocapitolo «Un’impossibile riconciliazione» (pp. 133-135).
Nel quinto capitolo, Le beffe di «messer l’asino» e «monna simia» (pp. 136-171), l’autrice sposta la sua attenzione per primo sulla novella della cosiddetta «beffa» asinina, una novella particolarmente interessante e ricca di spunti, che racconta un episodio di psicosi collettiva in cui i religiosi si autosuggestionano a vicenda fino al momento in cui, per via dell’irriverente atto naturale dell’animale, si rivela la realtà (pp. 136-142), ma si sofferma anche sul topos dell’asino nel Cinquecento (pp. 142-144), sugli asini bandelliani (pp. 144-148), e sulla ragione, l’immaginazione e il riso carnevalesco (pp. 148-157). Concludono il capitolo le piacevolezze di «monna simia» (pp. 158-171), in cui l’autrice analizza un’altra novella bandelliana: in questa novella è un animale molto simile all’uomo – una scimmia – a creare una situazione di confusione e spavento che alla fine si risolve sempre nel riso.
Nel sesto capitolo, Paura del sovrannaturale e beffa in Bandello (pp. 172-203), sono discussi, in ordine, il legame fra il razionalismo e il rifiuto del sovrannaturale nelle novelle di Matteo Bandello (pp. 172-180), le peculiarità della beffa bandelliana (pp. 180-184), la beffa paurosa fra orchestrazione e coincidenza (pp. 184-201) e l’«arte dubbiosa» della beffa (pp. 201-203).
Dal settimo capitolo, Le paure ‘artistiche’ del Lasca (pp. 204-230), leggiamo che per Antonfrancesco Grazzini, detto il Lasca, la beffa fa parte di un programma narrativo in cui il lettore deve essere affascinato, come afferma Giorgio Bertone in Strutture narrative e strutture teatrali nelle «Cene» del Lasca (1978: 76), «dal virtuosismo illusionistico dei protagonisti, dalla loro abilità a realizzare visivamente e ‘verisimilmente’ anche l’incredibile» (cfr. p. 206). In questo capitolo, l’autrice presenta l’allegra e spregiudicata brigata di artisti arguti, gaudenti e intenti a godersi la vita, che si distingue tra i beffatori grazziniani (pp. 207-210), il beffato fra irrisione e punizione (pp. 210-218), il materiale di scena laschiano (pp. 218-225), il modo di raccontare la paura (pp. 225-230).
Nell’ottavo capitolo, La controbeffa letale: paura, autorità e giustizia (pp. 231-248), sono analizzate le novelle I 7 del Lasca e IV 17 di Matteo Bandello, che raccontano beffe seguite simmetricamente da controbeffe sadiche, le cui conseguenze superano di gran lunga quelle della beffa iniziale, nell’intento di dimostrare che la novella rinascimentale aggiunge alla controbeffa un sadismo e un’efferatezza poco esplorate in quella decameroniana (cfr. p. 233), avviandosi così verso gli eccessi sanguinosi della narrativa breve barocca (cfr. p. 248).
Nell’ultimo capitolo, Wiccafobia, pneumatifobia e altre fobie in una novella del Lasca (pp. 249-262), è analizzata la novella I 9 de Le cene del Lasca, in cui l’interesse del Lasca per il tenebroso argomento della wiccafobia (paura delle streghe e delle malie), lo conduce a fare della paura stessa la protagonista della novella, eliminando la beffa quale meccanismo provocatorio.
Non possiamo non menzionare la ricca Bibliografia (pp. 263-273), raggruppata in Testi (pp. 263-265), Studi e articoli (pp. 265-273) e Sitografia (p. 273).
Si tratta in conclusione di un volume estremamente interessante, che si legge con interesse e con piacere nello stesso tempo, e auguriamo a esso il successo che merita.
Elena Pîrvu
(n. 9, settembre 2021, anno XI)
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