La rivista «Italica Wratislaviensia» dedica un numero a «Donne del/nel teatro italiano» Confesso di aver letto con molto piacere il volume 10 (2) della rivista «Italica Wratislaviensia» grazie al collega Daniel Słapek, dell’Università di Breslavia (Polonia), uno dei partecipanti al X Convegno Internazionale di italianistica dell’Università di Craiova, Lingua e letteratura italiana nel presente e nella storia, del 14-15 settembre 2018. Si tratta di un interessantissimo volume, curato da Monika Gurgul, Monika Surma-Gawłowska e Teresa Megale, che riunisce 18 contributi presentati al Convegno Internazionale «Donne del/nel teatro italiano: nodi storici, pratiche d’arte e di vita», organizzato dal Dipartimento d’Italianistica dell’Università Jagellonica di Cracovia, del 16-17 novembre 2018, raggruppati in due parti: Parte I: secoli XVI–XVIII, Parte II: secoli XIX–XXI, cui segue una recensione. Il saggio introduttivo della prima parte, Il professionismo delle attrici: stato degli studi e nuove domande (pp. 15-35) di Teresa Megale, analizza la rivoluzione prodotta dall’apparizione delle attrici sulla scena, nella seconda metà del Cinquecento, «alla luce degli avanzamenti delle ricerche e degli studi intorno a quel complesso mondo artistico universalmente noto come Commedia dell’Arte» (p. 16). Marzia Pieri, nel saggio Il pubblico femminile a teatro in età moderna (pp. 37-49), descrive, fra l’altro, come la presenza delle donne a teatro «cresce e si afferma nel ’700, quando cominciano a diventare le depositarie principali del buon gusto e del sentimento» (p. 49). Nel contributo Vittoria Piissimi zingara medicea: analisi di un’«interpretazione» (pp. 51-64), Antonia Liberto riflette e decodifica, usando fonti di varia natura, l’interpretazione de La Zingana, che l’attrice Vittoria Piissimi propose a Firenze nel 1589 con la Compagnia dei Gelosi, in occasione del matrimonio del Granduca Ferdinando De Medici con Cristina di Lorena. Bernadette Majorana, nel saggio L’anti-cristiana. Sulle attrici professioniste della prima età moderna (pp. 85-101), analizza i contrasti destati dalla comparsa della donna in scena, nel quadro della Commedia dell’Arte, nella seconda metà del Cinquecento. Questi contrasti «vengono indagati attraverso la trattatistica morale del tempo, soffermandosi infine sull’assimilazione fra attrice e prostituta proposta in un corposo trattato del 1646 di G. D. Ottonelli» (p. 101). Michela Zaccaria, nel contributo Diana, Aurelia e le altre: attrici e capocomiche dell’ultimo duca di Mantova (pp. 103-117), presenta l’attività delle capocomiche Teresa Costantini, Angela Paghetti, Colomba Coppa al servizio di Ferdinando Gonzaga-Nevers, ultimo duca di Mantova e generoso mecenate. Elisa Novi Chavarria, in Il teatro dellee perle monache (Napoli, secolo XVIII) (pp. 119-133), “prova a far luce su tempi, modalità e contenuti dell’offerta teatrale dei monasteri femminili napoletani agli inizi del secolo XVIII, in particolare del monastero delle francescane di S. Chiara” (p. 133). Il contributo Il mondo alla roversa, ovvero il potere delle donne nella Russia di Elisabetta Petrovna e Caterina II (pp. 147-160) di Tatiana Korneeva si occupa della trasposizione del dramma Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano di Carlo Goldoni nella Russia di Elisabetta Petrovna e di Caterina II che rappresenta il reale scenario politico con il quale si confronta la finzione goldoniana (cf. p. 148). Nel saggio Performatività e improvvisazione: l’artista Teresa Bandettini Landucci (pp. 161-174), Susanne Winter presenta la figura di Teresa Bandettini, ballerina e poetessa e soprattutto un’improvvisatrice celebre alla fine del Settecento, concentrandosi su due aspetti a suo avviso strettamente collegati e ugualmente rilevanti nel processo di emarginazione di Teresa Bandettini nella memoria culturale: essere donna ed essere improvvisatrice (cf. p. 162). La parte I del volume, dedicata ai secoli XVI–XVIII, si chiude con il saggio di Annamaria Corea, Donne «compositrici» di balli pantomimi in Italia fra Sette e Ottocento (pp. 175-192). «Il saggio descrive alcuni aspetti della vita e dell’attività artistica di Anna Binetti, Maria De Caro e Giovanna Campilli, “prime ballerine” vissute fra la seconda metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, con il fine di mettere in luce la loro pratica di coreografe in un’epoca che vedeva questo mestiere riservato per lo più agli uomini» (p. 192). La Parte II del volume, dedicata ai secoli XIX-XXI inizia con il saggio introduttivo Dopo l’Ottocento delle attrici, qualche punto fermo sulle attrici italiane del Novecento (pp. 195-222) di Laura Mariani. Come riconosce l’autrice, «il saggio punta sull’individuazione di alcuni snodi fondamentali: il lascito ottocentesco, ricco sia dal punto di vista del linguaggio che da quello socio-culturale, il dopo-Duse, che registra da un lato la nascita della specificità italiana dell’attore-artista e, dall’altro, la crisi del capocomicato femminile; la nascita della regia italiana nel secondo dopoguerra e la reazione di alcune attrici che puntano sulla ri-creazione della realtà, come Anna Magnani, che va riconquistata alla storia del teatro; la rottura operata dal Nuovo teatro e la messa in discussione sin della parola attrice, con sconfinamenti nei campi della regia e della drammaturgia» (p. 222). Nel saggio Due regine per un’attrice: Maria Stuarda e Elisabetta I nell’interpretazione di Adelaide Ristori (pp. 223-237), Francesca Simoncini «analizza alcune scene di Maria Stuarda di Friedrich Schiller e di Elisabetta I regina d’Inghilterra di Paolo Giacometti interpretate da Adelaide Ristori. Attraverso un’attenta comparazione tra fonti testuali (memorie, copioni, testimonianze) e fonti iconografiche (quadri, fotografie, incisioni) vengono ricostruiti i movimenti di scena e la gestualità usati dalla Grande Attrice per delineare e rendere scenicamente i caratteri e le psicologie delle due regine rivali» (p. 237). Anita Kłos, in Alla ricerca di un capolavoro. Il teatro e la traduzione nelle lettere inedite di Sibilla Aleramo a Emilia Szenwicowa (pp. 239-256) analizza i momenti della corrispondenza tra Sibilla Aleramo e Emilia Szenwicowa, giornalista e traduttrice polacca, che si riferiscono al teatro. Il contributo di Anna Barsotti, Ripensare a Cani di bancata di Emma Dante. I travestimenti androgini di Mammasantissima (pp. 289-305), riflette su Emma Dante, artista polivalente. «L’esame del suo spettacolo Cani di bancata (2006) intende mettere in luce temi e stili connessi a un femminile che esula dal gender (in senso stretto) ma capace di farne la metafora di un mondo e di una diversità umana che, attraverso uno sguardo complice e dissacrante, ci coinvolge e ci turba» (p. 305). Il saggio Corpo-grafie di donna: un matri-archivio del corpo danzante, pensante, migrante (pp. 307-322) di Annalisa Piccirillo interroga, «attraverso una metodologia “matri-archivistica”, la memoria dei ruoli che hanno “coreografato”, e quindi costruito, la rappresentazione del femminile entro e oltre la scena del teatro-danza italiano; l’intento è quello di discutere le sperimentazioni coreografiche in cui è, invece, la donna che danza e fa danzare sé stessa attraverso la propria scrittura corporea – qui proposta come corpo-grafia» (p. 321). Il volume si chiude con la recensione di Jadwiga Miszalska, Società letteraria delle donne tra Italia e Polonia. Anita Kłos (2018). Apologia kobiecego ducha. Sibilla Aleramo i jej związki z polską kulturą literarcką pierwszej połowy XX wieku. Lublin, Wydawnictwo Uniwersytetu Marii Curie-Skłodowskiej (pp. 325-334). Dalla dettagliata recensione di 10 pagine, abbiamo modo di sapere che il libro di Anita Kłos, italianista, docente dell’Università di Lublino, copre un arco di circa 40 anni e ricostruisce i numerosi contatti che la scrittrice italiana Sibilla Aleramo ebbe con diversi rappresentanti della vita letteraria polacca a partire dal primo decennio del Novecento (cf. p. 326). Secondo Jadwiga Miszalska, «Anita Kłos ci propone un libro affascinante, in quanto sa unire nel volume un solido lavoro scientifico con il racconto delle storie personali, intime delle protagoniste della cultura italiana e polacca, dando al testo una vivacità da reportage» (p. 333).
Elena Pîrvu |