Cioran, lo squartatore misericordioso

«Siamo tutti dei commedianti: sopravviviamo ai nostri problemi»
(Cioran, Sillogismi dell’amarezza, Adelphi, 1993, pag. 29)


Il titolo di questo scritto è un doppio omaggio, a Cioran e a Guido Ceronetti (suo studioso e traduttore che ne diede questa meravigliosa descrizione all’uscita del suo capolavoro Squartamento).
Se c’è un pensatore, uno scrittore, un uomo che ha azzerato completamente il divario tra la sua scrittura e la vita, questi è indubbiamente Emil Cioran, del resto in un’intervista aveva dichiarato: «Per me scrivere è un ultimatum all’esistenza» (vedi in proposito il libro a cura di Antonio Di Gennaro: Ultimatum all’esistenza, La Scuola di Pitagora, 2020).

Cioran ha riversato nei suoi scritti tutta la sua lotta per esistere, la sua sapienza e la sua amarezza. Alla fine la vita lo ha frantumato e lui di conseguenza ha frantumato la sua scrittura, scrivendo frammenti che incendiano la realtà e le miserie dell’uomo presente e futuro.
Qualunque sia il giudizio letterario e filosofico che si possa avere su di lui, certamente è da sottolineare che insieme a Lec, Krauss, Flaiano è tra i più grandi aforisti di sempre. Ce lo aveva dimostrato con Squartamento e ce lo ribadisce in Sillogismi dell’amarezza.

Sillogismi dell’amarezza è una raccolta di brevi aforismi di Emil Cioran (1911-1995), filosofo e aforista romeno, che scrisse molte sue opere in francese. Pubblicata nel 1952, Sillogismi dell’amarezza divenne il suo libro più letto in Francia e in Germania e il più tradotto e pubblicato nelle antologie di aforismi. Si tratta di un vero e proprio capolavoro.
Cioran riversa nelle sue meditazioni e massime tutte le sue esperienze e ossessioni sulla vita, sulla morte, sulla parola, sulla storia, sull’eros, sul suicidio e sono tante le considerazioni che ci invita a fare e i doni morali che ci regala su temi come: l’indecenza di essere vivi, la parola autofaga, indizi postumi, la coscienza del dolore, la doppia verità della parola, le frecce del pensiero, l’ascolto, la scrittura, la ferita, la morte, il suicidio.

Dopo la lettura di Cioran si esce frastornati e liberati, attoniti ed esaltati dalla grandezza di questo apolide metafisico impazzito. Cioran, intossicato dal male di vivere (e dalla colpa di sopravvivere), sputa veleno salvifico sulla società e sull’uomo per liberarlo. Cioran risponde con la flagellazione della scrittura al tritacarne dell’essere come in Italia forse solo Carmelo Bene aveva saputo fare con la parola, i falsi idoli e le maschere dell’uomo contemporaneo, arrivando a de-pensare persino sé stesso.

Il pessimismo di cui è permeata la vita e quindi l’opera di Cioran è assoluto, ma liberatorio e salvifico: «Vivo solo perché è mio potere morire quando meglio mi sembrerà: senza l’idea del suicidio, mi sarei ucciso subito».
Apparentemente impoetico e desolante, in realtà Cioran offre visioni inusuali e profonde, ricche di indizi e verità nascoste nei bassifondi dell’animo umano.

Cioran è stato definito uno scrittore nichilista, ironico e misantropo («non bisogna mai fuggire un misantropo», scrisse a proposito di Ceronetti nei suoi Esercizi di ammirazione), e sicuramente pensava anche a sé stesso, eppure il fascino della sua parola e filosofia è umano, troppo umano da apparire disumano. È evidente l’influenza della filosofia di Nietzsche, della poesia di Artaud e delle riflessioni poetico-filosofiche dello Zibaldone di Leopardi.

I suoi aforismi stordiscono e tramortiscono le nostre menti assopite, addormentate e assuefatte alla logica e al pensiero dominante, alle facili verità sbandierate e servite come i cioccolatini nei Baci Perugina.
Cioran è un pensatore cerimonioso e irriverente, eretico e abissale, ma ci fa vedere e toccare la faccia nascosta delle cose, delle parole, della vita e dell’animo umano, in una parola i bassifondi e le vertigini della vita e della scrittura.

«Il vantaggio che c’è nel meditare sulla vita e sulla morte è di poterne dire qualsiasi cosa
».
«A ogni idea che nasce in noi, qualcosa in noi marcisce».
«Il Reale mi dà l’asma».
«Verso la saggezza vegetale: abiurerei tutti i miei terrori per il sorriso di un albero»
«Vago attraverso i giorni come una puttana senza marciapiedi»
«Più invecchio e meno mi diverto a fare il piccolo Amleto. Già non so più, riguardo alla morte, quale tormento provare…»
«Che tristezza vedere grandi nazioni mendicare un supplemento d’avvenire!»
«Non chiedetemi più il mio programma; respirare, non ne è già uno? »
«Che peccato che, per arrivare a Dio, si debba passare attraverso la fede!»
«Ho voluto insediarmi nel Tempo; era inabitabile. Quando mi sono rivolto verso l’Eternità, mi è mancato il terreno sotto i piedi».
«L’Uomo secerne disastro».
«Siamo tutti dei commedianti: sopravviviamo ai nostri problemi».

Gli aforismi di Cioran sono ossimori grondanti di luce e di verità, che formano un sistema poetico-filosofico asistematico e tellurico, un pessimismo vivificante e ultraterreno, un antidoto alle paure umane, una liberazione e una autoterapia di un grande apolide metafisico.

Cioran scriveva sui suoi quaderni senza mai pensare a una forma ‘libro’, scriveva per capire e capirsi, per liberarsi dalle sue ossessioni e da uno stato di malessere, inappagamento, delusione intollerabile, e usava la scrittura come auto-terapia: «Scrivo per me stesso, mi sono accorto che scrivere mi faceva bene… in fondo tutto ciò che ho scritto, l’ho scritto per necessità immediata, volevo evadere da uno stato che mi era intollerabile. Quindi consideravo e tuttora considero l’atto di scrivere una sorta di terapia» (cit. da Un apolide metafisico, pag. 21).

Cioran si dimostra un grande autore irriverente e cinico, eretico e radicale, antireligioso e contro le ideologie, le filosofie e i sistemi precostituiti, operando nei suoi scritti una vera de-fascinazione dell’ovvio e dei falsi miti, ma è un autore che adora la scrittura frammentaria, perché il frammento, oltre a regalargli grande libertà, saccheggiare sistemi precostituiti, gli permette di prendere a schiaffi la realtà e raccogliere le sue lacrime d’inchiostro che lo tenevano in vita e lontano dal suicidio (estremo atto di bellezza e di forza che teorizzò, ma non ebbe la forza di mettere in pratica e che rimpianse per tutta la vita).






Donato Di Poce
www.donatodipoce.net
(n. 5, maggio 2021, anno XI)