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«Uccelli del cielo» di Vasile Andru. Una lettura di Diego Zandel
I due protagonisti sono Sandu Tariverde, uno scrittore e intellettuale di grande finezza e coraggio, caduto in disgrazia per la sua abitudine di dire sempre la verità, finito per strada, che vive ormai in quelle case della vecchia e nobile Bucarest in via di demolizione per far posto a spazi che dessero risalto alla megalomania del regime di Ceausescu; e Tofana, una vagabonda in fondo anche lei, che invano cerca il lasciapassare per un paese verso il quale emigrare, pur di andare via, lontano dall’oppressione della sua Romania di quegli anni. Il comunismo e il suo fallimento Ma le parti che più inducono alla riflessione sono quelle relative al comunismo e al suo fallimento. Significativo il ricordo della venuta e del discorso di Krusciov in Romania all’epoca della destalinizzazione («Che fine hanno fatto le polpette e la polenta? La carestia non è comunista!») o il racconto del colloquio che Tariverde fa con un ministro. Riflessioni valide tutt’oggi che pongono il grande problema di una società in cui sia possibile coniugare la libertà e la giustizia sociale in termini equilibrati, in un quadro di autentico umanesimo. Un aspetto che sfugge completamente oggi nel mondo capitalista che, sull’altare di un arricchimento fine a se stesso, semina alle sue spalle una povertà sempre più diffusa. D’altra parte, allora, nel mondo comunista la richiesta di libertà si accompagnava anche a una condizione di fame, che fa dire Sandu Tariverde al ministro: «Nessuno può arricchirsi né diventare saggio, se gli metti un bavaglio alla bocca e un coltello alla gola». Il discorso è chiaro, eppure il ministro gli risponde: «Sei impazzito? Ma noi abbiamo lottato contro i ricchi e li abbiamo cacciati via! Tu vuoi di nuovo i possidenti, gli oppressori?». E anche il ministro ha, dalla sua, una qualche ragione, ma è chiaro che la risposta complessiva è un’altra. Quale? Nessuno ancora l’ha trovata, mentre il mondo va a una deriva che conduce a un nuovo medioevo. Meglio prima? No. Anche se l’altro uccello del cielo vive ancora la speranza che ci sia un paese che l’accolga, certa che esista fuori dal suo. Gli incontri della donna con l’io narrante sono all’insegna di questa ricerca sul dove andare, che ha due aspetti: uno geopolitico (Tofana busserà alle porte di tutte le ambasciate presenti a Bucarest, subendo anche le torture della terribile Securitate, la polizia di Ceausescu), ed uno spirituale, un campo religioso in cui liberare la propria coscienza, che in Romania era interdetto ad ogni livello («Tutto quello che aveva a che fare con lo spirito e lo psichico era etichettato come ‘misticismo e sovversione’ e considerato un delitto»). Il disegno dell’autore, con questo romanzo, è chiaro, per altro annunciato nella interessante introduzione che ne racconta anche la genesi. «È un romanzo sulle ‘demolizioni’ psichiche, ma anche sulle demolizioni edilizie a Bucarest durante il decennio romeno più opprimente: l’ottavo». E direi che è riuscito. Ancor più perché, pur testimonianza di un’epoca, lascia al lettore domande aperte sul futuro non solo dei romeni, ma di tutti.
Diego Zandel
(n. 7-8, luglio-agosto 2013, anno III) |