«Nostalgia» di Mircea Cărtărescu: romanzo o libro di racconti?

Romanzo o libro di racconti? L’interpretazione non è facile. Parliamo di Nostalgia di Mircea Cărtărescu, edito da Voland, nella traduzione di Bruno Mazzoni. Il dubbio nasce dalla discontinuità della trama, dall’autonomia delle singole parti in cui il libro si divide, anche se nominalmente si chiamano Prologo, quindi, al centro, quella che dà il titolo al libro con un terzetto di «racconti» a loro volta autonomi, e quindi l’Epilogo. Come in ogni romanzo che si rispetti. Ma così non è. Anche perché alla discontinuità della trama s’accompagna quella dei personaggi, degli ambienti, delle situazioni, come se la pagina, le 429 pagine del libro, rispondessero a un solo fluire magmatico che ha il suo cratere nella mente del loro autore. Un travaso però, è bene sottolinearlo, per nulla anarchico o inconscio, bensì al servizio di una grande sapienza letteraria.   

Il risultato è un testo la cui unità sta tutta nella scrittura, torrentizia, esasperatamente letteraria, che mastica e rielabora altra letteratura, letture, autori, libri, con una voracità che è sintomo di una fame di fantasia, libertà, cultura, ma anche fisica, a lungo patita ed evocata nel primo dei tre racconti centrali che compongono Nostalgia, quello intitolato Il mendebile. Pagine straordinarie che ci riportano a un’adolescenza, ricca di giochi, sogni, innamoramenti, in una Bucarest rivissuta nella memoria in una dimensione che diventa facilmente onirica.

Ma Cărtărescu trascende: padrone dei suoi mezzi espressivi può permettersi di misurarsi con la follia, l’estremo dostoewskiano di giocatori disperati alle prese con la roulette russa e, da qui, entrare in un mondo di ossessioni e di incubi, sempre comunque tenuti al guinzaglio di mondi letterari che nutrono l’autore. Il libro è pieno di riferimenti, citazioni, testi che vanno da Dostoewskij a Virginia Woolf, da Nerval ad autori romeni i più diversi, ad altri ancora.
In questo senso, è il caso di riportare un passo che esprime molto bene il processo mentale/esistenziale dell’autore, il quale, tra l’altro – significativamente – si esprime in una prima persona sospesa, almeno per il lettore, in un’ambiguità autobiografica per quella che può essere l’identità dell’io narrante: è Cărtărescu o un suo personaggio fittizio?

«Avevo cominciato a soffrire per il mio aspetto, che mi sembrava miserevole, per il fatto che non avevo soldi, che non potevo invitarla in una discoteca in centro, che non potevo andare con lei in montagna. Ma, in primo luogo, odiavo la mia mentalità di sognatore sbandato che, lo sapevo, mi avrebbe sempre impedito di vivere come avrei desiderato. Mi si stringeva il cuore ogni volta che Gina mi raccontava delle sue vacanze invernali, a sciare, o delle sue eterne canaste (più tardi imparò il bridge, almeno così mi diceva sua nonna al telefono), perché sapevo che questo miraggio dei divertimenti snob l’allontanava da me irrimediabilmente. In quel periodo non potevo più leggere un libro senza identificare i personaggi con lei e con me. Così ho letto, ad esempio, il romanzo di Camil Petrescu L’ultima notte d’amore… e Gli scherzi di Dania di Anton Holban. Entrambi mi dicevano, o meglio mi dimostravano, quasi matematicamente, che non sarei rimasto con lei (…)».

Per capire Nostalgia, ovvero l’operazione letteraria che c’è dietro, il brano citato offre appena una pallida idea. Infatti, con Nostalgia ci troviamo al cospetto di un continuo entrare e uscire dalla vita nei libri e viceversa, quasi l’io narrante, ma sarei più propenso a dire l’autore, fosse incapace di vivere senza questa metabolizzazione di letture, come se fossero queste, accanto all’esperienza, a nutrire di significati la vita stessa.
È sufficiente, ad esempio, leggere l’inizio di REM, l’ultimo racconto che compone Nostalgia, intendendo in questo caso la parte centrale dalla quale prende titolo il libro: siamo a un elenco di autori, di libri, di copertine che ci introducono agli scaffali in «un monolocale minuscolo, verso la periferia di Bucarest. Si arriva qui cambiando più autobus e sperdendosi per stradine grigie». E il racconto si dipana in un’avventura in cui riaffiorano ricordi non privi di note sarcastiche, che compongono uno spaccato d’epoca che è poi quello relativo alla formazione autoriale di Cărtărescu stesso, che con Nostalgia ci dà una sorta di autoritratto, con il quale diventa naturale confrontarsi.

Infatti, Mircea Cărtărescu – o almeno questo suo libro – è da leggere con la matita in mano, per sottolineare i passi più interessanti o, anche, semplicemente belli (soprattutto quelli in cui la memoria assume un singolare potere evocativo), tante, e varie, sono le suggestioni che il libro offre. Chi vi si accostasse solo adesso, si troverà davvero davanti a una scoperta. E, a proposito, per quanti dopo la lettura di Nostalgia fossero interessati a leggere gli altri libri di questo autore, considerato il più importante scrittore romeno contemporaneo, ricordiamo che di lui l’editore Voland ha già tradotto e pubblicato Travesti (2000), Abbacinante. L’ala sinistra (2007) e Perché amiamo le donne (2009).


Diego Zandel
(n. 7, luglio 2012, anno II)