Andrei Oișteanu, «L’ Immagine dell’ebreo. Stereotipi antisemiti nella cultura romena»

Il ricco volume di Andrei Oișteanu, L’ Immagine dell’ebreo. Stereotipi antisemiti nella cultura romena e dell’Europa centro-orientale (2018), traduzione e cura di Horia Corneliu Cicortaș e Francesco Testa, trentottesimo volume della Collana di Studi Ebraici dell’editore Salomone Belforte, aggiunge, senza dubbio, un prezioso contributo agli Studies in Antisemitism. Oișteanu, infatti, affronta il problema degli stereotipi culturali come prodotto dell’incontro tra identità che si percepiscono diverse; un tema che si conferma di grande attualità e in grado di coinvolgere vari ambiti di ricerca delle scienze umane.

La lunga, tuttavia necessaria, introduzione che apre L’immagine dell'ebreo restituisce l’intenzione del volume stesso: «stabilire l’origine, l’evoluzione spazio-temporale e la permanenza (oppure il declino e la scomparsa) degli stereotipi caratterizzanti il ritratto fisico, spirituale e morale dell’“ebreo immaginario”».

Di fondamentale importanza per l’economia dell’intero volume è la distinzione tra un ebreo «immaginario» o, meglio, «immaginato», cioè l’ebreo così come visto, disegnato e percepito dai romeni, e l’ebreo «così come è realmente». Richiamando le pagine dell’ormai classico Orientalismo di E. Said, il divario tra la concezione dell’«ebreo immaginario» e il «vero ebreo» è rappresentato come una distanza che cambia nel tempo e nel luogo. A differenza di Said, che nel suo studio adotta lo sguardo e gli strumenti della critica letteraria, L’immagine dell’ebreo presenta i temi attraverso la lente analitica dell’antropologia culturale.

L’obiettivo di Oișteanu è quello di indagare le origini, lo sviluppo e l’eventuale sopravvivenza contemporanea dell’antisemitismo popolare nella cultura romena (sviluppo definito dall’autore come passivo e inconsapevole), in relazione alle sue possibili influenze sull'antisemitismo politico odierno (definito invece attivo e consapevole); obiettivo, quest’ultimo, che collega l’impostazione storico-antropologica e sostanzialmente descrittiva del lavoro a istanze decisamente attuali.

Partendo da tali presupposti, il discorso è strutturato in cinque lunghi capitoli ordinatamente suddivisi e che si articolano, al loro interno, in numerosi sottocapitoli tematici. Ciascun capitolo è dedicato a uno specifico «ritratto» che l’ebreo ha assunto nella cultura romena. Nonostante il focus sia chiaramente incentrato sulla Romania, ampi e approfonditi sono i rimandi alle altre culture dell'Europa centrale e orientale (frequenti, infatti, sono i riferimenti a Germania, Austria, Ungheria, Polonia, Ucraina, Russia, Grecia, Bulgaria, Iugoslavia ecc.).

Il primo capitolo è dedicato al ritratto fisico dell’ebreo, il secondo al ritratto professionale, il terzo a quello morale e intellettuale, il quarto al ritratto mitico e magico e, infine, il quinto capitolo a quello religioso. L’approccio dell'autore è, sostanzialmente, comparatistico. La struttura del discorso corre lungo quattro direttive d’analisi ben distinte:
- la comparazione nel tempo, contestualizzando diacronicamente il tema e indagando lo sviluppo temporale degli stereotipi, dei cliché e dei motivi delle leggende sugli ebrei attraverso il tempo.
- La comparazione nello spazio, in cui l’autore cerca di collocare il tema in un preciso contesto geo-culturale confrontando i modi in cui le «immagini” dell’ebreo della cultura romena differiscano o meno dalla cultura tradizionale degli altri popoli dell’Europa centrale e orientale.
- La comparazione etnica, con la quale si cerca di evidenziare quali sono i tratti che hanno portato l’ebreo ad essere immaginato in maniera differente rispetto a come venivano immaginati gli altri «stranieri» con cui, nel corso dei secoli, il popolo romeno è venuto a contatto.
- La comparazione culturale, in cui l’autore prova a indagare la transizione degli stereotipi antisemiti da un ambiente popolare legato a una cultura prevalentemente rurale, a un ambiente principalmente urbano e più intellettuale e di come, questi stessi elementi, siano stati ripresi dalla letteratura colta fino alla politica dell’Ottocento e del Novecento.

Nonostante a prima vista il volume dia l’impressione di essere indirizzato a un pubblico specialistico, la ricchezza di esempi e le svariate immagini che accompagnano il filo del ragionamento rendono il volume fruibile anche ai non addetti ai lavori. La chiarezza dell’argomentazione restituisce un volume in grado di unire la grande erudizione di Oișteanu, confermata da numerosissimi rimandi, ad uno stile che evita, se non quando strettamente necessario, di entrare in eccessivi tecnicismi. Le teorie e i modelli trattati (dall’imagologia etnica alla folkloristica di Schwarzfeld) sono, infatti, sempre accompagnati da note che forniscono al lettore le linee guida per potersi orientare nel ragionamento.

In conclusione, uno dei maggiori pregi di questo libro consiste nel riuscire a decostruire in maniera analitica i modi basilari in cui l'identità degli ebrei è profilata nella cultura romena. Lo scopo è, difatti, quello di utilizzare il materiale disponibile, alla luce della comparazione e del suo svolgimento storico-culturale, al fine di trovare un’origine, spesso puramente immaginaria, a numerosissimi stereotipi.

La conferma dell’utilità di questo lavoro si trova nella forza che tali pregiudizi hanno dimostrato di riuscire a mantenere attraverso il tempo. Stereotipi che trovano la propria origine in altre epoche, infatti, hanno saputo insinuarsi (attivamente o passivamente) anche all’interno del pensiero europeo contemporaneo. Da questo punto di vista il volume di Oișteanu – sistematizzando, inquadrando, e ricostruendo pazientemente il percorso di questi atteggiamenti – compie, forse, un passo verso una loro possibile espiazione.


Davide D’Amico
(n. 6, giugno 2019, anno IX)