Una memoria carica di inquietudini. «Il tuo cuore è una grancassa» di Alessio Brandolini

«Che senso ha dimenticare, se poi alla fine si muore?» Queste le parole di Iosif Brodskij che l’autore sceglie come eloquente epigrafe a Il tuo cuore è una grancassa, con un’introduzione di Francesco Tarquini, uscito nel 2022 con la casa editrice milanese La Vita Felice e dedicato alla memoria dei suoi genitori.
Giusto, bisogna ricordare, cioè poetare, ed è ciò che fa da sempre Alessio Brandolini, artista vero e impegnato nel senso pieno della parola: numerose raccolte poetiche, recensioni, traduzioni, convegni internazionali, l’importante rivista letteraria web Fili d’aquilone, una Casa Editrice che porta la stessa denominazione.
La sua nuova raccolta poetica intitolata Il tuo cuore è una grancassa (con un’introduzione di Francesco Tarquini, La Vita Felice, Milano 2022, pp. 104) si snoda lungo quattro sezioni – Diario della cenere, Il lato oscuro della purezza, Cammino dentro me e Il tuo cuore è una grancassa, sezioni nate in un primo momento come sillogi autonome e poi confluite insieme.
Privilegiando il ricordo, l’autore si colloca con merito nella più solida tradizione poetica nazionale. Pascoli pensa che la poesia nasca dal ricordo. Nella Prefazione ai Primi Poemetti, scrive: «Il ricordo è poesia, e la poesia non è se non ricordo». D’accordo con Pascoli troviamo Leopardi, che nello Zibaldone di Pensieri (VII, 360, I) osserva: «La rimembranza è essenziale e principiale nel sentimento poetico, non per altro se non perché il presente, qual ch’egli sia, non può esser poetico».
Anche sul lato estetico Brandolini si inserisce nel solco di altri poeti classici, Saba per esempio, con la sua lirica calma e colloquiale, il suo background di borghese colto che non ha paura di esprimersi come si farebbe con un amico, una persona di famiglia.
In effetti, quella di Brandolini è una poesia priva di ostentazione; all’originalità forzata e muscolare di alcuni colleghi, l’autore preferisce l’onestà e la sincerità del proprio verso, consapevole che tutto ciò che cade sotto il suo sguardo ha una dignità, una sacralità che esclude, come tale, il ricorso alla retorica, alla finzione, al narcisismo. Ma Brandolini non cede neppure a quel perbenismo poetico che non piaceva a Pasolini; quasi tutte le sue composizioni si inseriscono in una cornice autobiografica al cui interno si percepisce il contrasto tra un’antica ferita esistenziale e un ontologico pudore espressivo; ne scaturisce l’anelito, più etico che spirituale, di un ritorno alla fede nell’uomo, all’amore, che l’autore non teme di reclamare per sé dai propri cari, consapevole che, come recita l’ultima poesia, la grancassa del cuore non smetterà mai di suonare per le persone con cui si è diviso il cammino della vita.
Dicevamo dell’importanza della «rimembranza»; è un’impostazione che Brandolini non disattende neppure quando si muove in un passato recentissimo. Parliamo delle liriche inserite nel Diario della cenere, dalle quali emerge lo stato d’animo che nei duri mesi del coronavirus pervadeva tutti noi «inseguiti da una valanga»nel chiuso delle nostre case, iperbolico, ossimoricointreccio che ci riporta immediatamente a una vita quotidiana scarna, muta, difficile, con «una parete di ombre da superare». È la natura a non soccombere, «gli uccelli non sbagliano una nota» (impossibile non riandare al requiem altissimo dell’Ode a un usignolo di Keats), mentre le guerre reali e interiori offuscano colori, immagini, sensazioni, sentimenti («Trascuro i colori delle foglie e del tramonto, l’allegro volo delle rondini»).
Ma chi può salvarci, chi può risanare le nostre ferite? L’autore sembra avere una risposta, venata sì da una certa mestizia, ma anche piena di speranza: dal male antico, dalla noia esistenziale può salvarci un altro ‘male’, anch’esso antico ma necessario, nobile: è la fatica di vivere onestamente e con uno scopo, è il lavoro serio, quello intellettuale come quello di zappa, le radici contadine che Brandolini rivendica qui come in altre sillogi poetiche («Tirerò su per te un orto, una vigna e una casa»). È chiaro che l’autore guarda all’esperienza umana delle generazioni che lo hanno preceduto, con la figura ricorrente del padre a simboleggiare una vita operosa in via di sparizione, e al generoso tentativo degli epigoni di ritrovarne l’utilità e il senso.
E tuttavia la memoria può caricarsi di inquietudini, di attese non corrisposte, di impossibili riconciliazioni se rinchiusi «nella gabbia del passato». Nella poesia Ci sfuggono mille cose c’è il resto del mondo interiore di Brandolini:

Nei volti leggo storie che si afferrano
ad altre e ad altre ancora: tutte hanno
a che fare con uomini donne bambini
vissuti nella casa di via degli Artisti.
Bastonato dagli affetti che bruciano
all’alba quando la luce fatica ad entrare.
Spettri a piedi nudi vagano nelle stanze:
perché mi implorano? Perché sono qui?

La poesia è qui, diciamo parafrasando un altro verso di Brandolini, è in queste amare rivelazioni, in questi cocci acuminati rimasti nella casa natale di Via degli Artisti che l’autore tenta di occultare quasi pietosamente, stando attento a non ferirsi e soprattutto a non ferire.
Quando l’autore riesce ad essere coerente con la sua estetica più autentica, abbiamo dinanzi a noi veri gioielli, come accade nella poesia Mosaici romani, un testo ricco di motivi espressionistici e potentemente visivi che si amalgamano perfettamente fra di loro:

Traccio mappe incerte, vie
tra le fiamme. Studio volti
vizio animali, parlo a lungo
con le stelle, fiuto ricordi
antichi di secoli. Né pena
né nostalgia, sollevo le gambe
dalla melma, l’acqua ristagna
in fossati distesi ad asciugare.
La natura vibra nelle foglie
confonde le tracce. Unito
a te per non cadere ancora
più sotto. Il fuoco devasta
le stanze: l’acqua del pozzo
redime, poi ci rifugiamo
nella grotta, giù in cantina.

Ci andavo ogni tanto per starmene in disparte
o al sicuro nel bosco o sotto la croce di Tuscolo.
Portavo a casa tasselli di mosaici romani che poi
a lungo mi rigiravo tra le dita. Ora con passo
incerto avanzo sulla corda tesa fra notte e giorno.

Solo di rado l’autore sembra smarrire questa coerenza estetica, lasciandosi sedurre da umori imprevisti ed eccessivi; è ciò che riscontriamo nella poesia Il cane dalla voce rauca, dove i concetti, le impressioni, le immagini, appaiono enfatiche, quasi plateali, specialmente nella seconda parte della lirica:

Abbaia un cane dalla voce rauca ma qui ci sono
i ricordi più belli: vie d’acqua e di fuoco. Troppo
tardi per restaurare la casa? Così stanco
da assorbire frasi che uccidono, allora svengo
e crollo a terra. La pioggia lava i tetti, il ciliegio
che ha dato pochi frutti. Nessuno apre e penso:
qualcuno si nasconde? Le ombre benevole
del bosco mettono in fuga la paura, mi mordo
un braccio, pianto il coltello in una mano. Ora
sulla corteccia del faggio scorre il nostro sangue.

Il fatto è che le oasi di Brandolini hanno una connotazione ben definita: l’autore, lo ripetiamo, conosce il dolore, i mostri che si annidano nelle nostre menti, e il suo pudico razionalismo lo indirizza verso i porti sicuri di cui misura e ama ogni spazio, ogni attracco, nella certezza di poter conservare la propria integrità e, in definitiva, la propria salvezza. Eppure, «dovremmo vivere altre storie, nutrire ciò che pensiamo»; anche questo scrive il poeta. Ma, appunto, dovremmo; i passi azzardati e irresoluti non fanno per l’autore, neppure nell’ambito poetico: le sue composizioni sono tanto più riuscite quanto più riesce a evitare un linguaggio criptico e disarticolato. Tuttavia, non vogliamo essere fraintesi: anche grazie al verso assolutamente libero che predilige (fin troppo! Non guasterebbe un po’ più di lirismo, di musicalità…), l’autore è in grado di variare i suoi temi con felice disinvoltura, passando dal concreto al metafisico (Invisibili persino al microscopio), dalla testimonianza del profondo affetto per suo padre (Il fumo dei boschi) all’attrazione reale e simbolica per le stelle (Ci sfuggono mille cose) come per le umili creature di questo mondo (La vita degli insetti).
In armonia con il titolo, la sezione Cammino dentro me, omaggio alla poetessa rumena Ana Blandiana, è una tappa introspettiva piena di suggestioni, di visioni oniriche, di un sofferto autoascolto, come nella poesia Prima di rimettersi in viaggio:

Oscillano le tegole ma l’edificio resiste
in bilico tra le nubi. Comoda la poltrona
in cui siedo da mesi, lo so ora che soffro
come un cane abbandonato e a lungo
abbaio alla luna. Limitarsi al silenzio
che accerchia le voci, a mani nude rifarsi
un passato prima di rimettersi in viaggio.

o in La cresta dell’upupa (l’ilare uccello calunniato dai poeti che già Montale aveva rivalutato in Ossi di seppia):

L’istinto si fa duro e nella cantina
piena di attrezzi un padre si guarda
intorno e smarrito conta oggetti
ragnatele. Penso al corteo dei morti
al dolore che affonda la città ma
la cresta dell’upupa dona tra le foglie
degli ulivi sorprendenti ponti di gioia.

Qui si nota come l’autore lavori su contrapposizioni e svolte che segnano un preciso confine tra l’angoscia, il pathos dello smarrimento e l’irruzione di quei momenti privilegiati che segnano il rifiorire della vita, oltre che la continuità della poesia, perché la poesia può nascere ovunque, su una poltrona e in una cantina, passeggiando in riva al Tevere o calcando i sentieri della montagna, come nella bellissima Il blocco alla gola, dedicata al figlio:

Sotto la fila di case basse e tra quelle
la nostra in uno splendore inaccessibile.
Nel verde del Comèlico: padre e figlio
davanti a un conflitto antico. Il silenzio
che ti offusca l’ho avvertito marciando
con te in montagna, più forte in trincea
tra le pietre annerite dal fuoco dei soldati.

Interessante è l’ultima sezione della raccolta, dove Brandolini si misura con una semiprosa (o meglio con quelli che definirei «versi in prosa»), veicolo narrativo grazie al quale espone delle piccole storie utilizzando una lingua corposa, quasi aforistica, a tratti aggressiva:
«Chi è la bambina che tieni per mano e ti spinge in salita? Occorre sistemare il passato, guardi all’indietro e ti ritrovi in fuga da un pugno di chiodi. Qualcuno spara e lei scatta in avanti come una gazzella. Devi confrontarti coi sogni prima che i sogni ti annientino, te lo dico bevendo un caffè».
Di nuovo rimaniamo stupiti per una varietà di toni che l’autore, all’inizio della sua opera poetica, non lasciava presagire; ma Brandolini, lo ripetiamo, non è soltanto un poeta, e da sempre intrattiene feconde relazioni con quasi tutti i generi letterari. Umile, ma consapevole dei risultati che ha raggiunto e che premiano il suo impegno, Brandolini conferma la nostra impressione – che persino la sua figura e il suo viso trasmettono – di trovarci dinanzi a un umanista dei nostri giorni, a un saggio produttore e amministratore di una cultura che non vuole avere nulla di superficiale e di provvisorio.
Concludiamo nella convinzione che Il tuo cuore è una grancassa sia un libro ‘accordato’ nel modo giusto, perché, come l’autore scrive in Rondini,«La poesia è un martello pneumatico: scava in cerca della parola giusta e poi filare sull’erba delle nuvole»; ma per filare bene su quell’erba occorre prima frugare a lungo nel lato oscuro della purezza, battere con vigore sul proprio cuore, trasformarlo in una grancassa.





Armando Santarelli
(n. 1, gennaio 2023, anno XIII)