Mircea Eliade, «Da Zalmoxis a Gengis Khan», una nuova edizione

Edizioni Mediterranee ripropone la traduzione di una tra le più interessanti opere di Mircea Eliade, Da Zalmoxis a Gengis Khan. Le religioni e il folklore dell’Europa orientale (2022 [275 pp], a cura di Horia Corneliu Cicortaş, traduzione di Alberto Sobrero). Si tratta in effetti di uno studio complesso o per meglio dire di diversi studi, uniti in un unico volume che traccia un quadro ampio dei temi culturali romeni e che per tale motivo è risultato al tempo della sua prima pubblicazione di particolare successo anche nell’allora Romania socialista, dove invece le opere di Eliade erano state a lungo messe all’indice. Pubblicato in Francia nel 1970, il volume raccoglie una serie di saggi scritti nell’arco di un trentennio e dedicati a miti e tradizioni religiose, essenzialmente pre-cristiane. Il lavoro si sviluppa a partire dei geto-daci, soffermandosi in particolare sulla figura di Zalmoxis per spingersi poi verso i miti cosmogonici del folklore dell’Europa orientale.
L’opera, che riprende con minime modifiche la traduzione della prima edizione italiana del 1975 a firma di Alberto Sobrero, si sviluppa attraverso una prefazione e otto capitoli, cui si sommano un’appendice dello stesso Eliade, intitolata Note sui Călușari (traduzione dall’originale inglese di Igor Tavilla), oltre a un’introduzione e una nota del curatore a firma di Cicortaş.

Osservando più in dettaglio le diverse parti del volume, emerge chiaramente la loro origine eterogena che tuttavia viene stemperata dall’attento lavoro dell’autore e dal filo conduttore rappresentato del forte legame tra religioni e folklore. I Daci e i lupi ripercorre lo sviluppo di un’etimologia dai profondi significati religiosi che mette in relazione i daci con la più ampia comunità indoeuropea. È qui che troviamo interessanti riferimenti alle confraternite di guerrieri e ai loro riti iniziatici, che Eliade accosta alle origini dei daci e del loro nome, riprendendo con ciò precedenti studi di autori quali Georges Dumézil. È proprio da questo aspetto che prende le mosse la ricostruzione di una componente importante dell’identità dacica, che si manifesta attraverso il legame con un più ampio sistema di credenze indoeuropee e di rituali legati ai giovani guerrieri. Non sorprende dunque che in uno dei paragrafi più interessanti Eliade affermi di ritenere possibile che il nome derivi “tutto considerato, dall’epiteto rituale di una confraternita di guerrieri”. Nonostante ciò, l’Autore lascia aperta la possibilità che in fin dei conti “l’epiteto rituale” sia da collegarsi a un gruppo di giovani immigrati invasori e da questi “passato ed accettato” dagli aborigeni vinti e sottomessi. Il discorso si sviluppa nelle pagine seguenti e si fa più complesso e ricco di particolari.

Nel secondo capitolo, intitolato Zalmoxis, Eliade prende le mosse da un passo di Erodoto relativo a questa divinità getica. Quella che segue è un’accurata analisi di miti ancestrali legati al tema dell’immortalità/rinascita, comuni a gran parte del mondo mediterraneo e mediorientale. Seguono riferimenti alle esperienze estatiche e taumaturgiche, accompagnate da una vasta serie di rimandi alla cultura greca e alle possibili interazioni con il mito di Zalmoxis. Non mancano poi i riferimenti alla cultura sciamanica e ai viaggi estatici, per quanto alla fine Eliade non collochi Zalmoxis fra gli sciamani, sposando piuttosto un’interpretazione che vi vede riflessi di personaggi storici o leggendari. Di seguito troviamo riferimenti più ampi alle credenze geto-daciche, in particolare con richiami a Strabone e Posidonio e all’interpretazione del ruolo sacerdotale nel culto di Zalmoxis.
Il terzo capitolo, Il diavolo e il buon dio: la preistoria della cosmologia popolare romena, affronta invece la fase cristiana della storia del popolo romeno, a partire dalle influenze bogomile sul folklore e il mito cosmogonico, mettendole anche in relazione con miti appartenenti ad altre culture dell’Europa orientale, fino a toccare all’Asia centrale, all’Iran e alla Mongolia.

Il quarto capitolo, Il principe Dragoş e la «caccia rituale», riprende le mosse dalla leggenda della caccia all’uro condotta da Dragoş, in seguito primo voivoda di Moldavia. La storia diviene anche un’opportunità di ricollegarsi ai miti delle origini. Da questo punto si sviluppa un’interessante analisi di vari miti fondativi che implicano la caccia rituale o l’inseguimento di un animale che diviene epifania divina.
Il quinto capitolo si occupa di poesia popolare e del ruolo del folklore come continuazione/confronto delle leggende e credenze non solo all’interno dello spazio romeno, ma anche nella regione balcanica in generale.
Nel sesto capitolo ci si pone invece il quesito se sia esistito o meno “uno sciamanesimo presso i romeni”. Seguono alcuni interessanti esempi che permettono all’autore, che qui mostra la sua ampia conoscenza del tema, di introdurre uno spaccato piuttosto variegato di pratiche diffuse tra le popolazioni rurali.
Il settimo capitolo è dedicato al culto della mandragora, di cui Eliade dice, con ricchezza di particolari che “fra tutte le piante che streghe, donne e fanciulle romene usano per le loro virtù magiche o medicali, nessuna presenta un rituale di raccolta costituito da tanti elementi drammatici come la mandragora”.

Nell’ultimo capitolo, intitolato La pecorella veggente, che prende spunto da una ballata intitolata Miorița, agnellina o pecorella appunto, pubblicata nel 1850 e che ha avuto ampia fortuna tra studiosi di storia della letteratura e folklore romeno, l’Autore si dedica, con ricchezza di interpretazioni, alla ricerca di significati profondi e richiami filologici.
Conclude la presente edizione del volume la già citata appendice dal titolo Note sui Călușari, che Eliade aveva pubblicato nel 1973.
A conclusione di questa breve presentazione di un volume che può essere considerato un classico del lavoro di Eliade e per gli studi di antropologia in generale, vale la pena di rimarcare l’opportuna scelta del curatore di voler riproporre al pubblico questo insieme di interessanti contributi. Una scelta e un lavoro senza dubbio meritevole per l’opportunità che offre al lettore di aprire una finestra su un mondo ricco e complesso. Il folklore romeno rappresenta del resto un ottimo punto di partenza e al tempo stesso un collegamento verso un più ampio patrimonio culturale che attraversa, con influssi differenti e infinite varianti, l’intera Europa sud-orientale.







Alessandro Vagnini
(n. 1, gennaio 2023, anno XIII)