E Cioran raccontò la sua vita a Liiceanu. Tradotta in italiano l'ultima intervista filmata

È da poco reperibile, grazie alla casa editrice Mimesis (già protagonista di altre recenti e pregevoli pubblicazioni al riguardo), lo stupendo volume di Gabriel Liiceanu Emil Cioran. Itinerari di una vita. L'Apocalisse secondo Cioran (ultima intervista filmata), tradotto finalmente anche in italiano da Francesco Testa, sulla base dell’originale romeno edito nel 2011 da Humanitas, nota editrice bucarestina di cui l’autore è fondatore e attuale direttore. L’edizione italiana è a cura di Antonio Di Gennaro, sorta di mirabile archeologo in costante ricerca di tesori più o meno nascosti concernenti il geniale Privatdenker.

La struttura del volume è tripartita. Nella prima e più ampia sezione, Liiceanu ripercorre, in una settantina di pagine, la parabola del grande scrittore romeno. L’infanzia passata a Răşinari, il villaggio natale ai piedi della sempre rimpianta Coasta Boacii, si delinea come una sorta di paradiso dal quale Cioran viene espulso nel 1921, anno del suo trasferimento a Sibiu, come traspare da una lettera che lo stesso filosofo ha spedito a Liiceanu, datata 1 novembre 1987.
Alcune tappe risultano fondamentali nel percorso di Cioran. L’irrompere dell’insonnia segna il suo congedo dalla filosofia, quanto meno da quella di stampo sistematico-accademico: «A partire dal momento che qualcosa mi costringeva a restare sveglio tutta la notte – dice Cioran […] – ho scoperto che la filosofia non trovava una risposta agli interrogativi creati da questa mia esperienza, che era fatta per gente senza temperamento e senza storia». Segue la breve, e in seguito sempre rinnegata adesione al corso della storia rappresentata per il giovane filosofo dal Führer del Terzo Reich («all’uscita dell’adolescenza, si è fanatici per definizione; lo sono stato anch’io, e fino al ridicolo»). Infine lo strappo violento da tali e da tutte le convinzioni («sono diventato immune a tutto, alle vecchie fedi come ad ogni fede futura», così in una lettera del 1946 indirizzata al fratello Aurel).
Il drammatico e capitale abbandono della lingua madre in favore del francese di cui diverrà maestro impareggiabile viene tratteggiato come segue da Liiceanu: «Il passaggio a un’altra lingua e l’adozione definitiva di un’attitudine scettica sono il risultato di un regolamento di conti interiore», e più avanti: «L’adozione della nuova lingua possiede la radicalità di un rapimento», o ancora «la rottura è così netta che equivale a una morte e alla trasmigrazione in un altro corpo linguistico». Liiceanu ci rende edotti del fatto che «Cioran vive e avverte la sua assoluta alterità», qualcosa che potrebbe richiamare, sebbene con una leggera forzatura, il concetto aristotelico di Bìos xenikòs, la vita da straniero. Cioran è ontologicamente straniero. L’approdo al francese (secondo l’autore «tutta l’opera francese di Cioran è il risultato dell’incontro paradossale tra caldo e freddo, colata di lava pietrificata su di un sostrato artico»), l’affievolirsi dei tumulti di un tempo, il ritirarsi voluto, meditato, ostinatamente cercato da ogni manifestazione salottiera o letteraria in una sorta di realizzazione, volendo ancora una volta tornare agli antichi, dell’adagio epicureo làthe bìosas, vivi nascosto. Sentenza, lo si dichiara en passant, massimamente terapeutica oggi, nell’epoca del dominio dei social media e della condivisione-esposizione ad ogni costo.
E poi la rinuncia alla scrittura, il declino, la malattia, la morte sotto i colpi del morbo di Alzheimer, suggello autentico della crudele ironia cosmica che Liiceanu non manca di sottolineare. Se Cioran ha sempre visto nell’avvento della coscienza una specie di catastrofe, anzi, per certi versi, la catastrofe per eccellenza (ne L’inconveniente di essere nati si legge che «la coscienza è molto più della scheggia, è il pugnale nella carne») anelando quindi a una «saggezza minerale», ecco che ora si trova a soffrire «per ciò che più ha desiderato».
Sono pagine piene di commozione e certamente quel supprime-moi sussurrato a Simone Boué arriva come una rasoiata alla gola in chi nell’autore del Sommario di decomposizione veda non tanto un filosofo oggetto di studio, pur se appassionato, quanto un amico, una «mano tesa», per dirla con Guido Ceronetti. Scrive Liiceanu: «Dobbiamo credere che Cioran abbia sofferto molto […]; questo possibile cammino a ritroso, attraverso i regni dell’esistenza, questa traversata inversa, Cioran l’aveva desiderata e teorizzata, ma non l’aveva prevista come una vera e propria fatalità della sua vita». Di una tenerezza terribile e straziante la rivelazione di Simone Boué narrata dall’autore: «Mi ha raccontato che il giorno prima [della morte di Cioran] rimasero per lunghi minuti a guardarsi negli occhi… compiendo assieme il rito di un prolungato addio».

La seconda parte del volume riporta integralmente l’ultima intervista filmata, risalente ai giorni 18-20 giugno 1990, rilasciata da Cioran all’autore. I due sfiorano alcuni dei temi decisivi per il filosofo tran silvano, come l’idea della scrittura e dell’espressione in genere quale forma di terapia (nelle parole di Cioran «tutto ciò che formuliamo diviene più tollerabile»); ancora l’insonnia («un nulla senza tregua», ebbe a definirla nel suo libro d’esordio Al culmine della disperazione) e i suoi rapporti con la coscienza; il tema del fallimento («solo il fallimento, la grandezza della catastrofe, permette di conoscere una realtà. Non sono i momenti di gloria ed espansione che rivelano un essere»); l’amore («l’amore ha rappresentato senza dubbio un’esperienza fondamentale. E con mia grande meraviglia, l’ho vissuta. Ma non ha risolto alcun problema»), la morte («la morte è un’ossessione legittima: non è un problema qualsiasi, ma è “il Problema”»).

Chiude il testo un’intervista, condotta il 18 novembre 1994, con la compagna di una vita di Emil Cioran, Simone Boué, che ci rivela, pur con un atteggiamento decisamente pudico («non sono riuscito ad ottenere molto da Simone, la donna che per cinquant’anni ha vissuto al fianco di Cioran. Una discrezione essenziale le impediva di aprirsi»), i lati quotidiani di questo gigante del pensiero del secolo scorso e non solo.
Merita una menzione particolare lo splendido, toccante apparato fotografico che costella questo magnifico libro.


Alessandro Seravalle
(luglio-agosto 2018, anno VIII)